“The Guardian”, ossia The Last Of The Grauniad Makers

 Michele Ingenito

 

Non si comprende perché Berlusconi e Frattini si siano fatti il sangue amaro rispondendo pan per focaccia agli sfottò britannici del “Guardian”, quando avrebbero potuto cavarsela addolcendo il proprio prezioso ed insostituibile liquido organico nella maniera più tradizionale. Ridendo, cioè, a suon di battute umoristiche a volo d’aquila, impipandosene, così, delle fregnacce mediatiche d’oltre Manica. Esattamente come fece l’ormai più famoso giornale di satira politica inglese contemporaneo – “Private Eye” –il 20 gennaio 1967, allorquando liquidò quel quotidiano, “The Guardian” per l’appunto, con le parole utilizzate per dare titolo al presente articolo. Prendendo all’epoca spunto dai numerosi errori di stampa causati dalle eccessive sviste dei propri correttori di bozze, la concorrenza mediatico-satirica deformò volutamente il nome del giornale. Lo stesso direttore Aleistair Hetherington fu preso di mira e, nell’articolo citato, divenne Ditherington.  Ovvio riferimento al verbo to dither; comportarsi, cioè, in maniera incerta, irresoluta, indecisa. Né più né meno che un simpatico joke verbale per ridicolizzare quel quotidiano. Se già mezzo secolo fa circa, The Guardian subiva la micidiale satira di un proprio connazionale in arte (ci si perdoni l’audacia espressiva), di cosa si meravigliano oggi il presidente del consiglio ed il suo ministro degli esteri se la scena si ripete? E sia chiara una cosa. In quell’articolo, l’attacco non fu mirato soltanto contro gli errori di stampa (cosa che capita in tutti i giornali anche oggi). Ma la sferzante ironia di “Private Eye” si abbatté impietosamente per fatti ben più essenziali. L’incapacità, ad esempio, del quotidiano preso di mira, di pubblicare notizie ‘fresche’ ed aggiornate rispetto alla concorrenza. Notizie non vere, dunque, o comunque di dubbia verità. Evidenziando, così, chiari limiti competitivi a livello nazionale. Al punto che, “Private Eye” ribadì, divertendosi e facendo divertire i suoi primi e sempre più numerosi lettori, il suo destino di giornale anticamente apprezzato e popolare ed ora destinato, invece, a scomparire dallo scenario mediatico nazionale ed internazionale.La ferocia del periodico satirico si abbatté ancora più duramente allorquando i giornalisti del quotidiano furono etichettati né più né meno che come una “dwindling band of ageing craftsmen”; espressione alquanto dispregiativa per ‘gruppo sempre minore di vecchi artigiani’. Ovvio riferimento storico agli operai-artigiani delle antiche stamperie inglesi dell’’800, incaricati di trascrivere ed assemblare i clichés grazie ai piombi a loro volta indispensabili prima della stampa vera e propria dei giornali. Una maniera a dir poco perfida per associare “The Guardian/The Grauniad” ad una inesistente modernità tecnologica e di contenuti.Ecco, sarebbe bastato un po’ di humour in più e qualche battuta velenosa in meno (del tipo “tu a me, io a te”, vedi Frattini) e i nostri politici se ne sarebbero usciti ancor più vincenti. Del resto, che lo si ammetta o no, dietro queste schermaglie anti-berlusconiane, si nasconde un ben diverso scontro di respiro mondiale. Scontro mediatico, intendiamo. Mediaset e Murdoch sono l’uno di fronte all’altro per la conquista della maggiore fetta di mercato pubblicitario del pianeta. Come a dire, i due colossi accorciano le distanze e i due dinosauri sono a vista l’uno di fronte all’altro, pronti a sbranarsi. E per quanto i giornali inglesi e americani in particolare siano indipendenti, lo sono e lo restano sempre e comunque all’interno dell’ombra (o del sole, fate voi) del padrone. “Tutto il resto è noia”!