Quando la provocazione rischia di far rima con premonizione

 

Giovanna Rezzoagli

L’edizione odierna de “IL GIORNALE” riporta la notizia dell’ultima provocazione della Lega Nord titolando: “Sui metrò posti riservati ai milanesi”. L’autore della provocazione è Matteo Salvini, deputato nonché vicesegretario del Carroccio a Milano. La sua trovata ha fatto e farà discutere molto. Di certo è riuscita nell’intento di attirare l’attenzione nel giorno della presentazione dei candidati del Carroccio in corsa per le provinciali. Ma è difficile non andare col pensiero alle leggi razziali, alla segregazione, al dolore infinito di chi ha sofferto e ancora oggi soffre per essere considerato “diverso”. Medici spia, presidi spia, ronde e compagnia destano plausi e sdegno perché evocano in molti suggestioni che, siano esse esecrate o validate, coinvolgono sul piano emotivo. La politica vive e si alimenta, soprattutto in tempi pre-elettorali, di trovate sensazionalistiche e delle reazioni che ne conseguono, di precisazioni e di distinguo. L’importante non è tanto ciò di cui si parla, ma che si parli. La provocazione fa parte del gioco e, spesso, ne costituisce elemento portante. Gli esperti in psicologia della comunicazione lo sanno perfettamente. L’immagine di un personaggio politico viene studiata a tavolino sin nei minimi dettagli, dal colore della camicia ( spesso azzurra, a livello inconsapevole associato al concetto di ordine e pulizia), alla battuta di spirito. Il problema sorge quando la provocazione cavalca l’onda emotiva derivante da fatti di cronaca, dando interpretazione di parte allo scoramento sociale. Se indubbiamente molti reati nel nostro Paese vengono commessi da immigrati e la tematica della sicurezza è quanto mai concreta ed attuale,  appare piuttosto riduttivo  individuare la radice della diffusa delinquenza nella figura dello straniero. Lo stereotipo oramai dilaga. In questo contesto, la figura dello straniero è scelta deliberatamente come capro espiatorio su cui proiettare le contraddizioni sociali. I mass media assecondano l’operazione: i titoli allarmistici su episodi di cronaca nera che hanno come protagonisti cittadini stranieri fanno vendere molto. La storia tende a ripetersi, perché, se è vero che cambiano le epoche ed i contesti, altrettanto vero è che la natura dell’uomo è sempre la stessa. In ogni società il capro espiatorio su cui scaricare responsabilità ed aggressività è stato presente. La xenofobia, ossia la paura di ciò che è distinto per natura razza o specie, troppe volte non si ferma alla semplice paura ma sfocia in una vera e propria intolleranza e discriminazione nei confronti dell’oggetto della medesima. Tante volte la paura del diverso nasconde una profonda insicurezza del proprio se, amplificata nel contesto di gruppo. Non occorre avere la sfera di cristallo per preventivare un aumento di episodi di intolleranza. Ma siamo proprio sicuri che chi provoca, o dice di voler provocare, non voglia creare un precedente al fine di manipolare l’opinione pubblica? In questo caso provocazione rischia di diventare premonizione. Anche perché resta attuale, purtroppo per pochi, l’eterna domanda: ma noi siamo diversi da chi? Si  nasce tutti allo stesso modo e anche la morte non fa troppe distinzioni.