P.D. la lezione americana
Michele Ingenito
Nell’ottobre 2008, poche settimane prima della sua elezione, il futuro presidente degli Stati Uniti Barack Obama preannunciò la propria intenzione di avvalersi di un “governo di stelle” sia democratiche sia repubblicane.Con un’economia sull’orlo della recessione e un paese impegnato in due guerre oltre confine (Afghanistan e Irak), il candidato alla Casa Bianca già guardava oltre la punta del proprio naso democratico, anticipando una mossa di sicura e proficua lungimiranza. Avvalersi, cioè, del meglio delle risorse umane e politiche del Paese, indipendentemente dal colore partitico. Tra i repubblicani filtrarono i nomi di Chack Hagel, Richard Lugar e Colin Powell. “Uomini che hanno forgiato le mie idee e che collaboreranno con me alla Casa Bianca!”, anticipò Barack Obama, pensando ad un governo bipartisan. E così è stato, a prescindere da quei nomi specifici. Dopo essersele date, infatti, e di santa ragione, – in “casa propria” tra Obama e Hillary Clinton per la ‘nomination’ presidenziale e in “casa altrui” tra Obama e il candidato repubblicano John McCain per il ‘rush’ ufficiale finale alla Casa Bianca – idee e interessi partitici sono passati in secondo ordine di fronte a quelli prioritari della nazione. Tutti uniti, quindi, democratici e repubblicani, per una collaborazione diretta al governo del paese. Da noi una simile logica politica sarebbe eresia. Via, quindi, con il “nuovo-vecchio” dell’antiberlusconismo a tutti i costi. Veltroni prima, deluso dal partito dei suoi sogni; Franceschini, poi, già pronto a fare terra bruciata intorno al programma di governo dell’avversario. E, così, di sciabolata in sciabolata al vento, continua quel modo tutto italiano di fare opposizione. Oggi a te domani a me. Perché qui non ci sono buoni e cattivi. Il concetto di opposizione nella politica italiana, infatti, viaggia sempre e comunque in funzione del comportamento antitetico dell’uno rispetto all’altro. Per principio ‘bastianeo’ e nulla più. “Il governo fa una cosa buona? Allora è sbagliata! Perché il suo ‘colore’ è diverso dal mio!” E così, di ‘condanna’ in ‘condanna’, le forze migliori dell’una e dell’altra componente ‘giocano ad effetto’, sempre a proprio favore (anche per chi è in caduta libera come il PD), ma a danno del paese. E’ chiaro che, se non interviene, e presto, una maturazione politica sana e collaborativa, l’azione del governo, di qualsiasi governo, non si avvarrà mai di quell’impulso che anche gli uomini migliori dell’altra parte potrebbero e dovrebbero dare. Non in funzione del Cencelli per i posti di potere attribuiti di diritto all’opposizione. Ma in funzione della materia cerebrale di cui pure è cosparsa, e in abbondanza, la corteccia illuminata degli uomini migliori dell’attuale centrosinistra. E, invece, nel mentre il nuovo segretario del PD dice una cosa giusta quando preannuncia l’azzeramento dei vertici di potere del proprio apparato politico – “Voi che oggi mi votate,” – dichiara in sintesi – non venite, poi, domani a chiedermi favori. Trovereste la porta sbarrata!” – preanuncia subito dopo che la sua battaglia politica sarà sempre e comunque contro il berlusconismo. Una battaglia di principio, come si vede, che butta giù dalla torre – per pregiudizio e non per fallimenti oggettivi e constatati – tutto ciò che il governo in carica ha fatto, fa o si accinge a fare. Identificando, così, Berlusconi nel fantasma di quel gigantesco cavaliere senza testa che si aggira per la Valle del Sonno nei pressi del fiume Hudson, come ci descrive lo scrittore americano Washington Irving nel suo delizioso racconto intitolato “La leggenda di Sleepy Hollow”. Che il Presidente del Consiglio sia un Cavaliere – del lavoro – è vero. Che sia un fantasma – che turba i sogni dell’opposizione – è probabile. Che sia, però, senza testa, la dice lunga sugli effetti devastanti di quei sogni in casa democratica. Il guaio della politica italiana è tutto là. Disconoscere sempre e comunque ciò che fanno gli avversari. Picchiare la testa contro il muro per dimostrare alla propria base di avere ragione a tutti i costi potrebbe indubbiamente scalfire la parete. Ma fracasserà certamente la testa di chi ci prova. Dopo di ché, di punto in bianco, quando meno se lo aspetta , il leader di turno – in questo caso Walter Veltroni – all’ennesima incornata cede alle caratteristiche più solide della parete. Per un fracassone politico definitivo che, nella fattispecie, si chiama tonfo sardo. Ossia quel disastro elettorale per cui Soru si è dovuto inchinare alla forza devastante dell’avversario, alzando bandiera bianca e passando la mano. Nel mentre il suo sponsor e leader di partito è costretto ad ammainare definitivamente la medesima bandiera, pur scaricando, con patetico candore e a magra consolazione per una copertura in realtà tacita dei propri errori, le colpe sugli altri, su quel partito dei suoi “sogni”, che lo ha ovviamente (si fa per dire) “tradito”. La verità è che, se ‘l’aristocratico’ e snob ex-segretario del PD avesse ‘collaborato’ correttamente e non pregiudizievolmente con il governo in carica, contestandone legittimamente il negativo o, a ragion veduta, il positivo, avrebbe quasi certamente guadagnato in termini di credibilità e rafforzato la propria base elettorale. E, nonostante la lezione, il ‘duro’ Franceschini cosa fa? Si accinge a commettere esattamente gli stessi errori. Tanto per cambiare! E il suo volto indubbiamente nuovo e credibile rispetto alla vecchia classe dirigente del proprio partito, appare già ‘vecchio’ nel momento dei proclami e del rifiuto per principio di un Cavaliere con la testa eccome. Collaborare non significa sudditanza, né, tanto meno, acquiescenza. Tutt’altro. Collaborare fattivamente significa lavorare, lavorare e, ancora, lavorare. Soprattutto dai banchi dell’opposizione, visto che l’America è ancora lontana per una partecipazione diretta nel governo. Dando il contributo massimo delle proprie capacità tecniche, oltre che politiche, ottimizzando il lavoro di una potenziale squadra globale, pur nel rispetto delle proprie diversità ideologiche. Questo ha fatto il Presidente degli Stati Uniti in uno dei momenti storici più difficile per la nazione; un momento che affligge economicamente il mondo intero, per una recessione sempre più simile, se non superiore negli effetti di oggi e di domani, a quella del tragico biennio del ’29-’30 del secolo scorso. Questa è la lezione americana. Pragmatica e non bizantina, efficace e non difficile da imitare. Questo dovrebbe fare il PD, invece di sprecare le proprie energie – tra ex-comunisti ed ex-democristiani – nella ricerca strumentale delle mille anime dei propri fantasmi, quelli sì, macinati dalla storia e dalla realtà di un mondo sempre più nuovo e diverso, che li ha già dimenticati.