Arriva la pagella: istruzioni per l’uso

Giovanna Rezzoagli

Il nome ufficiale è “Scheda di valutazione”, ma tutti la conosciamo col suo vecchio nome: pagella. La cara, vecchia, temuta pagella, che si appresta ad essere consegnata a tutti gli studenti italiani nei prossimi giorni. Appuntamento fisso ed ineluttabile alla fine del primo quadrimestre, il confronto con la scheda di valutazione, e con tutto ciò che essa rappresenta, costituisce un momento fondamentale della vita scolastica. Ciò vale tanto per gli studenti che per le loro famiglie, nonché per l’istituzione scuola. Proviamo allora ad analizzare l’importanza di questo momento, sia dal punto di vista dei ragazzi che da quello delle famiglie, con particolare riguardo alle implicazioni che le risultanze scolastiche possono avere concretamente nel quotidiano. La prima riflessione quanto mai opportuna, quasi mai contemplata dai ragazzi e raramente dai genitori, è in apparenza banale: la scheda di valutazione prende in esame le risultanze scolastiche e la vita comportamentale e sociale dello studente in un preciso contesto, non attribuisce “un voto” alla Persona intesa nella propria totalità. Tradotto in parole semplici, una pagella in cui prevalgono voti insufficienti esprime carenze in ambito scolastico, ma ciò non significa  assolutamente che lo studente sia una Persona che “abbia minor valore” di chi ha una buona pagella, e viceversa. Il ricevere una valutazione negativa in ambito scolastico può essere vissuto come un fallimento generale, con gravi ripercussioni sull’equilibrio interiore. Il rischio di non contestualizzare l’insufficienza può seriamente inficiare l’autostima dello studente, riducendo le possibilità di recuperare le carenze evidenziate in pagella. Questa sorta di confusione contribuisce ad alimentare la crescente dissonanza di intenti che si è ormai creata tra l’ente “scuola” e l’istanza “famiglia”: sino a pochi anni or sono fedeli alleate nel comune proposito di conferire una sana e solida educazione ai giovani, ora sono sempre più spesso agli antipodi, con i genitori schierati in difesa ad oltranza dei figli e con la scuola in perenne autodifesa. Questa riflessione ci conduce al punto focale della questione: i genitori. Di fronte ad una pagella con voti insufficienti, un genitore non può cadere dalle nuvole: il voto negativo rappresenta il culmine di un percorso durato quattro mesi, se non si sono colti segnali preoccupanti sul rendimento scolastico del proprio figlio, un mea culpa s’impone. Inutile inalberarsi con i figli o con i docenti per un quattro (o un cinque, ma, perché no, un tre od un due) se si è trascurato di controllare le singole valutazioni scritte e/od orali o se non si è mai andati ai colloqui con i professori. Più saggio e, decisamente, più costruttivo ammettere con calma di non essere stati troppo presenti, o di aver attribuito scarsa importanza alla vita scolastica dei propri figli. Certamente non è facile coniugare dure giornate di lavoro ed i molteplici affanni della vita quotidiana con una puntuale presenza nella vita scolastica dei propri figli, ma siccome di mezzo c’è il loro futuro, vale la pena sforzarsi il più possibile. Se la pagella è negativa, è il momento di programmare una strategia di recupero, magari facendosi consigliare dai docenti, che non sono certo stipendiati per essere considerati nemici ne tantomeno sono felici di “steccare” nessuno. Personalmente ho sposato il modello del rapporto genitore-figlio improntato al dialogo e, soprattutto, all’ascolto reciproco, per cui credo fermamente nell’importanza di mettere i ragazzi di fronte alle loro responsabilità, e, perché no, anche ad eventuali scelte. In quest’ottica, personale e criticabilissima, ci mancherebbe, ritengo importante che un genitore indaghi con discrezione e fermezza sui “perché” di una valutazione negativa direttamente col proprio figlio. A volte dietro una pagella con tante insufficienze c’è un giovane che desidera richiamare l’attenzione, o che vive un disagio che crede solo suo, o ancora un difficile inserimento nel gruppo classe. I “perché” possono essere infiniti, iniziare ad affrontarli è sempre importantissimo.  Questo dal punto di vista dei genitori. E i ragazzi?  In epoca di delegittimazione della scuola, di bullismo, della politica del “tutto e subito”, è difficile aprire un canale di comunicazione efficace. Il messaggio deve necessariamente partire dalla famiglia, dall’esempio. La scuola altro non è se il luogo in cui si deve studiare, si deve comportarsi bene, perché altrimenti si viene meno ai propri doveri. Sarà un pensiero retrogrado e demodé il mio, eppure è probabilmente il più costruttivo per chi si accinge ad affrontare la seconda parte dell’anno scolastico con una o più insufficienze sul collo. Bisogna rimboccarsi le maniche, ridisegnare gli impegni settimanali dedicando più tempo allo studio, cominciare a capire che ben poco viene regalato a questo mondo. Riassumendo in poche e semplici parole, l’unica vera e concreta istruzione per l’uso di una pagella con dei “no”, è quella di prendere coscienza delle proprie responsabilità e mettersi al lavoro con onestà, senza cercare inutilmente capri espiatori, tanto da parte dei genitori che dei figli, ad ogni età. Con un pensiero di riguardo a chi invece avrà un pagella piena di “si”, che in epoca di tanto decantata meritocrazia dovrebbe valere il bene più prezioso: la stima di se stessi.

5 pensieri su “Arriva la pagella: istruzioni per l’uso

  1. Carissima Dr Giovanna ,
    Leggo con grande gradimento questo suo articolo che riguarda le pagelle scolastiche, e in questo caso, del primo quadrimestre degli studi che sta per scadere.
    Purtroppo, però, alcuni privilegi scolastici fanno muovere l’ago della bilancia più a favore dei figli di gente benestante e/o che abbiano una posizione sociale rispettabile. Anche ai miei tempi era la stessa musica: si notavano le differenze di trattamento e di valutazioni di apprendimento.
    I ragazzi di famiglie povere di un tempo non avevano alcun modo di superare certi limiti di conoscenze culturali per una serie di motivi: primo perché avevano genitori ignoranti, che lavoravano dall’alba fino al tramonto, secondo perché non avevano la possibilità di leggere libri o giornali dato che la stessa povertà non lo permetteva. Si parlava il più arcaico dialetto in famiglia e nessuno del nucleo familiare era in grado di aiutare a risolvere i problemi scolastici ai propri figli. Quindi, quei poveretti rimanevano ben sbilanciati nell’apprendimento delle nozioni scolastiche.
    Oggi è ben altra cosa., anche se resta ancora un grosso divario tra ragazzi di famiglie ricche e quelle povere. Ma resta sempre il problema del lavoro dei genitori che è per gli uni umile e faticoso e per gli altri ben remunerato e di immane agiatezza. Perciò , se emerge qualche studente di famiglie agiate o ricche s’innalzano più in alto i “ vessilli del castello”, se invece emerge un poveraccio, si dice che è normale che segue le lezioni..
    Sarebbe però più giusto se nelle scuole fosse dato maggiore attenzione a chi , effettivamente, non ha troppi mezzi sociali per poter apprendere come tutti gli altri scolari, così facendo, s’innalzerebbero i “vessilli “ anche per i ragazzi in condizioni di non poter reggere al peso delle lezioni rispetto ai loro coetanei. Un abbraccio, Alfredo

  2. Ringrazio moltissimo la Lettrice Ester ed il carissimo Alfredo per i loro commenti. Mi permetto di aggiungere qualcosa alle considerazioni del Signor Alfredo. Il divario tra studenti che provengono da famiglie agiate e studenti che provengono da famiglie povere, secondo me, si. Avvertiva molto di più in passato. Io stessa ho sperimentato questo sulla mia pelle. La mia famiglia era di umili origini, mio padre si era fermato alla terza elementare e mia madre alla quinta, negli studi ho contato solo su me stessa, eppure a scuola ero tra i più bravi. In casa mia si dava importanza allo studio, tanta, proprio in ragione di un futuro migliore sperato per me dai miei genitori. Oggi è diverso, praticamente in ogni casa vi è un televisore che bene o male apre una finestra sul mondo, ma è cambiato il valore che si attribuisce alo studio. Oggi si da per scontato che la scuola dia diplomi a tutti, col risultato che i voti negativi vengono vissuti come soprusi. Poi è sicuramente diffuso il favoritismo dei soliti figli di persone importanti, ma a volte non è così scontato. Anche in questo caso attingo al personale per meglio spiegarmi. Quando venne il momento di iscrivere mio figlio alle scuole elementari, con mio marito scegliemmo un istituto fuori comune, piccolino e in campagna, e perché? Semplice, perché al momento di iscriverlo nella scuola presente nel nostro comune il segretario mi disse, per gentilezza non dubito, ” Avremo come studente il figlio del Professor Ganci”. Non ci pensai due volte e lo iscrivemmo dove era sconosciuto, così se fosse stato bravo a scuola nessuno avrebbe pensato che il merito era di suo padre, se avesse avuto difficoltà allo stesso modo nessuno avrebbe detto, guarda ha il padre che insegna e non va bene a scuola. Poi la via si traccia da sola. Ciò che conta è stare vicino ai figli incoraggiandoli e sostenendoli, anche di fronte alle sconfitte.
    Non servono studi speciali per questo, basta tanto amore, e quello tutti noi lo possiamo donare. Ricambio l’abbraccio di cuore.
    Giovanna

  3. Cara counselor Giovanna, ha descritto molto bene i due aspetti di questo momento così significativo nella vita dei ns studenti: l’aspetto prettamente scolastico e quello più individuale , cioè la sua ricaduta sul piano personale.Certo la scuola è costretta ad esprimere un giudizio, per altro anche con un voto,ma come lei ha ben sottolineato, esso non è un voto alla persona, ma ad un percorso scolastico di 4 mesi e soprattutto, nei casi di voti negativi, è un “avviso” di cambiamento di rotta, come dire, “fin qua non è andato bene, ma con un pò più di impegno e di attenzione ce la potrai fare anche tu!” Importante da parte dell’insegnante è giustificare il voto aggiungendo tutto quello che un voto non dice: dare speranza, fiducia e attesa di cambiamento. Quello da cui un insegnante deve astenersi è dare giudizi definitivi!!!!!
    Un cordiale saluto.

  4. Carissima Civetta, secondo me l’esprimere giudizi o l’affibbiare etichette è sempre, sottolineo sempre, sbagliato. Questo è vero tanto più per ragazzi ed i bambini. Inutile nacondersi la verità, ci sono docenti che lo fanno, poco preparati sul piano umano, ma credo che la maggior parte di essi sia davvero in gamba. Le famiglie invece non lesinano critiche alla scuola, dimenticando troppo spesso che anche i loro figli la costruiscono.
    Un caro saluto.
    Giovanna

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