Vittime del Dovere: Covid-19, DPCM "Nuovo esodo carcerario, ennesima umiliazione per Forze dell’Ordine

In seguito all’emanazione da parte del Governo del decreto-legge 28 ottobre 2020 n. 137, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n.269, l’azione di contenimento del contagio Covid-19 nelle carceri italiane si traduce ancora una volta in un “allettante esodo”.

L’Associazione Vittime del Dovere apprende con preoccupazione ed indignazione come, anche in questa seconda difficile ripresa dell’emergenza sanitaria, invece di trovare soluzioni atte a limitare il contagio per salvaguardare la salute di agenti e detenuti, l’Esecutivo scelga di attuare una nuova “emigrazione carceraria” per migliaia di condannati. Secondo l’articolo 30 la detenzione domiciliare, con il braccialetto elettronico, sarà disposta, su richiesta e fino al 31 dicembre 2020, per i condannati a pena detentiva non superiore a 18 mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena.
Riteniamo che questo ennesimo provvedimento possa essere inteso dalla criminalità come un’implicita autorizzazione, da parte della collettività, di far passare e concedere sempre maggiori iniziative, ormai abituali e soprattutto sbrigative, di pseudo-indulto, che mortificano sfacciatamente il lavoro svolto dalle Forze dell’Ordine ed umiliano il sacrificio dei Servitori dello Stato.
Questa decisione governativa, presa su iniziativa del Ministero della Giustizia, rappresenta inoltre l’ennesimo messaggio devastante perché, seppure involontariamente, si declina in una vera e propria autorizzazione a delinquere, considerando che la detenzione domiciliare, in un momento storico in cui gli Italiani e la gran parte dei cittadini del mondo è costretta a stare in casa a causa della pandemia in corso, è diventata la difficile quotidianità di tutte le persone oneste.
La restrizione domiciliare, in sostanza, non verrà percepita neanche dagli interessati come una misura avente valenza educativa o di deterrenza al crimine, ma sarà intesa come la surreale condizione che ciascun essere umano, senza colpe o pendenze penali, sta vivendo in un periodo storico dell’umanità particolarmente doloroso ed inquietante. Anche se, sulla carta, nessuna concessione sarà data ai criminali più efferati o comunque pericolosi, ovvero agli esponenti della criminalità organizzata e terrorismo, così come a chi ha una condanna per corruzione, voto di scambio politico-mafioso, violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia e stalking, nonché ai detenuti che hanno subito una sanzione disciplinare o hanno un procedimento disciplinare pendente, per la partecipazione a tumulti o sommosse nelle carceri, ciò non è comunque di conforto.
Soprattutto in riferimento a queste novità normative, l’Associazione nutre seri dubbi sulle disponibilità concrete dei dispositivi elettronici che dovrebbero garantire il controllo a distanza di chi potrà accedere alle misure alternative alla detenzione, nella fattispecie ai domiciliari. Secondo stime approssimate del Ministero della Giustizia sarebbero circa 5000 i detenuti che tornerebbero a casa con i braccialetti elettronici, ma per avere contezza del numero effettivo si dovrà attendere la pubblicazione, a giorni, di un provvedimento congiunto del Capo del Dap e del Capo della Polizia di Stato che indichi il numero esatto dei braccialetti disponibili. Considerato che mancavano i dispositivi di controllo a distanza già a giugno, con il Decreto- legge Cura Italia, che ha ammesso alla detenzione domiciliare  più di 1000 detenuti, prossimi all’espiazione completa della pena, c’è davvero da preoccuparsi sull’applicazione del beneficio “salva-Covid”. Anche perché è necessario evidenziare che, in mancanza di braccialetto elettronico, è comunque, a discrezione del Giudice di Sorveglianza, ai sensi dell’art. 275 bis del Codice penale, concedere gli arresti domiciliari.
A tal proposito è interessante notare i dati pubblicati dal Ministero della Giustizia che registrano la presenza nelle carceri nel mese di febbraio 2020 di un numero di circa 61.230 detenuti e nel mese di settembre 54.277 con una netta flessione a maggio fino ad un numero 53.387 detenuti, dopo l’emanazione dei vari provvedimenti disposti dal Governo per emergenza Covid 19.
Tenendo conto di eventuali nuovi arrestati o di chi ha terminato di scontare la propria pena, parliamo perciò di migliaia di persone che non sono più in carcere. Ricordiamo, in merito, le denunce dei sindacati di Polizia Penitenziaria e le dichiarazioni degli stessi garanti e delle associazioni dei detenuti che da mesi lamentano, infatti, l’insufficienza numerica di questi dispositivi di monitoraggio e controllo. Pertanto, esiste fondato rischio di avere ai domiciliari detenuti non monitorati costantemente.
Forse, sarebbe stato più opportuno rivedere il sistema della “sorveglianza dinamica” che, in questo periodo di elevato rischio di contagio, favorisce, nelle carceri a ‘custodia aperta’, focolai incontrollabili e rappresenta, senza dubbio, una delle cause più evidenti di propagazione del contagio. Questa modalità di lavoro penalizza particolarmente l’attività degli agenti della Polizia Penitenziaria, costretti a sorvegliare contemporaneamente decine di detenuti, i quali possono muoversi indisturbati da una cella all’altra nonostante le insidie del virus Covid19.
Ritorniamo, a questo proposito, anche sul tema del regime detentivo di Alta Sicurezza per sottolineare come soggetti di alto profilo criminale e mafioso, anche in attesa di accedere alle misure carcerarie del 41bis, vista la ormai cronica indisponibilità di posto nelle carceri di massima sicurezza, possano scorrazzare per gli istituti penitenziari senza che per qualcuno ciò costituisca un pericolo serio o comunque una criticità da affrontare.
Tra le tante, va scongiurato il tentativo di rimettere in discussione persino l’unica proposta dell’Associazione Vittime del Dovere, accolta dal ministro Alfonso Bonafede, con il Consiglio dei ministri che ha finalmente introdotto il nuovo reato sul possesso e/o l’utilizzo in carcere di cellulari da parte dei detenuti. Fatto prima relegato a mero illecito disciplinare sanzionato nelle prigioni. Le sollecitazioni di quanti vorrebbero una marcia indietro su questo non tengono conto di quanto sia importante per un detenuto comunicare all’esterno, troppo spesso, per tenere le redini di un’organizzazione mafiosa, per commissionare un omicidio o per gestire traffici di sostanze stupefacenti.
Di episodi del genere sono piene le cronache. Basti ricordare che nei primi 9 mesi di quest’anno, riassume Fiorenza Elisabetta Aini (gnewsonline.it/), negli istituti di pena sono stati scoperti ben 1.761 cellullari, nascosti in modi assurdi e impensabili, mal celando così un’intenzione diversa da quella sentimentale. Se è vero che la comunicazione dei detenuti con la realtà esterna può avere due profili, sappiamo che quello di ordine criminale prevale sull’altro di ordine affettivo. E quest’ultimo è stato comunque soddisfatto in carcere con la possibilità di accesso ad Internet dei detenuti, durante il lockdown nel periodo di sospensione delle visite dei parenti.
Da anni la nostra Associazione, poiché portatrice degli interessi di quelle Vittime del Dovere tragicamente colpite da efferati assassini e criminali, presta particolare attenzione al complesso e delicato tema del sistema penitenziario. Le esperienze dolorose, che le nostre famiglie testimoniano in prima persona, hanno diretto in modo motivato l’impegno dell’Associazione in questo ambito. Cerchiamo di concertare proposte fattive, adeguatamente mediate, utili per riequilibrare quell’attenzione, sproporzionata ed esclusivamente concentrata sugli autori di reato, che non appare altrettanto sensibile alla tutela e agli interessi delle vittime.
In più occasioni abbiamo richiesto alla quasi totalità dei Dicasteri, oltre che alle più alte cariche dello Stato, la creazione di un Osservatorio o Tavolo tecnico per le Vittime, al fine di fornire un interlocutore istituzionale che possa rappresentare anche il pensiero delle Vittime, così da passare da una “concezione reocentrica” ad una visione che riconosca una maggiore considerazione nei riguardi di quanti hanno subito un reato, affinchè venga portato un contributo completo e fattivo alle scelte riguardanti l’ordinamento penitenziario e il processo penale.
Al fine di dare voce alle Vittime, abbiamo redatto, in particolare nell’ultimo lustro, relazioni depositate presso le Commissioni parlamentari in vari ambiti, in particolare anche in ordine alle proposte di modifica all’ordinamento penitenziario. Negli scorsi mesi abbiamo realizzato molteplici azioni volte a focalizzare l’attenzione sulle problematiche emerse nel panorama carcerario a seguito della pandemia.
Tuttavia, ogni nostra azione viene ignorata o addirittura contrastata.
Di contro nel nostro Stato sono previste, giustamente, figure istituzionali che hanno lo scopo di rappresentare le istanze dei detenuti, che hanno poteri di intervento, che hanno diritto di essere ascoltate e che hanno anche la possibilità di invocare a gran voce e con uno spazio oltremodo ampio su giornali e media ulteriori e sempre più incalzanti richieste.
In conclusione, appare alquanto surreale notare come in tempi di Coronavirus il Governo pensi di proporre tutele mettendo in lockdown i cittadini onesti e liberando, contestualmente e con assoluta disinvoltura, migliaia di detenuti. Non prevedendo, quindi: nel breve tempo, misure logiche di distanziamento e contenimento; in prospettiva, una seria politica di edilizia carceraria, auspicata soprattutto da quegli addetti ai lavori che hanno forte il senso dello Stato e hanno a cuore il bene della collettività. Per tutto questo l’Associazione Vittime del Dovere rivolge un ennesimo appello al Ministro Alfonso Bonafede e a tutte le Istituzione coinvolte affinché si valutino misure di contenimento e soluzioni che non sviliscano il prezioso lavoro dei servitori dello Stato e che garantiscano la certezza della pena affinché i cittadini non siano esposti ad ulteriori rischi.
ASSOCIAZIONE VITTIME DEL DOVERE

 

DECRETO-LEGGE 28 ottobre 2020, n. 137

Art. 28.
(Licenze premio straordinarie per i detenuti in regime di semiliberta’)
1. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ferme le ulteriori disposizioni di cui all’articolo 52 della legge 26 luglio 1975, n. 354, al condannato ammesso al regime di semiliberta’ possono essere concesse licenze con durata superiore a quella prevista dal comma 1 predetto l’articolo 52, salvo che il magistrato di sorveglianza ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura.
2. In ogni caso la durata delle licenze premio non puo’ estendersi oltre il 31 dicembre 2020.
Art.29.
(Durata straordinaria dei permessi premio)

1. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2020 ai condannati cui siano stati gia’ concessi i permessi di cui all’articolo 30-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 e che siano stati gia’ assegnati al lavoro all’esterno ai sensi dell’articolo 21 della legge 26 luglio 1975, n. 354 o ammessi all’istruzione o alla formazione professionale all’esterno ai sensi dell’articolo 18 del decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121, i permessi di cui all’articolo 30-ter, quando ne ricorrono i presupposti, possono essere concessi anche in deroga ai limiti temporali indicati dai commi uno e due dell’articolo 30-ter.
2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica ai soggetti condannati per taluno dei delitti indicati dall’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 e dagli articoli 572 e 612-bis del codice penale e, rispetto ai delitti commessi per finalita’ di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza e ai delitti di cui agli articoli 416-bis del codice penale, o commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attivita’ delle associazioni in esso previste, anche nel caso in cui i condannati abbiano gia’ espiato la parte di pena relativa ai predetti delitti quando, in caso di cumulo, sia stata accertata dal giudice della cognizione o dell’esecuzione la connessione ai sensi dell’articolo 12, comma 1, lettere b e c, del codice di procedura penale tra i reati la cui pena e’ in esecuzione.
Art.30.
(Disposizioni in materia di detenzione domiciliare)

1. In deroga a quanto disposto ai commi 1, 2 e 4 dell’articolo 1 della legge 26 novembre 2010, n. 199, dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2020, la pena detentiva e’ eseguita, su istanza, presso l’abitazione del condannato o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, ove non sia superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, salvo che riguardi:
a) soggetti condannati per taluno dei delitti indicati dall’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive
modificazioni e dagli articoli 572 e 612-bis del codice penale; rispetto ai delitti commessi per finalita’ di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, nonche’ ai delitti di cui agli articoli 416-bis del codice penale, o commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attivita’ delle associazioni in esso previste, anche nel caso in cui i condannati abbiano gia’ espiato la parte di pena relativa ai predetti delitti quando, in caso di cumulo, sia stata accertata dal giudice della cognizione o dell’esecuzione la connessione ai sensi dell’articolo 12, comma 1, lettere b e c, del codice di procedura penale tra i reati la cui pena e’ in esecuzione;
  b) delinquenti abituali, professionali o  per  tendenza,  ai  sensi degli articoli 102, 105 e 108 del codice penale;
c) detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare, ai sensi dell’articolo 14-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, salvo che sia stato accolto il reclamo previsto dall’articolo 14-ter della medesima legge;
d) detenuti che nell’ultimo anno siano stati sanzionati per le infrazioni disciplinari di cui all’articolo 77, comma 1, numeri 18, 19, 20 e 21 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230;
e) detenuti nei cui confronti, in data successiva all’entrata in vigore del presente decreto, sia redatto rapporto disciplinare ai sensi dell’articolo 81, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230 in relazione alle infrazioni di cui all’articolo 77, comma 1, numeri 18 e 19 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230;
f) detenuti privi di un domicilio effettivo e idoneo anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato.
2. Il magistrato di sorveglianza adotta il provvedimento che dispone l’esecuzione della pena presso il domicilio, salvo che ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura.
3. Salvo si tratti di condannati minorenni o di condannati la cui pena da eseguire non e’ superiore a sei mesi e’ applicata la procedura di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici resi disponibili per i singoli istituti penitenziari.
4. La procedura di controllo, alla cui applicazione il condannato deve prestare il consenso, viene disattivata quando la pena residua da espiare scende sotto la soglia di sei mesi.
5. Con provvedimento del capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, d’intesa con il capo della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, adottato entro il termine di dieci giorni dall’entrata in vigore del presente decreto e periodicamente aggiornato e’ individuato il numero dei mezzi elettronici e degli altri strumenti tecnici da rendere disponibili, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, che possono essere utilizzati per l’esecuzione della pena con le modalita’ stabilite dal presente articolo, tenuto conto anche delle emergenze sanitarie rappresentate dalle autorita’ competenti. L’esecuzione dei provvedimenti nei confronti dei condannati per i quali e’ necessario attivare gli strumenti di controllo indicati avviene progressivamente a partire dai detenuti che devono scontare la pena residua inferiore. Nel caso in cui la pena residua non superi di trenta giorni la pena per la quale e’ imposta l’applicazione delle procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, questi non sono attivati.
6. Ai fini dell’applicazione delle pene detentive di cui al comma 1, la direzione dell’istituto penitenziario puo’ omettere la relazione prevista dall’articolo 1, comma 4, della legge 26 novembre 2010, n. 199. La direzione e’ in ogni caso tenuta ad attestare che la pena da eseguire non sia superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, che non sussistono le preclusioni di cui al comma 1 e che il condannato abbia fornito l’espresso consenso alla attivazione delle procedure di controllo, nonche’ a trasmettere il verbale di accertamento dell’idoneita’ del domicilio, redatto in via prioritaria dalla polizia penitenziaria o, se il condannato e’ sottoposto ad un programma di recupero o intende sottoporsi ad esso, la documentazione di cui all’articolo 94, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni.
7. Per il condannato minorenne nei cui confronti e’ disposta l’esecuzione della pena detentiva con le modalita’ di cui al comma 1, l’ufficio servizio sociale minorenni territorialmente competente in relazione al luogo di domicilio, in raccordo con l’equipe educativa dell’istituto penitenziario, provvedera’, entro trenta giorni dalla ricevuta comunicazione dell’avvenuta esecuzione della misura in esame, alla redazione di un programma educativo secondo le modalita’ indicate dall’articolo 3 del decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121, da sottoporre al magistrato di sorveglianza per l’approvazione.
8. Restano ferme le ulteriori disposizioni dell’articolo 1 della legge 26 novembre 2010, n. 199, ove compatibili.
9. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 8 si applicano ai detenuti che maturano i presupposti per l’applicazione della misura entro la scadenza del termine indicato nel comma 1.