Il counselor e la comunicazione emotiva

 Giovanna Rezzoagli

Il Counselor è colui che svolge la funzione di supportare ed orientare persone che affrontino situazioni di particolare difficoltà, siano esse riconducibili a problematiche di carattere individuale che di relazione sociale. Per espletare compiutamente la sua delicata professione, il Counselor utilizza uno strumento molto particolare: se stesso. Il rapporto con il proprio cliente viene ad essere modulato su di uno scambio vicendevole  e continuo di messaggi, di significati condivisi, ma anche di emozioni. Il Cliente ha tante emozioni da esprimere, vive situazioni di disagio e/o di conflitto interiore che, pur non assumendo connotati patologici, ingenerano grandi sofferenze. Colui che si rivolge al Counselor è alla ricerca di una figura professionale con cui relazionarsi a livello frontale e non direttivo, che sia in grado di ascoltare senza giudicare, di accettare in modo incondizionato la persona che ha di fronte, di strutturare la relazione di aiuto sull’empatia emozionale. Una donna o un uomo che si rivolge al Counselor non cerca diagnosi, ma aiuto. Il Counselor ha la delicata funzione di maieutica; partendo dal presupposto che le problematiche del Cliente contengano, occultata, la soluzione stessa che deve emergere da una disamina ed una scelta consapevole. In tale accezione la trasposizione italiana di “Counselor” come “Consigliere” è del tutto inadeguata. Anche la presunta derivazione latina di “consuolere” è del tutto inadeguata perché al di fuori delle sue funzioni.  Ma anche il Counselor è un essere umano, prova emozioni come tutti nella vita, prova emozioni anche molto intense durante il colloquio col suo Cliente, è normale. Ciò che distingue il Counselor è la capacità di gestire le proprie emozioni nella fase di interazione professionale. I rischi di manifestare, anche involontariamente, eccessivo coinvolgimento o, al contrario, eccessivo distacco di fronte alle problematiche del Cliente sono concreti. Ogni Counselor possiede un suo proprio modo di relazionarsi, è la sua vera ricchezza che è affinata dal percorso formativo  di studio e dall’esperienza. Il continuo scambio a livello emotivo, e non solamente a livello razionale, rende efficace la relazione bidirezionale tra Counselor e Cliente.  Il contatto empatico si stabilisce a livello di sistema limbico e non sempre la razionalizzazione dello stesso è prontamente riconoscibile e quantificabile in una precisa categoria di emozione. Il termine “empatia”deriva dal greco “εμπαθεια” (a sua volta composta en- “dentro” e pathos “sofferenza o sentimento”), che veniva usata per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava l’autore-cantore al suo pubblico. L’empatia  è la capacità di immedesimarsi in un’ altra persona fino a coglierne i pensieri e gli stati d’animo. Nella comune accezione corrisponde al concreto “mettersi nei panni degli altri”. Nelle scienze umane, l’empatia designa un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da uno sforzo di comprensione intellettuale dell’altro, escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale. Fondamentali, in questo contesto, sia gli studi pionieristici di Darwin sulle emozioni e sulla comunicazione mimica delle emozioni, sia gli studi recenti sui neuroni specchio scoperti da Giacomo Rizzolatti, che confermano che l’empatia non nasce da uno sforzo intellettuale, ma è bensì parte del corredo genetico della specie. Il gruppo di Ricerca coordinato da Giacomo Rizzolati, verso la metà degli anni ’90,  utilizzando come soggetti sperimentali dei macachi, osservò che alcuni gruppi di neuroni si attivavano non solo quando gli animali erano intenti a determinate azioni, ma anche quando guardavano qualcun altro compiere le stesse azioni, pur non compiendo essi stessi alcuna azione. Studi successivi, effettuati con tecniche non invasive, hanno dimostrato l’esistenza di sistemi simili anche negli uomini.  I neuroni specchio permetterebbero così di spiegare fisiologicamente la nostra capacità di porci in relazione con gli altri. Quando osserviamo un nostro simile compiere una certa azione si attivano, nel nostro cervello, gli stessi neuroni che entrano in gioco quando siamo noi a compiere quella stessa azione. Per questo possiamo comprendere con facilità le azioni degli altri: nel nostro cervello si attivano dei circuiti neurali che “richiamano” analoghe azioni compiute da noi in passato. Quest’ultima precisazione è molto importante. Infatti sembrerebbe che il “sistema specchio” entri in azione soltanto quando il soggetto osserva un comportamento che egli stesso ha sperimentato in precedenza.  Anche il riconoscimento delle emozioni sembra poggiare su un insieme di circuiti neurali che, per quanto differenti, condividono quella proprietà “specchio” già rilevata nel caso della comprensione delle azioni. E’ stato possibile studiare sperimentalmente alcune emozioni primarie: i risultati mostrano che quando osserviamo negli altri una manifestazione di dolore o di disgusto si attiva il medesimo substrato neuronale collegato alla percezione in prima persona dello stesso tipo di emozione. Un’altra conferma viene da studi clinici su pazienti affetti da patologie neurologiche: una volta perduta la capacità di provare un’emozione non si è più in grado di riconoscerla quando viene espressa da altri. La nozione di empatia è stata oggetto di numerose riflessioni da parte di intellettuali come Edith Stein, Sigmund Freud o Carl Rogers. Quest’ultimo, psicologo statunitense vissuto nel secolo scorso, è  considerato il padre fondatore del Counseling, una disciplina  strutturata sull’empatia e sul rispetto assoluto dell’Altro. Il soggetto empatico non preparato professionalmente a livello emotivo corre il rischio concreto di scivolare nella cosiddetta “iperempatia”, condizione operativamente non utile nella relazione d’aiuto, perché si perde capacità di oggettivare il contesto della persona con cui si è stabilita la relazione comunicativa. Ciascuno di noi ha avuto esperienza (o  ritiene d’averla avuta) di condivisione in un momento doloroso. A livello amicale molto spesso capita di ricevere parole di conforto o solidali, ma il vero supporto in genere si riconosce a posteriori, e consiste nel facilitare il soggetto che è sofferente a prendere consapevolezza del proprio vissuto. In ambito sanitario, ma anche in svariati ambiti  a livello sociale, il rapporto empatico può rappresentare un modo di rapportarsi non sempre istintivo, che implica la capacità di saper ascoltare  raccogliendo informazioni attraverso il linguaggio paraverbale e non verbale del Cliente. Si tratta di un approccio che, per essere messo in atto con effi
cacia, richiede un training che metta in grado l’operatore di gestire le proprie e le altrui emozioni e consenta l’apprendimento di tecniche specifiche di comunicazione. Tuttavia è un investimento che varrebbe la pena di effettuare per chiunque operi nel settore sociale: l’utilizzo dell’empatia nelle cure mediche ed infermieristiche ha un impatto che va molto oltre il semplice aumento di indice di gradimento da parte del paziente. Consente infatti di aprire un canale comunicativo con lui, permettendo di accedere più facilmente alle informazioni chiave sul suo problema, individuare l’approccio terapeutico più appropriato, fornire con più efficacia le informazioni e le indicazioni rilevanti e aumentare la compliance del paziente rispetto alle cure. Non ultimo, rende più gradevole ed agevole il lavoro anche allo stesso operatore sanitario. Appare pertanto auspicabile una diffusione di questo nuovo modo di rapportarsi con l’altrui sofferenza, anche se è indiscutibilmente molto più oneroso di un approccio mutuato dal filtro dell’indifferenza. L’empatia risuona interiormente nella persona che soffre e aiuta a sentirsi meno soli di fronte alla sofferenza. Il Counselor è pertanto formato ad avere una buona conoscenza del meccanismo di trasmissione della comunicazione in tutti gli aspetti in cui si scambiano messaggi, tenendo ben presente che ogni modalità di comunicazione, sia essa verbale, o non verbale, ha un potere di imprimere suggestione nel cliente. L’empatia (e le conoscenze psicologiche fornite nel percorso formativo) sono la chiave del Counseling. La professione di Counselor, non ancora regolamentata in Italia, è viceversa regolamentata in Europa con la precisazione delle competenze e dei limiti. L’Italia dovrà pertanto adeguarsi allo standard europeo stabilendo ex lege le aree di competenza e di intervento del Counselor.