Sul sentiero della vecchia ferrovia

Carmine Paternostro  

In un giorno indistinto d’inverno i raggi di una rara giornata di sole proiettano al suolo ombre d’alberi afflitti e nudi rami contratti.

In mountain bike riprendo l’antico sentiero ferrato della trascorsa Ferrovia Calabro Lucana, dell’infanzia passata.

Penso, ricordo. Le ruote scivolano sui fantasmi di rugginosi binari rimossi, non mi sento in bici: ascolto lo stridio di ruote metallico, il fischio ed il vibrare della vecchia “littorina del fascio”, che penetra tra le gole dei monti, sfiorando l’altezza degli alberi. Da lontano le case affollate a presepe del mio paesello mi fissano. Scompaio dopo la curva, in basso si estende una discreta pianura, alle spalle il superbo Pollino, privato di neve. Fotografo una più volte, immaginando il ricco candore degli anni trascorsi. Ci hanno rubato la neve! Il cuore batte più forte, il ritorno al passato evoca lacrime. Mio padre, al primo lavoro, ad erudire gente di contrade lontane, munito di gesso, impresso sulla scura lavagna ed i tanti migrati in orizzonti lontani, hanno tenuto a battesimo questo percorso. Eterna è la lacrima della madre, che ha affidato il figlio ai binari di un mondo senza ritorno: guerra, emigrazione, attesa di un futuro migliore.

Il progresso cancella, evolve, cerca il diverso, il nuovo, non si accontenta del ritmo d’animi e cuore, memorie. Travolge. Resta il silenzio, un soffio di vento, l’attesa di una primavera che si confeziona di verde. Qui è ancora mondo diverso, è musica d’antica natura, ove in noi è fermo il divenire dei tempi. La nostra povertà è ricchezza: la mano dell’uomo ritarda! Ed io sono qui, ultimo residuo del mio pensiero, abbandonato al ricordo.

Una gomma protesta, si sgonfia. Mi accorgo d’essere in bici, pedalo veloce per ritornare a casa.