L’identità nel web 2.0

Nadia Ruggiero

L’identità, il “self”, è sicuramente uno degli oggetti degli studi sociologici e lo sarà per molti anni ancora, poiché giungerne ad una definizione certa è un’utopia al momento. Già negli anni Cinquanta del secolo scorso, il sociologo canadese Erving Goffman individuava vari “step” della personalità di ognuno, paragonando la vita quotidiana (e i conseguenti rapporti sociali) ad un palcoscenico sul quale gli attori sociali interpretano la propria parte indossando, a seconda del contesto, un volto diverso. I suoi studi sono stati ripresi ed approfonditi da altri sociologhi come Meyrowitz e Jenkins, che hanno dato un nome alle tre unità complementari dell’identità: personale, sociale e collettiva. All’interno dell’universo web, inizialmente, era garantito un certo anonimato, grazie alla blogosfera, o le prime piattaforme di social talking, permettendo agli utenti di “camuffare” la propria identità offline grazie all’uso di nickname. In tal modo, come afferma la studiosa Danah Boyd, l’audience che visualizzava, i “pubblici” con i quali si entrava in contatto erano invisibili, nel senso che l’user non aveva la possibilità di sapere con certezza quante e quali persone si imbattevano nei propri post. Con la nascita e lo sviluppo di Facebook, il primo social network multitasking che ha fidelizzato sia utenti digital native che digital immigrants, i rapporti online si sono sempre più avvicinati a quelli offline, diventando addirittura un’estensione degli stessi (per citare Marshall McLuhan) dando la possibilità agli utenti di stare in contatto anche tutta la giornata nonostante non sia possibile un’effettiva presenza fisica, oltre a recuperare rapporti persi da tempo. In tal caso il pensiero di Danah Boyd viene “superato”, passando da un’audience invisibile ad una immaginabile considerando le ferree impostazioni sulla privacy che ci permettono di mostrare i nostri contenuti soltanto a chi vogliamo, escludendo tutti gli altri. I rapporti online e offline per come si sono sviluppati con il Web 2.0 dominato dai social network e dalle piattaforme (che hanno man mano trasformato gli users in prosumers) non si escludono a vicenda, bensì sono complementari. Ne consegue, negativamente o positivamente, un rafforzamento del “gruppo”, delle identità collettive a discapito di quelle profondamente personali, ma il passo per una completa omologazione delle identità online (che si riscontra poi su quelle offline) è breve, soprattutto per i Millennials e per le categorie di utenti più giovani.