Regione Campania: condono in aree vincolate, riqualificazione paesaggistica ed opere completamento abusive

avv. Giovanni Maria di Lieto   
Il regime della sanatoria edilizia a posteriori – sia quella ordinaria, sia quella speciale da condono – subisce limitazioni rilevanti nelle aree a vincolo paesaggistico, la maggior tutela garantita dall’ordinamento al bene “paesaggio” determinando una compressione della facoltà del privato di regolarizzare a posteriori un intervento edificatorio abusivo.
1) REQUISITI PER LA CONDONABILITA’ DELLE COSTRUZIONI ABUSIVE – CONSIDERAZIONI DI CARATTERE GENERALE
Dispone il co. 2 dell’art. 31 L. 47/85: “Ai fini delle disposizioni del comma precedente, si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente”.
Strutture provvisorie di copertura e di delimitazione perimetrale rispondono a scopi del tutto diversi da quello di definire la volumetria dell’immobile e non assicurano – appunto per il loro carattere provvisorio – la delimitazione definitiva della volumetria che è il criterio fondamentale al quale si è ispirato il legislatore quando ha definito la ultimazione dei lavori ai fini del condono come esecuzione del rustico e completamento della copertura.
“L’edificio deve essere completato nelle parti strutturali, ivi compresa la copertura” (circolare 2241/UL del 1995).
Alla data del 01/10/1983, l’opera – così come richiesto dalla legge – deve essere ultimata nella struttura (rustico, copertura).
Ulteriore conferma della precarietà della costruzione abusiva, della non condonabilità della stessa, della non ultimazione dei lavori, ricorre quando con il permesso di costruire viene non soltanto condonato l’immobile abusivo, ma autorizzata la costruzione ex novo dello stesso (cioè una “nuova opera”). In effetti, in tale ipotesi, non c’è un immobile da sanare, ma una costruzione precaria e viene autorizzata una “nuova costruzione” che comporta una trasformazione “urbanistica” del territorio (tra l’altro – per quanto riguarda la Regione Campania – in violazione dell’art. 5 del PUT nei Comuni con PRG non adeguato al Piano urbanistico territoriale – LRC 35/87).
Le opere di trasformazione autorizzate, in tale ipotesi, sarebbero interventi di nuova costruzione con opere a farsi, non assentibili con un condono edilizio; questa norma speciale infatti attiene alla sanatoria e alla riqualificazione di preesistenti manufatti, ma non consente interventi edilizi di nuova costruzione.
Nel caso di opere abusive non destinate alla residenza (oltre che alle opere interne abusive, al mutamento di destinazione d’uso abusivo), l’ultimazione richiede (requisito ulteriore) anche il “completamento funzionale” delle opere. Le opere cioè devono essere tali da permetterne l’uso in relazione alla funzione cui sono destinate.
In tale ipotesi, si applica l’art. 31 comma 2, L. n. 47 del 1985, secondo cui l’ultimazione (completamento) al rustico non è requisito necessario e sufficiente per il rilascio del condono, richiedendosi anche (requisito ulteriore) che siano stati realizzati i servizi igienici, gli impianti idrico, elettrico, ecc.
Nel caso di edifici residenziali, si intende ultimato l’edificio la cui struttura (rustico e copertura) sia completata, così da rendere immodificabile la volumetria impegnata.
Discorso diverso è l’abitabilità del manufatto per mancanza delle finiture al 31/12/1993. Ma è la stessa legge (art. 39 L. 724/94 e art. 31 L. 47/85) e le circolari interpretative (2241/UL del 1995 e 3357/25 del 1985) a consentire – in riferimento ad edifici residenziali – il completamento del manufatto. Se la documentazione prodotta dà all’interessato la certezza del suo diritto, è tale da consentire al Comune di rilasciare la concessione in sanatoria richiesta.
L’opera è ultimata al rustico – ma non completata – e correttamente l’istante può rappresentare al Comune come l’opera sarà completata nelle finiture, ecc.
Stesso discorso vale per la inidoneità statica della costruzione e per il progetto di adeguamento.
In ogni caso, con riferimento agli edifici residenziali, non ha senso sostenere che l’ultimazione deve corrispondere al “completamento funzionale” delle opere medesime, la legge riferendo tale concetto esclusivamente alle opere abusive non destinate alla residenza, alle opere interne abusive, al mutamento di destinazione d’uso abusivo.
In tale ipotesi, si applica l’art. 31 comma 2, L. n. 47 del 1985 secondo cui requisito necessario e sufficiente per il rilascio del condono è l’ultimazione al rustico, perciò il richiamo a servizi igienici, completamenti di impianti idrico, elettrico, ecc. è del tutto inconferente.
Cioè, si intende ultimato quel manufatto la cui struttura essenziale sia stata realizzata, così da rendere individuabile e immodificabile la volumetria impegnata. Con la circolare esplicativa dell’articolo 39 della legge n. 724 del 1994 (n. 2241/1995) il concetto di «opera ultimata» è stato espressamente collegato alla possibilità di definire, in modo univoco e certo, il volume oggetto di condono edilizio. L’opera è ultimata quando  sia definita nella sagoma, intendendosi per tale l’ingombro plano-volumetrico.
Il volume da sanare deve essere individuabile, certo e univoco secondo le caratteristiche costruttive dell’intervento abusivo.
Al riguardo, la giurisprudenza ha precisato che la disposizione contenuta nell’art. 31, comma 2, della legge n. 47/1985 deve essere intesa nel senso che l’esecuzione del rustico implica la tamponatura dell’edificio stesso, con conseguente non sanabilità di quelle opere ove manchino in tutto o in parte i muri di tamponamento che determinano l’isolamento dell’immobile dalle intemperie e configurano l’opera nella sua fondamentale volumetria.
Così, potrebbe sostenersi che la tamponatura dell’edificio (realizzata in muratura portante) e la tettoia (che costituisce copertura non precaria, ad es. lamierato sorretto da travi di legno) determinano l’isolamento dell’immobile dalle intemperie e configurano l’opera nella sua fondamentale volumetria, così come richiesto dalla legge.
Si tenga presente che la copertura in legno e lamiera potrebbe anche consentire l’agibilità ponendo in opera all’interno semplici pannelli coibenti.
Per quanto riguarda il tetto, la legge impone soltanto che deve “concorrere a definire il volume dell’edificio”.
Comunque, la precarietà della costruzione andrebbe desunta dalla funzione assolta dal manufatto e non dalla struttura e dalla qualità dei materiali usati; la precarietà dell’opera va esclusa quando si tratti di costruzione destinata ad utilità prolungata nel tempo (alla stregua del principio è stato ritenuto necessario il rilascio di una concessione edilizia per una tettoia in eternit con struttura di pali e legno, atteso che tale tettoia risultava preordinata a soddisfare esigenze perduranti nel tempo).
2) OPERE DI RIQUALIFICAZIONE PAESAGGISTICA
Le opere oggetto di istanza di condono devono essere compatibili con gli aspetti paesaggistico-ambientali conseguenti al vincolo paesaggistico, in origine imposto con D.M. ed integrato con il sopravvenuto P.U.T. (Piano urbanistico territoriale – Legge Regione Campania 35/87), sia in termini di impatto  ambientale che di tipologia architettonica e materiali utilizzati.
La natura urbanistico/paesaggistica del P.U.T. è stata riconosciuta dalla legge n. 431 del 1985 laddove (art. 1-bis) si prevedeva che le bellezze naturali ex lege, elencate all’art. 1, fossero sottoposte da parte della Regione a specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale mediante la redazione di piani paesistici o di “piani urbanistici territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici ed ambientali“.
La natura urbanistico-paesaggistica del P.U.T. è poi stata ribadita dal successivo DLgs n. 42/2004 (Testo unico sui Beni Ambientali) laddove all’art. 135 (Pianificazione paesaggistica) comma 1 si dispone che “le regioni sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico – territoriali appunto con specifica considerazione dei valori paesaggistici, entrambi di seguito denominati: ‘piani paesaggistici’. L’elaborazione dei piani paesaggistici avviene congiuntamente tra Ministero e Regioni”.
Quindi, la verifica da parte della Soprintendenza degli interventi abusivi nelle aree dove vige il Put attiene anche alla conformità degli interventi rispetto alle norme del Put.
In particolare, l’art. 26 del P.U.T. prescrive l’utilizzo dei materiali da prevedere nel progetto di riqualificazione evidenziando che “la tipologia edilizia deve tener conto, in senso culturale, della logica costruttiva antica cercando di interpretare il rapporto che si instaurava tra l’edilizia e l’ambiente circostante in conseguenza della tecnologica costruttiva, dei materiali e delle esistenze umane nel rispetto della morfologia dell’area e delle risorse agricole. I materiali devono essere usati in senso naturale e devono rivalutare l’alta tradizione artigianale delle maestranze locali”.
Per le istanze di condono è consentito il completamento con tutte le misure ed interventi edilizi necessari a rendere le opere compatibili con il contesto paesaggistico al momento della valutazione.
In tal senso il protocollo d’intesa stipulato il 25 luglio 2001 tra la Regione Campania e la Soprintendenza ai Beni Ambientali ed Architettonici di Napoli e Provincia (questo protocollo si riferisce anche all’area del P.U.T. che interessa molti comuni della Provincia di Napoli, ricadenti sul versante  Sorrentino), ed avente proprio ad oggetto gli indirizzi da adottare per la sanatoria degli interventi edilizi abusivi realizzati in aree soggette a vincolo paesistico-ambientale, prevede appunto la possibilità di eseguire interventi per il “completamento, la mitigazione e il miglioramento delle opere abusive”.
Il protocollo di intesa testualmente recita:
Il parere di cui all’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47” (quello rilasciato sul progetto in questione) quando favorevolmente reso, dovrà contenere esplicita prescrizione degli interventi, anche di completamento, ritenuti necessari per il miglior inserimento delle opere abusive nel contesto ambientale, paesistico, naturale, al fine della riqualificazione architettonica dei manufatti abusivi.
 Le prescrizioni da impartire deriveranno dalle valutazioni delle caratteristiche intrinseche delle aree interessate dall’intervento e potranno prevedere:
a) la eliminazione di parti ed elementi incongrui rispetto alla preesistenza ed al contesto edificato ovvero incompatibili con i valori paesistici propri del sito di intervento;
 b) il miglior inserimento nel contesto delle opere abusive già completate, attraverso l’imposizione di un insieme sistematico di opere atte a riqualificarne l’aspetto esteriore, in uno con le aree esterne pertinenziali;  le opere dovranno proporre aspetti tipologici ed elementi architettonici che permettano il miglior inserimento nell’ambiente naturale o nel contesto storico-ambientale;
c) il completamento secondo disposizioni prescrittive relative alle caratteristiche ambientali ed all’esecuzione di intonaci, di rivestimenti, infissi esterni, pluviali, tinteggiature, coperture, tettoie, porticati, balconi, finestre, sporti, ringhiere, parapetti in muratura, materiali lapidei ed opere di finitura in genere, con prescrizione di sostituzione qualora quelle già adottate risultino incongrue con i caratteri architettonici ricorrenti ed i materiali tradizionalmente impiegati nell’architettura locale e/o nella zona di intervento”.
In conclusione, si può quindi affermare che nel caso di istanze di condono edilizio l’autorizzazione paesaggistica (ex art. 32 della legge n. 47/85) può legittimamente prevedere misure ed opere di completamento a farsi necessarie per un adeguato inserimento del manufatto (al momento della valutazione da parte della Soprintendenza): il parere emesso da parte della Soprintendenza accerta la compatibilità delle opere oggetto di istanza di condono e delle previste opere di riqualificazione rispetto al vincolo paesaggistico ed al PUT.
In questo senso, si veda la sentenza del Tar Campania Napoli, sez. VII, 14/1/2011, n. 135: “l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria non può essere annullata solo perché si prevedono la ristrutturazione e il completamento di un’opera oggetto di condono. L’art. 32, l. n. 47 del 1985, infatti, non vieta le predette opere; si limita ad affermare che “… il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso”. Neanche i commi 5 e 6, che pure prevedono determinate condizioni per il rilascio della concessione o autorizzazione in sanatoria, vietano opere di riqualificazione dell’immobile. Ed infatti, lo stesso protocollo d’intesa del 25.07.2001 tra la Soprintendenza e la Regione prevedono la possibilità di completamento e di riqualificazione dell’immobile da condonare”.
3) ACCERTAMENTO DELLA COMPATIBILITA’ PAESAGGISTICA E DELLA CONFORMITA’ URBANISTICA DELLE OPERE ULTERIORI DI COMPLETAMENTO ABUSIVE
Ad avviso di chi scrive, dovrebbe farsi preliminarmente questione della intrinseca natura delle opere di completamento abusive e della loro sanabilità in astratto.
Nel senso che sono sanabili tutti gli interventi edilizi abusivi ulteriori che hanno natura manutentiva e di completamento, essendo soggetti a denuncia di inizio, che non comportano l’aggiunta di un quid novi rispetto alla struttura preesistente oggetto dell’istanza di condono (non determinando alcun aumento di volume o superfici), non alterando – se non per legittimo completamento – la consistenza fisica della struttura preesistente.
Quanto al concetto di opere di completamento, possono qualificarsi quelle opere non comportanti modificazioni strutturali tali da rendere il manufatto diverso da quello condonando, all’epoca della presentazione dell’istanza completo al rustico e munito di copertura e tompagnature.
In termini negativi, non sono opere di completamento quelle che realizzino nuovi volumi ed aggiungano un quid novi alla consistenza ed alla conformazione strutturale e tipologica dell’edificio. Nel rispetto dei suddetti criteri, appare inoltre pacifico che la finalità della norma (art. 35, co. 13, L.47/85) sia proprio quella di consentire la realizzazione di quegli interventi necessari a garantire la concreta utilizzabilità del manufatto rimasto incompiuto.
Se l’art. 35 L. 47/85 consente il completamento, dovrebbe ritenersi ammissibile ex se la sanatoria delle opere ulteriori, in riferimento alla loro effettiva, propria natura giuridica (cioè, indipendentemente dal previo rilascio del condono della struttura originaria preesistente).
Seguendo questa impostazione, il “meccanismo” della sanatoria delle opere di completamento abusive andrebbe a innestarsi all’interno del procedimento di condono della struttura originaria.
Legittimamente, tenuto conto anche dei notevoli frequenti ritardi da parte dei Comuni nella definizione dei procedimenti di condono. E della buona fede che potrebbe sussistere nella realizzazione delle opere ulteriori. Anche ad evitare la parcellizzazione delle contestazioni penali e amministrative sullo stesso bene.
Contra (giurisprudenza prevalente): principio di conseguenzialità logica, nel senso che il condono del manufatto originario funge da ineliminabile presupposto per la sanatoria degli abusi successivi, come può desumersi anche dal testo del citato art. 167 DLgs 42/04 il quale non può che riferirsi ad interventi, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, ma su fabbricati “legittimamente esistenti”, come si evince dalla previsione che tali interventi non devono aver comportato aumento di superfici o volumi rispetto a “quelli legittimamente realizzati”.
“La mera presentazione dell’istanza di condono non autorizza pertanto la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento delle opere oggetto della richiesta di sanatoria, le quali, fino al momento dell’eventuale accoglimento della domanda di condono, devono ritenersi comunque abusive” (T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 03 novembre 2010, n. 22302); Pertanto l’ingiunzione di demolizione è del tutto legittima atteso che “in presenza di manufatti abusivi non condonati né sanati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale, alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione. Ciò non significa negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende istanza di condono, ma solo affermare che, a pena di assoggettamento della medesima sanzione prevista per l’immobile abusivo cui ineriscono, ciò deve avvenire nel rispetto delle procedure di legge, ovvero segnatamente dell’art. 35, l. n. 47 del 1985” (T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 03 dicembre 2010, n. 26788).
4) VALUTAZIONE UNITARIA DELL’INTERVENTO EDILIZIO IN RIFERIMENTO ALLA RIQUALIFICAZIONE PAESAGGISTICA E ALLE OPERE ULTERIORI ABUSIVE 
Ad avviso di chi scrive, l’organo comunale deve valutare unitariamente (con separate istruttorie) la compatibilità paesaggistica dell’intervento edilizio, fermo restando che il giudizio unitario riflette comunque la singola valutazione di compatibilità con il paesaggio di quegli interventi edilizi che hanno modificato l’aspetto esteriore dei luoghi.
La unitarietà dell’esame della pratica è giustificata anche dal sistema normativo che affida alla Soprintendenza il parere vincolante in tutti i procedimenti: ex art. 146 (e quindi ex art. 32 L. 47/85) e ex art. 167 DLgs 42/2004.
L’autorizzazione paesaggistica da rilasciarsi nell’ambito del procedimento di condono non può essere condizionata – subordinata alla sanatoria paesaggistica e tantomeno urbanistica di opere abusive diverse, successivamente realizzate sullo stesso immobile.
Perché le opere ulteriori successivamente realizzate sull’immobile oggetto dell’istanza di condono non influiscono sui requisiti relativi alla condonabilità urbanistica e paesaggistica del manufatto oggetto dell’istanza di condono (ultimazione al rustico, ecc.).
Del resto, si sottolinea l’assenza di una specifica previsione normativa nel senso della incondonabilità della struttura originaria in presenza di ulteriori opere abusive. Quel che importa è che sia chiaro e documentato lo stato dei luoghi originario.
Si può parlare di procedimenti collegati-connessi nel senso che prima deve concludersi favorevolmente il procedimento relativo al condono (con il previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica); poi, può essere rilasciata la sanatoria urbanistica e paesaggistica delle opere ulteriori di completamento e manutentive, sussistendone i requisiti e presupposti previsti dalla legge.
Si può parlare di procedimenti autonomi perché, pur essendo trattati unitariamente e collegati – tenuto conto che hanno ad oggetto lo stesso bene -, mantengono la loro autonomia.
In altri termini, più precisamente, l’esame della pratica deve essere unitario, fermo restando che il giudizio tecnico discrezionale sulla compatibilità paesaggistica deve riguardare (con valutazioni distinte)  i singoli interventi edilizi, nell’ordine: a) struttura preesistente oggetto dell’istanza di condono; b) opere abusive ulteriori, di completamento e manutentive, oggetto dell’istanza di sanatoria; c) progetto di riqualificazione paesaggistica.
Quindi, occorre esame unitario della pratica, ma valutazioni tecnico discrezionali distinte sui singoli interventi (e distinte devono essere le relative istruttorie).
Le opere ulteriori di completamento e manutentive successivamente realizzate sull’immobile oggetto dell’istanza di condono non devono influire sui requisiti relativi alla condonabilità urbanistica e paesaggistica del manufatto oggetto dell’istanza di condono (ultimazione al rustico, ecc.). Non deve trattarsi di addizioni di carattere strutturale.
Stesso discorso vale per il progetto di riqualificazione, che è destinato ad assolvere alla funzione propria di consentire e/o migliorare l’inserimento del manufatto abusivo nel contesto tutelato attuale, tenuto conto che l’istanza di condono è spesso risalente nel tempo e l’immobile è stato realizzato con finiture e materiali risalenti a molti anni addietro ed il più delle volte paesaggisticamente incompatibili e con motivi architettonici e formali avulsi dall’attualità (e colpevolmente, l’Amministrazione spesso si pronuncia a distanza di molti anni dalla presentazione dell’istanza). Il progetto di riqualificazione non deve mirare alla sostituzione della struttura abusiva originaria, che deve essere di per sé suscettibile di condono (non influisce sui requisiti relativi alla condonabilità urbanistica e paesaggistica del manufatto oggetto dell’istanza di condono originaria). Non deve trattarsi di addizioni di carattere strutturale.
In altri termini, sia per le opere ulteriori, sia per il progetto di riqualificazione, non deve profilarsi né elusione dell’oggetto, né dei termini perentori stabiliti dalla normativa sul condono.