Lacrime invisibili, sindrome Sjogren: intervista presidente A. N. I. Ma. S.S., Lucia Marotta

Michele Gagliarde

Lo scorso sabato, durante la serata di premiazione del prestigioso festival cinematografico  ArTelesia tenutosi a Benevento nel teatro De Simone, è stato proclamato  vincitore  nella categoria “DIVabili” il corto “L’amante Sjogren” realizzato da UNICORNO visioni parallele per l’A.N.I.Ma.S.S. (Associazione Nazionale Italiana Malati Sindrome di Sjogren), volto a sensibilizzare l’opinione pubblica su questa rara e grave malattia che purtroppo, al giorno d’oggi, non è stata ancora inserita nell’Elenco delle Malattie Rare e nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) e dunque non è oggetto di alcuna tutela da parte delle istituzioni. Abbiamo avuto modo di intervistare per l’occasione la dott.ssa Lucia Marotta, presidente dell’associazione e ideatrice del corto, che si batte da 11 anni per il diritto alla salute di chi, come lei, è affetto da questa patologia fortemente invalidante ma che risulta, ancora troppo spesso, abbandonato a causa dell’invisibilità con la quale la malattia stessa si manifesta. D: Ci spieghi brevemente cos’è la sindrome di Sjogren e come essa si manifesta. R: La Sindrome di Sjogren è una rara e grave patologia autoimmune, sistemica e degenerativa. Si tratta essenzialmente di una malattia del sangue, nella quale un infiltrato linfocitario aggredisce principalmente le ghiandole che producono saliva e lacrime, provocando secchezza agli occhi e alla bocca, ma può colpire tutte le mucose dell’organismo, come pelle, genitali, esofago, naso, reni, pancreas, fegato, cuore e polmoni. Nessun organo è risparmiato, per non parlare dei casi nei quali la malattia si associa ad altre gravi patologie quali sindrome fibromialgica, tiroidite di Hashimoto, artride reumatoide o degenera in linfoma no hodgkin con una mortalità del 5-8%. Essa colpisce in Italia circa sedicimila persone e 9 volte su 10 sono donne. La malattia può sorgere anche in età giovanile, con un picco tra i 20-30 anni e tra i 40-50. I sintomi sono principalmente secchezza oculare e orale, ma anche di altre parti del corpo e dolori osteo-articolari. Oltre ai sintomi ci sono anche degli esami positivi ematici: alterazioni delle GGT, della VES, ENA, ANA ecc. La diagnosi risulta spesso difficile a causa della varietà dei sintomi e della possibile confusione con altre malattie. Sebbene sia una patologia altamente invalidante con pesanti conseguenze sulla qualità della vita del paziente e con forti ripercussioni socio-familiari, attualmente in Italia non esiste una vera e propria ricerca sulla malattia, resa difficile anche dal fatto che si tratti di una malattia poligenica che interessa diversi geni e non uno soltanto e che per anni sia stata campo quasi esclusivo della reumatologia e in parte dell’immunologia,quando invece necessiterebbe per la sua natura sistemica di un lavoro di ricerca multi-disciplinare che coinvolga un team di specialisti appartenenti a varie branche della medicina. Essendo una patologia rara, inoltre, essa non suscita molto interesse a causa della sua bassa incidenza, cosicché spesso i pazienti sono spesso lasciati totalmente a loro stessi, in balia della malattia finché non sopraggiunge la morte. D: Ci parli brevemente del suo rapporto personale con la malattia e di ciò che ha dovuto affrontare. R: Quando ho scoperto di essere malata 18 anni fa, all’età di 33 anni, mi è crollato il mondo addosso. All’epoca la malattia era quasi totalmente sconosciuta. Ho subito ben 5 ricoveri, per non parlare delle innumerevoli visite specialistiche per le quali ho dilapidato buona parte del mio patrimonio familiare. Ho dovuto informarmi da sola cercando documenti sui siti inglesi e facendo io stessa spesso formazione ai medici che mi visitavano, i quali sapevano poco o nulla della malattia. Sono stata considerata anche una malata immaginaria e perfino una malata psichiatrica. È a quel punto che scatta la mia ribellione e decido nel 2005 di fondare l’ A. N. I. Ma. S. S. , per tutelare il diritto alla salute di chi, come me, se l’è visto negare da medici che formulavano, spesso  frettolosamente, sentenze senza ascoltare l’ammalato e i suoi bisogni. Da allora grandi passi sono stati fatti ma la strada è ancora lunga e la ricerca di una cura o almeno di un farmaco in grado di bloccare la malattia è ancora purtroppo lontana. Allo stato attuale inoltre non ci sono farmaci che guariscono ma solo palliativi (principalmente lacrime e saliva artificiale, antinfiammatori)  con forti controindicazioni ed effetti collaterali e che sono totalmente a carico del paziente con notevole dispendio economico. D: Da quando lei ha fondato l’associazione che cosa è effettivamente cambiato? Quali sono i progetti che avete messo in campo? Negli anni ci siamo mossi a livello politico con varie interrogazioni parlamentari rimaste purtroppo inascoltate. A livello assistenziale offriamo ai malati informazioni, assistenza, consulenza psicologica, ascolto ed accoglienza. Dal 2008 offriamo agli associati con la sindrome un servizio specialistico altamente qualificato e gratuito, presso l’Università di Verona, di Roma e dal 2014 di Salerno. Siamo inoltre riusciti ad ottenere un provvedimento legislativo della regione Veneto a favore dei malati con un rimborso di 50 euro per i farmaci. Promuoviamo la ricerca attraverso il progetto “Un premio per la Vita” istituendo borse di studio per giovani medici specializzandi. In quanto psicopedagogista, ho inoltre creato un progetto di teatroterapia per i malati e i loro famigliari che ha prodotto uno spettacolo umoristico “La malata immaginaria” che è andato in scena presso vari teatri. Ho inoltre scritto un libro di fiabe “La principessa Luce e Lo Gnomo Felicino” e una raccolta di brevi storie dal titolo “Dietro la sindrome di Sjogren”dove narro, con lo stile coinvolgente e appassionato che scaturisce dal racconto,  il vissuto personale di 50 donne affette dalla sindrome e i problemi che ogni giorno si trovano ad affrontare non solo a livello fisico, ma anche psichico ed emotivo, nella società e nella famiglia. Credo molto nelle potenzialità della medicina narrativa e nelle possibilità che il racconto ha di creare un dialogo tra il malato e il lettore/spettatore favorendo un ascolto empatico, fatto non di commiserazione e pietà ma di autentica solidarietà. D: Anche la scelta del logo dell’associazione (un occhio con una lacrima che scende) sembra avere un forte valore simbolico, quasi poetico. È così? Il logo dell’associazione è un occhio con una lacrima proprio perché uno dei primi sintomi della malattia  è proprio questa secchezza degli occhi che ci costringe ad assumere lacrime artificiali. È un qualcosa a cui ho pensato e ripensato, come se quella singola lacrima rappresentasse tutte le persone che, affette dalla sindrome, non riescono a “piangere”, a far trasparire la loro sofferenza attraverso delle manifestazioni che gli altri possano vedere, e per questo rimangono inascoltate. Siamo 16000 lacrime invisibili. E poi l’occhio è lo specchio dell’anima, l’organo che trasmette di più la nostra interiorità, ciò che siamo. Non a caso l’acronimo dell’associazione è A.N.I.Ma. S. S. (anche questa una scelta pensata) ed io in questa associazione, che è parte di me, davvero ci metto l’anima!  D: Il corto premiato al festival, “L’amante Sjogren”è tratto da un racconto omonimo del suo libro. Ci parli della sua realizzazione.  È un progetto che ho voluto fortemente, soprattutto perché ritengo che il cinema sia in grado di comunicare in una maniera ancora più immediata rispetto alla scrittura ed a un pubblico più vasto. Ci sono voluti un po’ di anni perché gli sforzi per questo progetto portassero dei frutti, ma alla fine il corto è stato molto apprezzato, divenendo finalista  al “Festival Internazionale del Film Corto Tulipani di Seta Nera” promosso dalla Rai ed essendo risultato vincitore a questo festival. La storia nel libro è essenzialmente la stessa, se con una lieve differenza. Nel racconto Anna, la protagonista, deve affrontare la separazione da un marito che non la comprende mentre nel corto la separazione è già avvenuta ed è il figlio a sospettare che la madre abbia un amante, salvo poi scoprire che in realtà ciò che la madre nascondeva al figlio era la malattia. I due attori, Daniela Poggi e Gabriele Rossi, sono stati sublimi nel rendere questo rapporto contrastato tra madre e figlio e nel raccontare la malattia con leggerezza e soavità. Il corto infatti non tratta dei sintomi fisici della malattia se non con qualche breve squarcio, ma si concentra sulla sua invisibilità e sugli ostacoli che il malato deve affrontare per essere compreso persino nella sfera familiare. Spesso all’associazione arrivano storie di persone distrutte, che a causa della malattia hanno dovuto affrontare  una separazione da un coniuge o un familiare che non le ha comprese o le ha abbandonate al proprio destino. Questa malattia, infatti, si manifesta in modo talmente subdolo che non ha manifestazioni evidenti, ma porta una così grande situazione di dolore e invalidità che anche al familiare che si prende cura dell’ammalato tocca un carico molto grande. Ora che la malattia sta iniziando ad essere conosciuta, ritengo che il pubblico sia pronto a un grande film di denuncia che si soffermi non solo sull’invisibilità sociale della patologia, ma anche sui suoi terribili effetti fisici e psichici. D: Qual è il messaggio che intendete trasmettere con queste realizzazioni cinematografiche? Speriamo che attraverso la proiezione di questo corto e del film che seguirà le istituzioni finalmente siano smosse nella coscienza e ascoltino il grido di chi, come noi, non ha voce. Il cinema è inoltre un canale privilegiato per portare a conoscenza delle persone temi difficili come quello delle malattie rare e creare una rete solidale che possa finalmente dare speranza a chi potrebbe averla, ma purtroppo gli viene negata. D: Quale messaggio si sente di dare alle persone affette come lei dalla sindrome e quale invece ai lettori? Come possiamo sostenervi? Ai malati come me dico: uscite fuori! Non rinchiudetevi in voi stessi: non serve a nulla. importante “lamentarsi” per una giusta causa, è importante fare denuncia e combattere insieme per un nostro diritto che è la salute. L’associazione è pronta ad accogliervi e a sostenervi: in cambio vi chiede solo di credere in questa lotta che faremo insieme, prendendoci per mano. Ai lettori dico: non lasciateci soli. Per sostenerci potreste pensare ad esempio di donare all’associazione il vostro 5 per mille nel 730 o Cud inserendo il nostro Codice Fiscale 93173540233: anche un piccolo aiuto è prezioso per supportarci nella nostra dura lotta contro l’indifferenza.