Napoli: testamento poetico Marco Amendolara a Palazzo Reale

Giovedì 20 novembre al Palazzo Reale di Napoli, con inizio alle ore 17,30, si svolgerà la presentazione, del libro postumo di Marco Amendolara “Il corpo e l’orto. Poesie 2005-2008” (Edizioni La Vita Felice di Milano, con una postfazione di Renzo Paris). L’incontro, nato dalla collaborazione del Premio Napoli, la rivista di poesia Levania  e il Fondo Librario Donazione Marco Amendolara c/o Centro Documentazione per le politiche del Lavoro e del Mezzogiorno, Salerno, sede dell’ Associazione Marco Amendolara, presieduta da Alfredo Nicastri, che è nata dalla comune e spontanea esigenza di un gruppo di persone, legate a Marco da vincoli di affetto e di stima, di dare seguito al profondo dialogo intellettuale ed umano da lui iniziato, vedrà l’introduzione critica e il coordinamento di Ugo Piscopo, l’analisi di Aldo Masullo e le testimonianze di Eugenio Lucrezi e Ferdinando Tricarico. “Quando non hai corpo ti conosci meglio, scorre e dice l’acqua? mentre si specchia in te;?quando non sei corpo susciti ogni meraviglia? e, meravigliato, sei sbigottito dalla conquista.?La natura ti annulla, è niente e tu sei natura”. (da “Il corpo e l’orto”). “Affrontando il tema del corpo – scrive nella postfazione Renzo Paris – che è orto e vegetazione, tema dell’ultimo Novecento, attraverso la cultura francese che più lo osannava, Amendolara ha recuperato la grande poesia del passato, quella virgiliana per intenderci, meglio, con la quale è finalmente fuoriuscito dal corpo”. Il giardino e il grembo, l’orto, il recinto dell’amore e la fonte della vita: il concetto fecondità, fertilità, creatività, vita desiderio del luogo felice risiede nell’orto, la sua idea rivela contenuti vitali che esprimono desideri e speranze maturati in questo spazio e ne costituisce il simbolo vivo. “La nostra salvezza è la morte, ma non questa”, scrive Franz Kafka nel 1918. Le ultime raccolte di poesie di Marco contengono la sorpresa del rifiuto, l’amaro stupore che il mondo fosse diverso e non potesse seguirlo in un discorso per lui così felicemente ovvio, perché immediatamente coincidente con la vita. Le sue immagini seguitano a fiorire formalmente con lo stesso distacco, ma uno sguardo che ne penetrasse l’ultima scaturigine ne scoprirebbe, un esile stelo che potrebbe chiamarsi trepidazione della propria diversità. Lo stelo c’è, ma è un presupposto tutto personale, e il lettore che non ne fosse informato sarebbe autorizzato ad affermarne l’inesistenza e a interpretare l’immagine nelle chiavi più disparate. E’ qui la chiave de’ “Il corpo e l’orto” ove si rivela il reale contenuto della passione di Marco Amendolara, il suo indisciplinato eros, poiché tutto il volume è un florilegio di versi d’amore. Gioia, joie, che è in connessione con gaudium, e che viene da getheo (gioisco), si compone in ogni caso del Ghe della terra. Ecco allora che l’umano, arrivato in fondo alla sua via, dovrebbe uscir fuori, concludere il viaggio, saltar via dal “mezzo” o dalla “corda”(F.Kafka), e se il mezzo è “la fine” dell’umano, saltar via anche dalla fine. Marco, con questi versi, ci comunica di aver messo le ali, di aver appreso le ali, per svoltare verso la gioia, andando incontro a Ghe, liberandosi del suo corpo, riaccendendo il romanzo, un nuovo romanzo, rifiutando di tenersi aggrappato alla corda, ai linguaggi, al vedere e al non voler vedere, all’accecarsi, all’assordarsi, al cadere e ricadere sempre nello stesso posto, riconquistando l’agognato mistero del primordiale.