Google e i suoi fratelli: l’impero del web

Amedeo Tesauro

L’incontro informale tra i ministri delle telecomunicazioni europei tenutosi a Milano tra il 2 e il 3 ottobre è stata l’occasione per discutere dei grandi temi della società dell’informazione: governance, possibilità di sviluppo, privacy, diritto all’oblio, ecc. Si tratta di tematiche dove l’impegno della politica è quasi sempre inconsistente: troppo instabile e frammentato il terreno in cui ci si muove per riuscire a venirne a capo. Eppure i temi sono scottanti, e chiamano in ballo i giganti del settore dell’informazione, le grandi corporation che rapidamente sono diventate pezzi insostituibili della nostra routine. Facebook, Apple, Microsoft e naturalmente Google, limitandoci alle più conosciute, se si ha a che fare col web e la tecnologia è praticamente certo che ci si affidi ai prodotti e ai servizi di queste aziende, impossibile o quasi navigare e sfruttare le nuove possibilità della Rete senza concedersi ai grandi giganti dell’hi-tech. Ecco allora che la Rete ha negli anni costruito un gruppo più o meno ristretto di padroni che notevolmente influenzano le nostre vite, aziende in grado di fare profitti come nessuno e in molti casi abili nel vendere un’idea al grande pubblico. Cosa sarebbe la Apple senza l’idea di anticonformismo, genialità e ricercatezza che Jobs insistentemente predicava? E Google e la sua facciata “easy” e alla mano? Naturalmente da tempo le aziende pubblicizzano ben più della propria merce, non c’è di certo niente di strano in questo. Eppure dato il modo in cui la società dell’informazione ci facilita la vita, tanti sono stati disposti a credere alle multinazionali del web più di quanto credessero ad altre multinazionali in altri settori, o almeno questa era la tendenza. Da più parti ci si è accorti del presenzialismo di queste marche e delle loro merci, tale che non si sbaglia a vedere un mondo della tecnologia dominato da pochi influenti brand in grado di determinare l’avanzamento dell’intero settore, aziende per giunta abili nel fiutare le novità e farle proprie in modo da garantirsi una nuova prosperità (quante volte abbiamo letto di start-up acquistate dai colossi del business?). Google, presente ovunque con la sua molteplicità di servizi, diviene dunque oggetto d’assedio da parte di tanti, ben disposti a riportare nei limiti il potere di una multinazionale che fa, non a torto, paura. Rupert Murdoch, magnate delle comunicazioni tradizionali, li accusa di tempo di distruggere i vecchi giornali e poche settimane fa ha rincarato la dose; il boss di Wikileaks Julian Assange vede nella grande G un complice del governo americano e teme un mondo dove i dati di tutti sono in mani a pochi; la politica parte all’attacco riguardo le tasse pagate in paradisi fiscali tuttavia perfettamente legali. È un’epoca di stabilizzazione, dopo il boom del web degli anni 2000 ora si fa i conti con i nuovi poteri e le nuove problematiche emerse, muovendosi a gattoni in un ambiente dai confini incerti. Certo è che il pallino della discussione si è spostato ben al di là della tecnologia e del benessere dato da essa: questioni morali e legali (privacy, diritto all’oblio), economiche (il futuro di tanti business minacciati dal web), e infine politiche (il potere reale di influenzare il mondo di queste corporation). Decisamente oltre le simpatiche animazioni che Google mette nella sua homepage.