Le sfide di Renzi

Angelo Cennamo

La dote migliore di Matteo Renzi, a detta di molti, è il dinamismo. Per altri, i suoi detrattori, la paraculaggine. Il giovane premier ha un’agenda fitta di riforme e di incontri ravvicinati di ogni tipo, da Obama alle scolaresche calabresi. Giudicare oggi la sua azione di governo è onestamente ancora troppo presto. Ma dato il personaggio e la fretta con la quale ci ha abituati a fissare le scadenze (una riforma al mese), un’opinione su quanto è stato fatto (poco) e quanto resta da fare (molto) potremmo anche abbozzarla. Senza voler tener conto della legge elettorale, approvata da un solo ramo del parlamento e non ancora al sicuro da possibili agguati, ad oggi, il governo Renzi ha adottato due soli provvedimenti. Il primo è il dl Poletti, con cui è stata allungata fino a tre anni la durata dei contratti a termine ( provvedimento interessante per la sua natura flessibile e liberalizzatrice – ma attenzione a non gridare vittoria : nel Pd e nel sindacato sono già scoppiate le prime fibrillazioni). Il secondo è il superamento, e non abolizione – che sarà, invece o forse, realizzata con la modifica del Titolo V della Costituzione – delle Province, con la creazione di 10 aree metropolitane, le cui reali competenze sono però ancora da decifrare. Le altre riforme che l’ex sindaco di Firenze ha messo in cantiere sono : l’abolizione del bicameralismo perfetto, attraverso il superamento del senato ( in che termini, non è stato ancora deciso); la modifica  – come dicevamo – del Titolo V, ed una rivoluzionaria riscrittura della legislazione sul lavoro, mediante l’introduzione di un contratto unico per tutti con garanzie progressive ( Jobs Act). Oltre tutto questo, Renzi promette pure il pagamento dei debiti che la Pubblica Amministrazione ha contratto con le imprese ( circa 70 miliardi), da saldare entro il mese di luglio. Anzi no, entro settembre 2014. Ma la riforma, come dire, più rumorosa, ad effetto, e soprattutto decisiva, quella su cui Renzi si è giocato la faccia, è un’altra. E cioè : l’aumento di 80 euro in busta paga per tutti i lavoratori dipendenti che guadagnano fino a 25 mila euro l’anno. Se non dovesse scattare per maggio, chiamatemi “buffone”, disse il guascone  mentre ne dava il clamoroso annuncio a margine del primo cdm. Lo farà? Non lo farà? E se si, con quali coperture? L’interrogativo è a dir poco amletico. Anche perché l’uomo che il governo ha incaricato di racimolare i quattrini per far fronte a questo programma ciclopico, di denaro fresco e disponibile ne ha trovato ben poco : all’incirca 4 miliardi. A tanto ammonta, infatti, il saldo per il primo anno della cosiddetta spending review o riduzione di spesa che dir si voglia. Ora, maggio è alle porte e per mantenere la promessa degli 80 euro ( semprechè non si tratti di un’una tantum) di miliardi ne servirebbero almeno 10. Renzi contava di trovarne sei o sette innalzando il deficit dal 2,6% – così è stato calcolato per il 2013 – al 3%. Ma la Cancelliera Merkel e Manuel Barroso hanno già lasciato intendere che non gli sarà consentito. Dunque? Maggio è anche il mese delle elezioni europee. Da sempre, un test per altre competizioni considerate dai nostri connazionali più importanti ed avvincenti. Stavolta però non sarà così. In Europa, Francia in testa, soffia il vento della protesta, e il fronte degli antieuropeisti si allarga di giorno in giorno. Anche in Italia. Riuscirà Renzi a convincerci che solo la Ue e l’euro potranno farci uscire, come dice lui, dalla palude? Ce la farà a frenare il populismo, anche legittimo, di chi si è stufato del fiscal compact e della tecnocrazia asfissiante di Bruxelles?