Per non dimenticare, far camminare le idee: Giovanni Falcone

Giuseppe Lembo

Giovanni Falcone, nella sua azione contro la violenza delle mafie, aveva un punto fermo. Per lui era di primaria importanza l’impegno umano di far camminare le idee. Un impegno di umanità e di giustizia che può, sempre e comunque, mettere ordine al disordine anche in situazioni difficili se non impossibili. La forza delle idee, prima ancora della forza degli uomini chiamati a far rispettare le leggi; è assolutamente primaria per combattere il crimine organizzato che si avvale, tra l’altro, di una silenziosa complicità diffusa, un muro del tutto impenetrabile che rende le mafie sempre più forti e sempre più capaci di agire a testa alta, sfidando tutto e tutti; sottomettendo tutto e tutti ai propri innominabili voleri di violenza e di ingiustizia umana, per crescere con la violenza nella materialità delle cose, facendo accrescere di pari passo il proprio fare violento per sottomettere innaturalmente tutto ciò che è nato per essere libero e per vivere in libertà la propria vita insieme agli altri.

Perché nel nostro Paese e soprattutto al Sud, c’è tanta, tanta gratuita violenza organizzata? Perché lo Stato non fa il suo dovere di garanzia, lasciando all’antistato  del crimine organizzato campo libero per imporre con la violenza non le idee, ma la negazione assoluta delle idee che, con la forza vengono del tutto cancellate; vengono annullate e private di quel valore che è necessario tenere in vita per conquistare le coscienze, purtroppo, abbandonate a se stesse e protagoniste sempre più perdenti nell’opporsi a chi fa della prepotenza e soprattutto della violenza un proprio ed unico maledetto modello di vita?

Un Paese è veramente democratico se sa rispettare le idee; se sa vivere nel reciproco rispetto degli uni per gli altri.

Un Paese è veramente civile e democratico se sa confrontarsi e trarre dal dialogo, le giuste scelte, appellandosi a quei principi etici che sono le fondamenta e la vera forza di ogni sana e matura democrazia, la sola a poter garantire a tutti quegli obiettivi di giustizia sociale e di eguaglianza di opportunità, i veri ed insostituibili pilastri di un Paese che si preoccupa di tenere alti i valori condivisi e la qualità della vita di tutti i suoi cittadini.

Come e che fare per garantire l’ordine nel disordine più sfrenato? Come riportare il disordine all’ordine? Sicuramente servono le leggi; servono le norme chiare, universali e condivise.

Pur riconoscendone l’importanza, non bastano. Non bastano per dare forza e concretezza all’etica, un valore che dovrebbe essere di tutti; ma così non è, in quanto, sempre più spesso viene violentemente calpestato e/o ancora peggio cancellato del tutto.

L’etica è, come definita dal Papa Francesco, uno dei “valori non negoziabili”; deve assolutamente prevalere su tutto. Non può cedere ai violenti ed alle violenze che, con indifferenza pensano di essere nel giusto, quando agiscono contro chi è attivamente garante e protagonista di umanità e di giustizia. Oggi più che nel passato assistiamo alla nascita di nuove e crescenti forme di violenze; assistiamo al protagonismo negativo di nuove orde di violenti che si costruiscono un diabolico io di violenza, rendendo fortemente disarmonico il rapporto anche con se stessi.

 

Le organizzazioni criminali del Sud, sono le male piante di una situazione di profonda disuguaglianza e di un’assenza complice dello Stato; un’eredità feudale, genesi di un crescente e diffuso crimine organizzato in diverse realtà umane ed in altrettanti diversi territori del Sud e, purtroppo, non solo del Sud.

Un riferimento simbolo di grande impegno di umanità e di giustizia è Giovanni Falcone; nato a Palermo il 18 maggio 1939, morì barbaramente assassinato a Capaci – Palermo il 23 maggio 1992. Sotto il piombo assassino, con Giovanni Falcone morì anche la moglie Francesca Morvillo ed alcuni uomini della scorta.

Siamo alla strage di Capaci; una strage di mafia; una lotta violenta del crimine contro la legalità e lo Stato.

Ad uccidere Giovanni Falcone fu il piombo assassino di Cosa Nostra.

Tanti sono gli anni ormai passati; una ferita purtroppo inguaribile ed ancora aperta e sanguinante.

La morte di Giovanni Falcone ci appartiene; è parte viva di tutti noi; non va assolutamente dimenticata; va ricordata affinché crimini disumanamente feroci come quello del giudice Falcone, non succedano mai più nel nostro Paese, se vogliamo ancora considerarci un Paese civile; un Paese capace di far camminare le idee; un Paese che, nonostante tutto, sa ancora guardare avanti e pensare che l’insieme italiano possa continuare a dare linee guida per un futuro possibile.

Insieme a Borsellino Giovanni Falcone è l’eroe simbolo della lotta dello Stato italiano alla mafia; una lotta forte e determinata che resero Falcone una persona umanamente scomoda e da eliminare per garantirsi la continuità del male sul bene.

Falcone agì con convinta determinazione nella sua lotta senza quartiere alla mafia, un cancro mortale dannoso al buon vivere nel presente ed ancor più per costruire il futuro, basandolo sul comune senso della giustizia.

Falcone fu un attento studioso del fenomeno mafioso in Sicilia; capì bene che per indagare con successo era assolutamente necessario condurre a fondo le indagini anche sui patrimoni, ricostruendone il percorso attraverso il denaro che accompagnava i traffici ed avere così un quadro complessivo del fenomeno.

E così che Giovanni Falcone entra nei meccanismi infernali di Cosa Nostra; seguendo i soldi, attraverso le Banche arriva a definire il quadro di una gigantesca organizzazione del narco-traffico con collegamenti fra mafia americana e mafia siciliana.

Sono anni difficili e violenti per Palermo e per tutta la Sicilia; sono gli anni in cui si registra l’ascesa prepotente dei Corleonesi. C’è in atto una feroce guerra di mafia.

Vittime eccellenti di un olocausto senza fine, sono Pio La Torre, per la mafia responsabile di avere introdotto nel codice penale il reato di associazione mafiosa ed il generale Carlo Alberto Della Chiesa.

Il clima che si respira a Palermo è incandescente.

La ferocia della mafia non conosce limiti; sono continue le aggressioni allo Stato italiano ed ai suoi uomini.

C’è tanta preoccupazione; c’è un clima da vero e proprio allarme rosso.

Giovanni Falcone è attivamente protagonista nella lotta senza quartiere alla mafia; cerca di combatterla aggredendola nei suoi mondi naturali di Palermo e di New York, dove si adoperò in un’attiva collaborazione con l’FBI.

È il tempo sofferto di altri morti eccellenti; di piombo mafioso morirono il Capo della Mobile Boris Giuliano ed il Capitano dei Carabinieri Emanuele Basile.

Giovanni Falcone, astro nascente del giustizialismo italiano, si dà un positivo metodo d’indagine, meglio conosciuto come metodo Falcone; un metodo basato sull’attiva collaborazione tra l’Italia e l’America; tra Palermo e New York.

I primi positivi ed importanti risultati vengono con la condanna di Rosario Spatola ed altri 75 componenti della sua cosca mafiosa.

A Palermo cresce l’attivismo giudiziario contro le cosche mafiose.

Rocco Chinnici costituisce un utile gruppo di lavoro composto dai giudici Falcone, Borsellino e Giuseppe Di Lello.

Purtroppo la violenza mafiosa non dà tregua; continua a mietere vittime eccellenti.

Il 29 luglio 1983, anche Chinnici viene barbaramente ucciso dalla mafia.

Una vittima eccellente che scuote e non poco i palazzi del potere sia politico che giudiziario.

A Chinnici, subentra Antonio Capannetto che dà vita a Palermo ad un pool antimafia composto da Falcone, Borsellino, Di Lello e Guarnotta.

I quattro magistrati fortemente affiatati erano uniti dal comune desiderio ed impegno di restituire Palermo ai palermitani e la Sicilia ai siciliani onesti.

Con forte determinazione, a tempo pieno, il pool si occupa dei processi di mafia, attivando la funzione strategica della condivisione delle informazioni tra tutti i componenti.

Una soluzione di grande validità per combattere la mafia; nel 1984 assistiamo ad una svolta epocale nella lotta alla mafia; viene arrestato Tommaso Buscetta che alla fine decide di collaborare con la giustizia, rendendosi preziosamente utile non tanto per la conoscenza di determinati fatti, quanto e soprattutto per capire la struttura dell’organizzazione di Cosa Nostra.

Siamo ai tempi del maxiprocesso che iniziò il 10 febbraio 1986 e terminò il 16 dicembre 1987.

Il maxiprocesso, un vero e proprio evento storico, si chiuse con 360 condanne per complessivi 2.665 anni di carcere e ben 11 miliardi e mezzo di lire di multe da pagare.

È un grande successo per il Paese; un grande risultato per la giustizia italiana che finalmente riesce ad infliggere un duro colpo a Cosa Nostra.

Borsellino lascia il pool; viene nominato Procuratore della Repubblica a Marsala.

Falcone subisce un primo fallito attentato; lo attribuisce a “menti raffinatissime” che volevano bloccare a tutti i costi un’inchiesta sul riciclaggio, con possibile collusione tra soggetti occulti e criminalità organizzata.

Dopo l’attentato fallito Giovanni Falcone fu nominato procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica.

In questo suo ruolo che gli avrebbe consentito di realizzare un forte potere di contrasto alle organizzazioni mafiose, mai prima pensato e tanto meno realizzato, Giovanni Falcone, era un giudice assolutamente scomodo; un giudice da eliminare, così come traspare dalla sua stessa profezia nell’intervista rilasciata a Marcelle Padovani per Cose di Cosa Nostra, in cui dice: “Si muore perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori che lo Stato non è riuscito a proteggere”.

Il 23 maggio 1992, Giovanni Falcone viene assassinato nella strage di Capaci.

Alcuni giorni prima dell’attentato dichiarava “Mi hanno delegittimato, stavolta i boss mi ammazzano”.

A confermare il clima di delegittimazione di Giovanni Falcone sarà il Presidente emerito Francesco Cossiga che, per la sua morte, imputava al C.S.M. (Consiglio Superiore della Magistratura) grosse responsabilità, dichiarando parole che sono di una enorme gravità “I primi mafiosi stanno al C.S.M.”.

E così la doppia faccia d’Italia non finisce mai di stupirci.

Da una parte la grandezza eroica di Giovanni Falcone, un simbolo italiano di giustizia sovrana a tutti i costi; anche a costo, come per Giovanni Falcone, della propria vita, negatagli da un mondo di violenza ferocemente criminale che si pone come forza d’urto contro i poteri dello Stato.

È questa la criminalità; è questa la violenza criminale; è questo il potere e la forza d’urto di Cosa Nostra che come ieri ha ucciso lo “scomodo” magistrato Giovanni Falcone, domani userà con altrettanta determinazione il piombo assassino contro chiunque frapponga ostacoli di civiltà giuridica ai poteri forti e violenti di Cosa Nostra.

Il ricordo di Giovanni Falcone, va oltre, molto oltre, il dovere di non dimenticare.

Il suo esempio, il suo impegno per la vita giusta è un grande patrimonio italiano.

Giovanni Falcone va ricordato e trasmesso al futuro come uomo giusto; come uomo che non si è mai fermato di fronte ai pericoli che mani insanguinate hanno trasformato con la sua morte violenta in un atto di feroce barbaria, uccidendo vigliaccamente un servitore dello Stato in un attentato che sa del sacrificio di un martire dalla forte fede per la giustizia; per quel  mondo giusto contro le violenze e le barbarie di quanti usano la forza bruta per abusare egoisticamente contro l’uomo della Terra, cancellandogli, tra l’altro, anche il sacro diritto alla vita con assurde frontiere di violenza e di morte, causa di traumi indimenticabili per l’umanità che deve saper ricordare, per evitare che si ripetano, offendendo inopportunamente il mondo dei giusti; il ricordo e la memoria del mondo dei giusti.

La mafia è il simbolo del disonore umano; consuma gravi atti di violenza, spesso senza senso.

Una lotta senza quartiere alla criminalità organizzata, è un dovere di tutti gli uomini di buona volontà; tanto, da tutti noi lo dobbiamo a Giovanni Falcone, il giusto d’Italia che non è mai indietreggiato per servire il suo Paese, fino alle estreme conseguenze di una morte barbaramente violenta. Che fare? Impegnarsi informando la gente sul mondo dei giusti; sul diritto alla vita, un diritto dell’uomo, garantito dai giusti dell’umanità; un diritto per cui ha combattuto ed è morto Giovanni Falcone; un diritto che un giorno annullerà i violenti, trasformandoli da vincitori in vinti; da protagonisti di morte in condannati a morte, in quanto ostaggi violenti dentro il buio del tunnel della violenza e della morte.

Giovanni Falcone, con il suo esempio di vita, con il suo fare da giusto della Terra, ci ha lasciato un ricchissimo patrimonio di umanità; è un vero martire della legalità che dobbiamo, oltre che ricordare, rendere attivamente parte di noi, affinché il suo sacrificio produca i suoi buoni frutti, innescando il tanto atteso cambiamento con una società di giusti, una forte e naturale barriera contro la peste sociale rappresentata dal crimine e dalle sue disumane organizzazioni camorristiche e mafiose che vanno annullate soprattutto con le armi della pace, un utile deterrente per cancellare la violenza dell’illegalità diffusa, una vera e proprio peste sociale per l’Italia e soprattutto per l’Italia del Sud che, se vuole innescare i meccanismi del cambiamento, deve attivarsi con tutto il suo insieme umano, nella santa crociata per la lotta alla criminalità organizzata. Tanto, tra l’altro, lo dobbiamo alla memoria di Giovanni Falcone, un grande testimone e martire del nostro tempo, che non ha esitato a dare la vita per il bene dei tanti italiani giusti, cittadini veri in tutte le occasioni e non solo ad intermittenza, rendendosi così complice dei violenti del crimine che sono portatori di disumanità ed in quanto tali nemici dell’uomo della Terra.