Pontecagnano-Faiano: Del Mese “Carcerazione preventiva, tortura!”

 La carcerazione preventiva, ormai abusata ampiamente in Italia, è tortura. Lo dice Amnesty International. Un qualsiasi individuo prima di essere sbattuto in galera dovrebbe subire un regolare processo e, se condannato, essere arrestato. In Italia questo avviene raramente a
causa di processi infiniti e per le storture di una giustizia “giustizialista” che mette i brividi. Cito un esempio recente: l’ex deputato Paolo Del Mese, dopo otto mesi di arresti domiciliari, è
stato incarcerato nonostante l’età e le sue precarie condizioni di salute. Una scelta rapida, contrariamente all’iter dei normali procedimenti italiani. Questa cosa si chiama tortura. Un paese civile come l’Italia non dovrebbe permettere cose del genere, e davvero sembra un accanimento senza precedenti. In uno stato di diritto mettere in galera qualcuno prima di un regolare processo è una cosa antidemocratica e incivile. Non entro nel merito della vicenda giudiziaria che farà il suo corso, ma mi sembra una profonda disumanità mettere in carcere un uomo in precarie condizioni di salute che ha già subito mesi di arresti domiciliari. Gli altri hanno patteggiato, avrebbe potuto farlo anche Del Mese, ma, per un atto di profonda dignità, ha scelto il carcere. Va tutto il mio rispetto a questa scelta pur non avendo mai condiviso la politica dell’ex deputato. La civiltà di un paese si evince dalla equità della sua giustizia. Soprattutto una diversità di trattamento in base al reato di cui si è sospettati. Lele Mora non è come Francesco “Sandokan” Schiavone. Chi si presuppone abbia compiuto reati di natura finanziaria non può essere trattato preventivamente come un pluriomicida. Mesi fa nel carcere di Fuorni (Sa) Carmine Tedesco, arrestato per aver rubato solo una bicicletta, è morto solo come un cane in galera. In carceri che ormai sono gabbie da zoo più che celle di detenzione. C’è poco da fare: in Italia servirebbe una riforma seria in cui anche i magistrati dovrebbero pagare in caso di errore. Ma questo non avviene mai. Chiedetelo ai familiari di Enzo Tortora, chiedetelo a Massimo Carlotto, chiedetelo a Daniele Barillà e ai tanti uomini messi in carcere prima ancora di sapere di cosa fossero accusati. Vorrei ancora credere in uno Stato di diritto, ma faccio
fatica a credere che in una democrazia moderna ogni uomo possa essere privato della propria libertà prima di essere giudicato colpevole.
Andrea D’Ambrosio- Regista