Conoscere i Balega (Congo Rd): il problema del male

Padre Oliviero Ferro

Il male è opera dell’uomo, sotto l’influsso del “poliziotto cattivo di Dio”, il diavolo, unico responsabile del male. A volte gli uomini diventano cattivi, senza saperlo. Ma hanno anche la possibilità di combatterlo o di diminuirlo ed è per questi che bisogna iniziare una dura educazione, quando l’uomo è ancora bambino. Attraverso storielle avvenute o inventate si insegna ai ragazzi ad essere ingegnosi e furbi, soprattutto nel conoscere i pericoli e a trovare sempre il modo di superarli senza stupidamente adagiarvisi e diventare così preda delle difficoltà. Normalmente il cattivo è colui che commette la colpa e la sua colpa è conosciuta. Se uno non ammetteva la colpa, veniva sottoposto all’ordalia, al giudizio di Dio, attraverso il mettere il braccio nell’acqua bollente. I Balega non hanno mai conosciuto la schiavitù, né che fossero alle dipendenze di un altro re (si regolava tutto con la guerra,alle dipendenze del proprio re). Per quanto uno fosse cattivo e commettesse la più grave delle colpe, tra tutte le pene era sconosciuta la castrazione e ciò in segno di rispetto assoluto per la vita e al potere di procreare. La moralità pubblica era molto forte ed era regolata da leggi assai severe. La cosa più grave è nel caso in cui la donna fosse sterile: secondo loro non puoi sposarne un’altra. Non si vede nessun vantaggio. La dote è stata versata senza alcun profitto: non puoi neppure lasciare il tuo nome che inesorabilmente si perderà e tu morirai per sempre. Noi volevamo avere due o tre mogli per la garanzia di avere una posterità e andare in pace a raggiungere i nostri padri, sapendo che di qua qualcuno ci ricorderà. I missionari sono venuti a distruggere la regione e la tribù: sono venuti a togliere la possibilità di avere figli. “Uno sconosciuto, uno straniero è un nemico.”. Si tratta di un principio dettato dai Bami. La domanda che ci poniamo e che non ci da pace è:”perché è venuto? Quale è il vero motivo della sua visita?”. Noi ci impegniamo a trattarlo bene e, se fosse venuto con intenzioni cattive, vedendo il nostro comportamento da amici, potrà forse cambiare idea…(porterà la sua cattiveria altrove!). Lungo l’anno dei Balega non c’erano feste conosciute, vere e proprie, eccetto due giorni all’anno riservati al culto dei morti. In quei giorni si andava nel campo dei morti o, più propriamente, dove erano custodite le malumba (crani dei morti), là si puliva, si portava cibo e bevanda che venivano offerte ai morti, quindi si mangiava, si beveva, si danzava e si cantava. In quei giorni era severamente proibito andare nei campi o alla caccia: tutti dovevano rimanere al villaggio. Un giorno di tali feste coincideva con l’anniversario della morte del re. Evidentemente erano sconosciute le domeniche e tutti i giorni erano uguali. Altri giorni di festa o di riposo assoluto erano: quando moriva il re, quando veniva presentato il nuovo re e quando si presentava alla gente l’ilumba (cranio del re). Ciascun villaggio o ciascuna famiglia aveva poi i suoi giorni di festa, legati soprattutto a nuove nascite o a scomparse dei capi villaggio o di capi famiglia. Da sempre c’è stata l’usanza presso i Balega di dare ai neonati nomi secondo situazioni familiari o in base a avvenimenti della regione. Nomi come Munyolo (catena) sono attribuiti nel caso in cui il padre o un parente, al momento della nascita, si trovi in prigione. Fitina (discordia), nel caso in cui ci sia lotta in famiglia. Mashimo (lacci) e Ngabo (scudo) nel caso di bambini nati in tempo di guerra.  Oppure Furaha (gioia), Riziki (beneficio), Faida (profitto), Heri (felicità)…Yalala (letamaio) se è nato in quel posto, Machozi (pianto), se c’era un momento di tristezza, Matata (problemi), se in casa c’erano difficoltà…