Guardia Sanframondi “I riti settennali di penitenza”

A dire il vero, rassegnati all’idea che avremmo continuato a leggere e ad ascoltare come un refrain le solite frasi fatte condite di paganesimo, sceneggiata, folclore, spettacolo, eravamo pronti a scommettere forte. Ora che è passata alla storia l’edizione 2010 della rappresentazione de “I riti settennali di Penitenza”, con grande soddisfazione abbiamo registrato che pochissimi sono stati i tapini, ancora ostinati a definire folcloristiche l’emozione e la suggestione trasmesse dalle rappresentazioni de ‘I riti’. Che non sono altro che misteri viventi, tratti da quanto riportato sia nel Nuovo che nel Vecchio Testamento cui se ne aggiungono altri, significativi, dei nostri tempi, ovvero rappresentazione viva di quanto scritto nei Testamenti cui si innestano, per quanto operato, personaggi i quali nel corso della vita terrena non hanno fatto altro che imitare i santi. “Misteri” – recitava la voce narrante – “che possono sembrare lontani dalla nostra vita, dalla nostra storia, ma, in realtà, si ripetono perché ci fanno vivere in grazia di Dio. Niente nella storia è stato fatto per caso, ma tutto è stato fatto per farci comprendere quanto è grande Dio Padre e con Lui Gesù Cristo, lo Spirito Santo e Maria Santissima che ci chiamano a vivere questo momento di comunione in cui tutti i quartieri si stringono attorno alla loro Madre per ascoltarne i consigli, a Lei che ci aiuta e ci conforta”. Non è un evento di suggestione collettiva ma di coinvolgimento collettivo, indissolubilmente legato alla tradizione ed alla fede. Vedere i piccoli, coinvolti ed impegnati, che si muovono con una serietà e compostezza che non ha alcun termine di paragone con la loro età, e tutti gli altri, di ogni età, ceto ed estrazione sociale, che si calano in ruoli e compiti mai praticati, osservare le migliaia e passa di  flagellanti, chiusi nel bianco di una tunica e di un cappuccio, che nella mano sinistra stringono un piccolo crocifisso con la figurina dell’Assunta e nella destra stringono una speciale catena metallica che spingono alle spalle, prima a destra e poi a sinistra, alternativamente, notare le altrettanto migliaia ed oltre di battenti, parimenti coperti da un cappuccio bianco ed una tunica che lascia libera la parte del petto colpita dalla mano che stringe una spugna farcita di 33 spilli, assistere al lungo applauso che devoti e fedeli hanno dedicato all’Assunta nel momento in cui, dopo una lunga processione per strade e piazze con la partecipazione corale di tutti indistintamente gli appartenenti ai quattro rioni (Croce, Fontanella, Piazza e Portella) e le centinaia e centinaia di persone giunte da ogni dove, veniva accompagnata nella sua Dimora, fissare la genuflessione dei battenti e degli incappucciati nel momento in cui si apprestavano ad entrare in chiesa e poi procedere in ginocchio attraverso tutta la navata, è davvero qualcosa di trascendente che non nulla a che vedere con il folclore/spettacolo di una festa comune. Ecco, la spettacolarità è tutta da trovare e percepire – ma non è semplice per chi è insensibile, rimane indifferente, non ha abbastanza sangue nelle vene da infiammare l’eventuale intima sensibilità ed accendere la luce dell’amore per l’Assunta – nella religiosità, unica, cui è legata da una tradizione che trascende il tempo e che spinge ciascun guardiese e tanti anche venuti da lontano, a partecipare alle processioni. Non trovando di meglio da fare, con ostinazione si spingono a mettere in evidenza che forse, dentro quelle tuniche e quei cappucci bianchi, si celano diversi ‘uomini d’onore’. Dimenticano però che anche costoro hanno un cuore e quindi si meravigliano che possano manifestare una fede, espiare e fare una straordinaria penitenza. Agli uomini d’onore si vorrebbe estirpare la fede, impedire di essere devoti e di manifestarlo pubblicamente. Quanta meraviglia! Eppure don Eugenio Fizzotti, durante una sua speciale conferenza sul tema ‘religiosità popolare’, ha evidenziato come a Polsi e dintorni questi uomini d’onore, assieme alle loro famiglie, si impegnano in modo particolare e fanno a gara sia nel concorrere alla preparazione delle feste patronali sia nell’accollarsi il carro con il Santo patrono e/o la Madonna protettrice da portare in processione lungo le strade e le piazze del paese. È l’aspetto esteriore della religiosità popolare che, probabilmente, ha permesso ad un illustre personaggio di definire “palcoscenico della vita” questo nostro mondo. Dove tutto è rappresentazione. Viene, tuttavia, trascurato un particolare di massima importanza: soltanto pochi eventi, quelli cioè che vantano originalità e seduzione, suscitano emozioni e suggestioni, hanno diritto ad un posto riservato nello scenario in cui si collocano e vengono rappresentati. E quando al centro della rappresentazione c’è la fede – non c’è effetto massmediologico che tenga, non resistono più di tanto eventuali aspetti meno rappresentativi e trascendenti – viene messo da parte e bandito ogni fenomeno e/o caso legato a suggestione collettiva, si coglie l’essenza battendo il tasto sullo spirito, sull’aspetto mistico, sulla vis religiosa, sul rapporto speciale con Nostro Signore, la Madonna, i Santi intercettori. Di Guardia, città antica, ricca di cultura e di arte, ci si ricorda sistematicamente ogni sette anni, e altrettanto sistematicamente ci si tuffa a partire dai giorni immediatamente precedenti la vigilia de “I riti di penitenza” che celebrano la Madonna Assunta quando cioè le notizie si amplificano diramandosi in tutto il mondo. Non si fa nulla per evidenziare e mostrare – si continuano, purtroppo a trascurare – le bellezze architettoniche, i dipinti, le epigrafe ottocentesche che ancora si notano e si leggono all’interno di storici palazzi, l’idioma particolarissimo, specialissimo e,  per alcuni versi incomprensibile (…qualcosa di molto simile – ci ha riferito lo squisito ragioniere Luigi Garofano, cultore di storia e studioso di eventi legati al territorio – viene parlato presso poche famiglie di alcune città abruzzesi), retaggio di tante culture diverse e degli insegnamenti impartiti da antichi popoli che si insediarono in questo territorio. Un idioma cui pochissimi hanno dimestichezza e facile accesso ma, ahimè!, non tramandano.

Paolo Pozzuoli