Feltri, Fini, Berlusconi…

 

Angelo Cennamo

Che il Pdl godesse di larghi consensi e che il presidente del consiglio primeggiasse in tutti i sondaggi per popolarità lo avevamo previsto da tempo, ma che il successo del centro destra fosse tale da generare addirittura al suo interno quell’opposizione che stenta ad appalesarsi in altri schieramenti politici, non era di certo nell’ordine delle ipotesi probabili. Sta di fatto che, da qualche mese, il principale avversario del premier, più che Bersani o il solito Di Pietro, sembra essere quel Gianfranco Fini che tutti avevano pronosticato come erede del cavaliere. Ma il Fini di oggi è tutt’altro politico rispetto all’omonimo leader di Alleanza Nazionale. Il presidente della camera, infatti, sta vivendo una lunga catarsi che dalla destra almirantiana lo ha condotto al progressismo più estremo della sinistra “colta”, luogo dove egli cerca di accreditarsi come figura istituzionale laica e liberale. Chi ha militato in An ricorda bene i numerosi “strappi” dell’allora presidente, ed il percorso tatarelliano da lui imposto al partito per approdare nell’oltre polo. Il nuovo corso di Fini, salutato con ammirazione dal Pd e dai centristi, ha spiazzato tutti. A contestare il suo trasformismo non è solo la base elettorale del Pdl, ma anche un giornalista navigato, da qualche mese al timone del giornale della famiglia Berlusconi : Vittorio Feltri, il quale con i suoi editoriali pungenti ha ingaggiato con la terza carica dello stato un duello senza precedenti, meglio classificato nel gergo militare come “fuoco amico”. Feltri è virulento, a tratti spietato. Contesta a Fini di essere un traditore, prima di sè stesso, poi del Pdl, partito del quale non sarebbe affatto coo-fondatore ( la sera dell’annuncio del predellino disse : “Siamo alle comiche finali”, salvo ripensarci appena 15 giorni dopo). La linea di contrasto avviata da Il Giornale nei confronti del presidente della camera fa discutere, alimenta dibattiti e polemiche. Ma Feltri non demorde ed alza il tiro quando viene a sapere che Fini minaccia querele e chiede la sua rimozione. “Il Giornale non è un quotidiano di partito……non sono berlusconiano, è Berlusconi ad essere feltriano!” Tuona il vivace direttore di via Negri, ancor di più indispettito dai diktat del suo antagonista. Si può discutere dei toni aspri e qualche volta esagerati, ma da un punto di vista meramente contenutistico Feltri non ha tutti i torti : Fini vorrebbe allargare i confini della destra e contaminarla di multiculturalismo, terzomondismo, libertarismo e, solo ora che è presidente della camera, di parlamentarismo, proprio lui che è stato un paladino del presidenzialismo. Le sue iperbole sul diritto di cittadinanza breve per gli immigrati e l’introduzione del corano come materia di studio fanno storcere il naso a chi ricorda il Fini 1, quello della legge Bossi-Fini che faceva scrivere sui manifesti del suo partito “Niente voto agli immigrati”. La sua ritrosia a riconoscere i risultati conseguiti dall’attuale governo, espressione della sua stessa coalizione, e gli ammiccamenti, anche fuori onda, con quella magistratura inquirente spesso contestata da Berlusconi per la generosa attenzione rivolta alle sue vicende politiche, ce lo mostrano insofferente verso le sorti della maggioranza, quasi infastidito dal ruolo di gregario mai ricoperto prima della fusione del suo partito con quello del cavaliere. Le schermaglie proseguono, e se i pronostici sul futuro dei due contendenti alimentano le tirature dei giornali, specie quello di Feltri, la domanda resta sempre la stessa : qual è l’obiettivo di Fini, e soprattutto : gli gioverà questo continuo smarcamento dal cavaliere?