Il mito della Costituzione

Angelo Cennamo

Di tanto in tanto, nel teatrino della politica nostrana, si riaccende il dibattito sulla intangibilità della costituzione del ’47. La sinistra, in particolare, ha per la lex superior una vera e propria devozione. I discendenti di Gramsci, infatti, fanno risalire la nascita dello stato non già all’unità d’Italia del 1861, ma alla resistenza contro il nazifascismo. Di conseguenza, la carta costituzionale ha assunto un significato che va ben oltre quello giuridico-legislativo; è diventata la sublimazione dell’epopea partigiana : il sigillo indelebile della liberazione. Per la sinistra, la carta è assolutamente intangibile. Sì, ma solo se a volerla modificare sono gli altri. Loro, gli “unici” padri costituenti, al contrario, possono anche stravolgerla e calpestarne i principi fondamentali. Così come quando, nel 2001, pochi giorni prima che finisse quella legislatura, con soli quattro voti di maggioranza, i nostri paladini della legalità decisero di riscrivere il Titolo V, generando quel capolavoro di chiarezza esplicativa con l’art.117, comma III, sulla legislazione concorrente. Quel pasticcio sta ancora ingolfando i Tar di mezza Italia. La costituzione è sacra! E pure inviolabile! Come osa, allora, il nostro premier metterla in discussione, lui che non ha trascorsi politicamente nobili? Lui che non appartiene al lignaggio della razza togliattiana? Cosa aggiungere a questa pantomima stucchevole che vede, di volta in volta, il presidente della repubblica di turno lanciare il suo monito contro qualunque tentativo di modifica? Solo ricordare, a chi finge di dimenticarlo, che l’intangibilità della costituzione è essa stessa anticostituzionale. Per approfondire si vada all’art. 138.  

Un pensiero su “Il mito della Costituzione

  1. Grazie per questo articolo. Da semplice uomo “che non si occupa di politica” vedo già ogni giorno nel “sistema”, la sistematica violazione dell’articolo 1. Sbaglio quando “inferisco” che la fondazione della Repubblica sul “lavoro” esclude qualsiasi forma di “privilegio”? A cominciare dall’Università per finire a tanti che sicuramente non vivono “del proprio lavoro” per loro stessa “filosofia di vita”? Già, è strano che la Legge delle Leggi qualcuno la voglia mummificata e invariante nel tempo. Non sarà per colpa dell’articolo 1?
    Non aggiungo altro …
    Cordialmente
    Salvatore Ganci

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