Giustizia: tante, troppe verità

Aldo Bianchini

Lino Ceccarelli, magistrato di vaglia, che per anni resse l’Ufficio Istruzione del Tribunale Penale di Salerno, un giorno seraficamente mi disse: “Ci sono sempre almeno tre verità, una che conosce solo l’imputato, una  che è quella vera e l’ultima che è quella sancita dagli uomini”. Cercai di ribattere che tre verità mi sembravano tante, forse troppe. E Lui con fare filosofico ma con il piglio dell’uomo di legge mi spegò che proprio la contemporanea esistenza di tante verità poteva dare la giusta dimensione della grande difficoltà dell’essere “giudice”. E continuò dicendo che lo spessore professionale e culturale di un giudice lo si doveva misurare dalla sua capacità di avvicinarsi sempre e il più possibile alla verità vera. Che Giudice!, amici lettori, e come Ceccarelli a Salerno ce ne sono stati tanti; tra i tanti ricordo anche i compianti Pandolfo e De Divitiis che con tratti eleganti e con molta classe e professionalità hanno segnato parte della storia del nostro distretto giudiziario. Erano giudici che avevano il vezzo di alzare gli occhi e guardarti in faccia, riuscivano con facilità ad entrare nell’animus confidendi dell’imputato e ad esplorare anche gli anfratti più interni ed intimi dell’animo umano. E sapevano essere anche giustamente severi, senza eccessi. Erano tempi passati, potrebbero dire in tanti, erano tempi in cui non c’era questa affannosa rincorsa di tutti contro tutti; certo, è vero anche questo aspetto; ma è un aspetto che certamente non giustifica l’attuale mitizzazione disumana del giudice con gli occhi piegati sempre verso il basso. E mi sono sempre chiesto quale ricerca della verità può mettere in atto un giudice che non alza gli occhi e non riesce ad entrare nell’animus confidendi di chi ha di fronte e deve difendersi per dimostrare la propria innocenza o per occultare le proprie responsabilità. In tempi più recenti, rispetto a quelli di Ceccarelli, Pandolfo e De Divitiis ho conosciuto anche qualche altro magistrato di quello stampo formativo e spesso ho incrociato lo sguardo con Alfredo Greco e Luciano Santoro ed ho sempre trovato ampi spazi di dialogo costruttivo sul piano professionale e umano al di là dei pur differenti punti di vista individuali. Erano e sono, insomma, giudici che hanno fatto, nel bene e nel male, della loro professione una vera e propria missione e non una scalata verso il potere, o almeno non soltanto una scalata verso il potere; ed hanno cercato sempre , e comunque, di rimanere quanto più possibile vicini a quella verità vera che il mitico Ceccarelli cercò di spiegarmi quel giorno di tanti anni fa. Di questi giudici mi sono sempre assolutamente fidato. Non certamente mi fido di questi giudici che non alzano mai lo sguardo, di questi giudici impegnati in estenuanti lotte intestine, di questi giudici che si permettono il lusso anche di mettere in discussione la figura del Capo dello Stato, di questi giudici che da un lato inquisiscono e dall’altro vengono inquisiti in una sorta di guerra tra bande (affermazione di Pierferdinando Casini). In questo modo, è triste ammetterlo, la verità, quella agognata da Ceccarelli, si allontana sempre di più. Ma la “democrazia”, quella reale (che è anche giustizia), non quella degli uomini, alla fine trionferà come sempre; almeno lo spero.