Verbi Swahili: KUKESHA vegliare

Verbi Swahili: KUKESHA vegliare

Padre Oliviero Ferro

In Africa ho scoperto che esistono ancora le veglie funebri (sia in Camerun come in Congo, dove ho lavorato in totale per 13 anni). Quando qualcuno muore, si organizza, di solito, una settimana di lutto in cui tutti possono andare a dare le condoglianze alla famiglia allargata (ai parenti) e anche a condividere il cibo e le bevande. Alla sera, dopo il lavoro, ci si riunisce nella concessione (parcelle) (il luogo dove c’è la casa del defunto e di altri della famiglia. C’ sempre qualcuno che dirige la veglia, durante la quale si canta, si prega, si parla e, naturalmente, c’è sempre qualcosa da mangiare e da bere. Da noi, di solito in Italia, si va a fare una veloce visita alla famiglia, viene offerto il caffè con qualche biscotto. Poi ci si rivedrà, per chi può, il giorno del funerale (con le condoglianze di circostanza) e tutto finisce lì (basta vedere quanta gente partecipa per la messa di settima o il trigesimo). Perché allora vegliare, kukesha. Uno dei motivi principali, è per far sentire la vicinanza fisica a chi è nel lutto, sta soffrendo. Insomma è un incoraggiarsi a vicenda, far capire che non sono soli, ma fanno parte di una famiglia allargata, del villaggio, e il dolore di qualcuno diventa di tutti. La famiglia, in questi sette giorni, di solito è vestita male (con abiti vecchi che verranno cambiati il giorno del funerale o meglio del seppellimento, visto che il funerale è quello che per noi è l’anniversario, cioè il fare entrare il defunto nel mondo degli antenati). C’è qualcuno che pensa a portare da mangiare alla famiglia (questo varia da villaggio in villaggio). Per farla breve, il lutto è un secondo lutto, perché richiede delle spese ingenti, dovendo accogliere e dare da mangiare e bere a tutti coloro che partecipano. Spesso le famiglie si indebitano, cercando di coinvolgere tutti i membri della parentela. Solo chi ha molti soldi può permettersi di invitare tante persone. Chi invece è povero e non ha molte risorse, pur facendo il lutto, cerca di limitarsi al minimo, se può, anche se è un obbligo sociale (come lo era in Italia, quando si doveva tenere il lutto, con l’abito nero per le donne e un bottone nero sulla giacca per gli uomini). Come chiesa, andavamo a fare la veglia, pregando e cantando, ma non sempre era possibile. La mortalità era forte e lo è ancora. Ma l’impegno di incoraggiare chi è nel dolore è sempre importante, come uomini e come cristiani.