Giulio Caso
Una volta andai a mangiare la pizza in una pizzeria avente l’insegna ( O’ malandrin). Era buona, ma stonava (a mio modesto parere) l’insegna. Quando andai a pagare, per scrupolo lasciai scritto .. ‘O malandrino .. dietro lo scontrino provvisorio lasciato a tavolino.
Non volevo essere saccente, non sono studioso della lingua napoletana; conosco, però le semplicissime regole basilari che sono alla portata di tutti.
Il proprietario incuriosito mi chiese spiegazioni e così gli dissi che sull’insegna avevano confuso l’apostrofo con l’aferesi e che ci voleva, sempre, la vocale finale seppur non pronunciata.
Il proprietario, rimase, all’inizio,  incerto. Poi convinto della cosa mi disse che aveva ordinato 25 mila manifestini di propaganda e che il tipografo non aveva rilevato niente di sbagliato. Ritelefonò e fece spostare il segno diacritico. Solo non si poteva aggiungere la vocale finale, disse, perchè il marchio era stato registrato senza.
Questo errore, della confusione fra aferesi e apostrofo, è comune su molte insegne, su molti scritti, anche di poesie e canzoni, specie attuali, di sedicenti autori/scrittori in napoletano.
Altro punto controverso è l’aferesi iniziale sull’articolo indeterminativo.
Non ci vuole, è sottinteso perché mai usato nel linguaggio reale e decaduto per abitudine di sintesi tipica della fluidità lessicale napoletana.
Quindi:
– Un cane = nu cane.
Una penna = na penna.
Un’altra volta = n’ata vota.
Qualcuno, preso da caparbietà, usa ancora:
‘n’ata vota.
Evidentemente è un estimatore della pioggia nel pineto e fa chiovere segni diacritici a scrocco, contravvenendo ad una regola, quasi universale, in tutte le grammatiche mondiali: sintesi, chiarezza e semplicità.