Avventure missionarie: Messa in Africa

Avventure missionarie: Messa in Africa

Padre Oliviero Ferro

Spesso, quando andiamo a messa, arriviamo quando vogliamo, ci sediamo negli ultimi banchi. Aspettiamo che finisca in fretta, perché abbiamo altre cose da fare. Insomma è più un obbligo e non un piacere, il sentirsi parte di una comunità a cui ognuno è invitato a portare qualcosa, soprattutto la gioia di credere e di condividere con altri fratelli e sorelle Gesù che ha incontrato. Quando sono arrivato in Africa alla fine del 1983, ho cominciato a partecipare alle messe africane. All’inizio capivo poco, a causa della lingua, ma si vedeva che la gente era felice di partecipare e lo manifestava in tanti modi: col salutarsi all’inizio della messa, prima di entrare in chiesa, col cantare, danzare, portare le loro offerte, sia in denaro che in frutti della terra e poi, uscendo felici di aver condiviso insieme alcune ore della loro domenica. Arrivato poi nella parrocchia e cominciando a presiedere la liturgia domenicale, tutto è diventato più bello In una chiesa piena di centinaia di persone, si iniziava con la processione iniziale, danzando, cantando, battendo le mani. Insomma il giorno di festa aveva preso forza. Tutti partecipavano. Poi la predica partecipata, partendo da alcuni momenti della vita. Si vedeva che la gente seguiva quello che veniva detto. Al momento dell’offertorio tutti uscivano in processione a portare i loro doni e poi si continuava fino alla fine nel darsi l’arrivederci, cantando, alla prossima volta. E così ogni domenica e anche in altri momenti, quando la si celebrava anche nelle succursali, sia sulla terra ferma, che nei villaggi sul lago. Era bello stare insieme da fratelli. Ognuno si sentiva a casa propria. Poi nei giorni della grande festa (Natale e Pasqua con i battesimi) il tempo passava senza accorgersi. Era il momento dell’accoglienza di Gesù in mezzo a noi e dei nuovi battezzati che entravano per la prima volta a fare parte della comunità La messa sembrava non finire mai, ma nessuno si curava di guardare l’orologio, perché era bello stare insieme. Una cosa che mi ha molto colpito è stato, quando in Camerun, abbiamo celebrato nella parrocchia di Nefa la “festa del raccolto o del ringraziamento”. Tutti, personalmente che come piccola comunità o gruppo, avevano messo da parte del denaro e anche i frutti della terra da portare poi in processione. Con i soldi si sarebbero comperato delle sedie per il salone parrocchiale. Invece i frutti della terra sarebbero stati distribuiti alle persone bisognose. Naturalmente, come d’abitudine, la gente aveva pulito la chiesa e l’aveva addobbata, oltre a preparare (le donne cattoliche) qualcosa da condividere dopo la celebrazione. Si inizia come al solito: processione. Poi si intronizza il Vangelo con una cerimonia particolare (viene un gruppo di ragazzi e ragazze che con l’albero della pace accompagna un bambino, portato sulle spalle da uno più grande e dentro una borsa, la parola di Dio che poi verrà mostrata a tutti. La processione offertoriale: tutti vengono con una busta, in cui c’è il frutto della loro condivisione. Anche il gruppo dei capi tradizionali, accompagnato dalla banda (flauti, tamburi ecc.) viene e tutta la chiesa sembra vibrare. Si sente che tutto viene accolto dal Signore Gesù. Un momento magico, indimenticabile. E alla fine, a piccoli gruppetti, si condivide quello che è stato preparato, perché la festa deve continuare e rimarrà nel cuore la gioia di essere stati insieme. Provare, per credere.