Dirigente Scolastico Michele Cirino
I mali del nostro tempo sono l’isteria e la voglia di imitare le aquile nel loro volo senza saper volare alto come loro, senza avere la stessa forza ancestrale, senza avere una visione complessiva e trasversale per non dire divergente delle cose, senza avere la leggerezza e la signorilità di volare alto, molto in alto,
Senza avere l’autorevolezza, la lealtà, l’introspezione mista ad umiltà e rispetto che ci fanno sembrare spesso grandi senza volerlo.
I mali dei tempi che stiamo vivendo e che sono figli del materialismo imperante e dei miti dell’ apparire e del divenire ad ogni costo oltre le nostre possibilità e oltre i valori che ci portiamo dentro, si nascondono dietro questa deriva anarchica e dentro questa nostra volontà figlia delle nostre debolezze
Nati per essere aquile siamo diventati invece tutti piccoli, piccoli pulcini. Forse cresceremo… matureremo…. Ma diventeremo tutte … vecchie galline perché non portiamo dentro il senso del limite che solo gli animali che volano alto sanno portare con sé.
Per questo in questo Natale consideriamo i nostri limiti, i nostri confini che non ci faranno essere mediocri ma infinitamente pronti ad affrontare il pericolo e gli ostacoli.
Così facendo potremmo diventare tutti un po’ aquile e volare oltre le nostre bassezze, le nostre miserie terrene e potremmo osservare le persone dritte negli occhi con uno sguardo sereno, ma nel contempo fiero e austero, forti perché consapevoli dei nostri limiti che non saranno mai una prigionia, ma viceversa una liberazione.
Un’atra metafora musicale e ‘ il brano di Battisti “L’Aquila”.
 Un uomo che percepisce un bisogno dentro sé, che si guarda attorno e vede solo un mondo indifferente ed incapace di rispondere. E perfino lei, l’amata, non è in grado di farlo. «Il fiume va, guardo più in là. Un’automobile corre e lascia dietro sé del fumo grigio e me, e questo verde mondo indifferente perché, da troppo tempo ormai apre le braccia a nessuno, come me che ho bisogno di qualche cosa di più che non puoi darmi tu. Un’auto che va, basta già a farmi chiedere se, io vivo», canta Battisti. E ricorda quel canto notturno di un pastore errante dell’Asia, protagonista dell’omonima e stupenda poesia del poeta di Recanati: «E quando miro in cielo arder le stelle; Dico fra me pensando: a che tante facelle? Che fa l’aria infinita, e quel profondo Infinito seren? che vuol dir questa solitudine immensa? ed io che sono?»
Quello raccontato da Battisti e da Leopardi è l’uomo autentico e leale davanti al grande enigma della vita, colui che si accorge lucidamente di una mancanza, di un bisogno, di una tensione verso qualcosa d’ignoto e, allo stesso tempo, drammaticamente comprende che non può rispondersi da se stesso: «Ho bisogno di qualche cosa di più, che non puoi darmi tu». La natura prosegue il suo corso, cinica rispetto al dramma umano, le auto passano e le stelle ardono. Ma a che scopo, se non sono in grado di dare un senso all’esistenza? A che tante facelle? Ed io, che sono? Io, vivo? E forse Pär Lagerkvist, Nobel nel 1951, fa un passo ulteriore in avanti. «Uno sconosciuto è il mio amico, uno che io non conosco», scrive. «Per lui il mio cuore è pieno di nostalgia. Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza?/ Che colmi tutta la terra della tua assenza?» (da Uno sconosciuto è il mio amico). Lo scrittore svedese arriva così a dare del “tu” a questo bisogno, a questo ignoto, a questa “x” verso cui l’uomo, tutti gli uomini, ultimamente sono in tensione.
E quel “tu” che compie le attese del cuore, noi cristiani lo testimoniamo, potrà mai essere quell’Uomo che pretese dirsi “via, verità e vita” e che né Battisti, né Leopardi, né Lagerkvist hanno preso realmente in considerazione come risposta (almeno, per quanto è noto)? «L’uomo “sa”, ne ha il confuso e nitido presentimento, di essere fatto per una destinazione infinita, che sola può colmare quello “spazio” che egli sente di avere dentro di sé, uno spazio che chiede di essere riempito», scrisse Benedetto XVI nel 2006. «Inquietudine, insoddisfazione, desiderio, impossibilità di acquietarsi nelle mete raggiunte: queste sono le parole che definiscono l’uomo e la legge più vera della sua razionalità. Egli avverte un’ansia di ricerca continua, che vada sempre più in là, sempre oltre ciò che è stato raggiunto. Dio, l’infinito, si è calato nella nostra finitudine per poter essere percepito dai nostri sensi, e così l’infinito ha “raggiunto” la ricerca razionale dell’uomo finito. Sta qui la “rivoluzione” cristiana: Dio Creatore “raggiunge”, oggi e permanentemente, la ricerca razionale dell’uomo tra gli uomini: “Io sono la via, la verità e la vita”».