Cartolina d’Estate

Dott. Carmine Paternostro

Fugge l’estate, anche questa. La inseguiamo nei sogni. Rituale, annuale, è un capitolo che si ripete. Ma ogni estate è nuova nell’attesa, per frantumarsi in ricordi. Finisce.

Scivola come neve, iniziando dai tetti più bassi del paesello montano, per risalire ai più alti e svanire in acqua. Così ricordo quelle candidi coltri di un tempo, rimpiante. Ogni stagione è ricordo, che inquinamento, impegni, corse in un quotidiano frenetico ed il Covid finale ripongono nell’album irrobustito dal tempo.

Ricordo l’ultima estate, giorni di esagerata calura estiva inattesa. Corri al mare per avere rinfresco dalle sue tiepide onde o in piscina o da una caduta dalla barchetta, vestito, con un bagno imprevisto. Peccato, ci ho rimesso occhiali di lusso di nome ray ban! E’ il caro prezzo di un tuffo imprevisto, comunque benefico. Come un pinguino sono schizzato rapido in barca, ho pescato una lampuga pesante, per tornare rapido a riva. Il mare, improvviso si agita, le onde si alzano, con Alex, pescatore incallito, torniamo prudentemente ad attraccare sul molo. Le spalle bruciano. Quella caduta mi ha indotto a scoprirmi, ad esporre la maglietta, sventolante, al sole. La pelle è in protesta con me, ariano, vichingo, bianco anche d’estate! Ma in passato ho vissuto anche momenti diversi: il mare, che, improvviso è soffiato da Poseidone/Nettuno, il motore in panne, un peschereccio che ci avviò, infine, alla riva. In quel pomeriggio un docente filò diritto, mi ignorò, abbandonandomi alle onde irrequiete, che mi invitavano in Grecia, perché gli avevo proferito per scherzo: “dove vai con questa bagnarola?”, indicando la sua barca nuova, un “gozzo”! In epoca antica, bambinesca, temendo quell’ammonimento imperioso: “attento ai mulinelli, alle buche del sabbioso fondale…” degli zii, ebbi una crisi di panico, mentre annaspavo a nuotare. Erano primizie di mare, scoperto ancor prima a Scalea. Seguirono gli jonici bagni, a 114, contrada riferita al casello ferroviario. C’era una pineta, ove consumavamo un pranzo gustoso, partorito da un robusto cestello. “Il mare sviluppa l’appetito, asciuga le ossa, fa crescere i bimbi”, si diceva. E corsi a fare pipì, inoltrandomi tra gli alberi fitti. Notai una coppia avvinghiata, adesa, incollata, sostenuta da un tronco robusto. Pudicamente cambiai direzione. Mi chiedo se si sposarono, ebbero figli, se tuttora vivono felici e contenti, pressoché centenari o…se l’avventura fugace fu un breve sogno d’estate.

Quei mesi erano attesa, il ristoro da faticosi impegni scolastici, ma purtroppo profondamente fugaci. L’Autunno prometteva ben altro.

Ritorno al tempo più prossimo, all’ultima estate, mentre una macchina corre veloce, sorpassa, ignorando linea continua, incroci, per fermarsi, infine a un semaforo. Siamo di nuovo insieme! Perché tanta fretta di raggiungere il mare? Paura di non trovarlo? Eppure tiene a bordo bambini, che ingenui, consumano tranquillamente un panino! Pazzie d’estate, dove si corre, finalmente liberi dalla chiusura del Covid ed un inverno uggioso, con una primavera inesistente.

Nel mio condominio trovo la nuova piscina tacita, non funzionante, volti di conoscenti ed amici più vecchi, qualcuno assente per sempre e… decido di guardarmi anch’io allo specchio.

Sabatino, l’ingegnere Pacchiano mi chiedono di autografare l’ultimo mio libro, in cui ho “volato (volando) con Pindaro”. In ristoro, Silvester, giudice supremo d’alta corte, mi sfida come sempre a scopone, anzi da gran maestro, allievo di Chitarrella, mi invita a giocare con lui. Voleva insignirmi di qualche vittoria…le abbiamo perse tutte!!!  E rimpiango i miei compagni invincibili Nunzio, il Reina musicista e Zattera il pescatore, altri trionfi!

Mi consolo, ordinando le slides della prossima conferenza di egittologia a Roma.

A mezzodì al Corsini incontro gli amici di tempi remoti del collegio italo albanese di S. Demetrio Corone, Liceo Grimaldi dei principi monegaschi, dicono originari di qui. Consumiamo l’annuale lauto pranzo a base di pesce. Infine, l’arrivederci finale commuove, abbracci tra amici dispersi nella nazione, divenuti famosi: questori, costruttori, medici, legali e quant’altro.

Al ritorno serale subiamo l’invito consueto del Giudice a consumare in un prossimo giorno una cena tra amici. Trattasi di conoscenti del condominio, con usi diversi dai miei. Amano assaggiare più primi, pesci di specie diverse, qualcuno abbandonarsi a qualche bottiglia di troppo (vino pregiato…) e qualche altro a lamentarsi del conto finale…

Preferisco il rifugio nell’oasi d’incanto e silenzio, all’ombra dei pini loricati del Pollino, ove con mia figlia Luigia, Barbara, ospitati da Mario al suo Agriturismo Colloreto consumiamo pasti veraci di zona, un sano bicchiere di vino e l’acqua sorgiva dei monti.

Così svanisce l’estate, mentre nel Nord d’Italia l’amico Simone si offende, per aver disdegnato un appuntamento culturale nella sua Lombardia.

Si ritorna a casa, al fresco del mio paesello montano. Tra tanta burocrazia in agguato, trovo il tempo di pedalare lungo le strade rupestri del maestoso Pollino, ritrovando la pace, il silenzio, una preghiera nell’ascesa, che diventa più docile. Mi imbatto in un cespuglio di more. Riempio la borraccia. Siamo in settembre, il calendario parla ancora d’estate, eppure sento che la stagione è finita.

Un irriverente soffio di vento, mi schiaffeggia sul viso, uno scroscio di pioggia mi rinfresca il sudore, mentre una nebbia improvvisa, distendendosi, cala dalle pendici dei monti. Sono le 14,30, il cielo si oscura, mi avvolgono ombre serali. Sto tornando a casa per pranzo o per cena?

Ogni giornata è più corta, come il vissuto. Aspettiamo domani ed le altre stagioni.

Avremo tempo per scrivere ancora…?