Motu Proprio di Papa Bergoglio frena Messa in latino: mondo cattolico spaccato

Rita  Occidente Lupo

La Chiesa riformista di Papa Francesco pone un altro tassello. Dopo la rivisitazione del Padre Nostro e della Santa Messa proprio quest’ultima, in merito alla celebrazione, sotto i riflettori. Nel momento in cui non mancano scissioni interne e crisi d’epoca, crolli vocazionali e laicismo patinato di religiosità, il Papa apre un nuovo fronte di guerra interno, chiudendo anche il  Summorum pontificum, di Benedetto XVI, che autorizzava la Messa nel rito antico. Non un’abolizione esplicita, ma il Motu Proprio, Traditionis custodes, di Bergoglio nella scia di una caduta di tale rito in ossequio al Missale Romanum del 1962. Sorpassando i predecessori, in nome dell’unità ecclesiale, per il recupero del Concilio Vaticano II, forse non accettato da tutti. Specie dalla fronda cattolica tradizionalista, rimasta ancorata alla tradizione tridentina. La possibilità offerta da san Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, al fine di ricomporre l’unità del corpo ecclesiale nel rispetto delle varie sensibilità liturgiche, ha aumentato le distanze, esponendo la Chiesa al rischio di divisioni. “E’ per difendere l’unità del Corpo di Cristo -scrive il Pontefice argentino-che mi vedo costretto a revocare la facoltà concessa dai miei Predecessori. L’uso distorto che ne è stato fatto è contrario ai motivi che li hanno indotti a concedere la libertà di celebrare la messa con il Missale Romanum del 1962”. Dopo il Concilio di Trento, anche san Pio V abrogò tutti i riti che non potessero vantare una comprovata antichità, stabilendo per tutta la Chiesa latina un unico Missale Romanum. Per quattro secoli, questo Missale Romanum promulgato da san Pio V, è stato così la principale espressione della lex orandi del rito romano, svolgendo una funzione di unificazione nella Chiesa”.

Papa Bergoglio pertanto autorevolmente ‘invita i Vescovi diocesani all’osservanza di quanto sancito: i presbiteri che intendono continuare a celebrare in antico rito, non in chiese parrocchiali e con la lettura della Parola non in latino. A loro discrezione l’autorizzazione ai singoli presbiteri della periodicità di tali celebrazioni. Divieto di costituzione di nuovi gruppi e decisione della Santa Sede, per i neo consacrati che volessero celebrare in latino, autorizzazione, su richiesta del Vescovo diocesano.

Sostanzialmente il Motu Proprio non muto molto, da quanto avviene, ma è nello spirito che ben s’interpreta,  il timore di tanti: l’estinzione lenta di tale liturgia. Nel tempo, quella della Messa di San Pio V, non senza polemiche, striate dalla fronda lefebvriana in polemica con la maggioranza conciliare su tante aperture, dalla libertà di coscienza all’ecumenismo al dialogo interreligioso. I Lefebvriani continuarono a celebrare Messa in latino e negli anni Ottanta si scissero dalla Chiesa cattolica.

A distanza di mezzo secolo dal Vaticano II, ancora la questione a tappeto: non sembra essere stato il Concilio, con le sue aperture alla moderna partecipazione dei fedeli, accettato da tutti. Questo il riscontro del Pontefice, che vede quindi nel Motu Proprio il riferimento che deve accompagnare la sequela cristiana.

Naturalmente i dissensi stanno emergendo, comparando anche la permissività d’altri riti nella Chiesa imperante, quali quello ambrosiano. I tradizionalisti non accettano che venga meno la libertà di fede, già autorizzata da ben due Pontefici. Inoltre nuovi adepti anche in procinto di consacrazione presbiterale, affascinati dalla tradizione della Chiesa, avvezzi al latino o capaci di seguire la celebrazione eucaristica con il manuale tradotto, non accettano di veder sottratto proprio dal Pontefice, il diritto alla professione religiosa nella tradizione antica. In un momento epocale di crisi spirituale, di carenza di vocazioni,  sembra che Papa Francesco freni il gregge affidatogli anziché pascerlo e sostenerlo nella sua dimensione spirituale, che in ogni caso non rinnega il messaggio evangelico.