Cologna Veneta: Coronavirus, lettera a Mons. Giuseppe Zenti, Vescovo di Verona

Carissimo Don Giuseppe,
sono Simone Sanavio e ti scrivo assieme alla mia sposa perché, come tanti fedeli della nostra diocesi di Vicenza e del Veneto, in questi ultimi giorni siamo rimasti attoniti davanti alla scelta precipitosa dei Vescovi del Triveneto di sospendere con effetto immediato tutte le Sante Messe con partecipazione del popolo. Non più tardi di 15 anni fa, il Consiglio permanente Cei in preparazione del Congresso Eucaristico nazionale di Bari del 2005, ci rivolgeva la bellissima lettera “Senza la domenica non possiamo vivere”, in cui si evocava la testimonianza di fedeltà alla domenica dei 49 martiri di Abitène che nel 304 hanno preferito, contravvenendo ai divieti dell’imperatore Diocleziano, andare incontro alla morte, piuttosto che rinunciare a celebrare il giorno del Signore. Alla luce di quanto sta succedendo ci siamo domandati: quei martiri hanno forse sbagliato tutto, buttando via la loro salute e mettendo a rischio quella dei loro cari, “solo” per poter partecipare al Sacrificio Eucaristico? O si sono sbagliati i vescovi 15 anni fa? E che dire dei tanti fratelli sparsi per il mondo che soffrono persecuzioni o rischiano la vita ogni volta che mettono piede in Chiesa per celebrare la Messa? In Cina, in Iraq, in Nigeria, in Siria, in Pakistan, tanto per citarne alcune situazioni note. I loro Vescovi li sostengono e non si sognano neanche lontanamente di suggerire loro di starsene rinchiusi in casa. Loro sanno benissimo che il Cristianesimo non è una religione di mammolette.

I Cristiani sanno che Gesù ha già vinto la morte e il dolore, per cui non hanno paura nemmeno del martirio, figurarsi di un virus. Qui da noi invece, dove abbiamo la fortuna e la grazia di avere tutte le conoscenze e le possibilità per affrontare questa emergenza sanitaria, non riusciamo a far altro che proibire? Di prevedere limiti ancor più stringenti rispetto a quelli imposti dal governo? Non sarebbe stato più giusto invocare le corrette norme di prudenza (peraltro puntualmente elencate dal Governo) e di responsabilità personale? Da parte di voi Pastori, ci saremmo aspettati, oltre a questo, un po’ più di fantasia per trovare il modo per garantire comunque a tutti la possibilità di partecipare almeno alla messa domenicale, visto che mediamente, alle messe feriali, nelle nostre parrocchie non si può proprio dire che ci siano “grandi assembramenti”. Ad esempio, il rischio di contagio a Messa si poteva ridurre a zero moltiplicando le Messe, celebrandone una ogni ora, magari scaglionati per cognome, o per contrada, così che a ogni celebrazione non ci fossero affollamenti, passando sui banchi disinfettanti come si fa sui treni o nei
luoghi pubblici (DPCM 4.3.2020 lett. i) all. 1), e celebrando le Messe nelle Chiese grandi, non nelle cappelle.

Oppure celebrando all’aperto, o nei campi sportivi. Invitando tutti a tenersi a una distanza minima di 1-2 mt, così come previsto dal decreto ministeriale. Indubbiamente questo avrebbe comportato un grande impegno da parte dei nostri pastori e sacerdoti: ma non siamo appunto in un momento di emergenza? Se medici ed infermieri lavorano senza sosta negli ospedali, per i nostri pastori non sarebbe stato possibile stringere i denti e “lavorare” di più, almeno la domenica? Invece, quello che abbiamo percepito in tanti, molto chiaramente, almeno nella nostra parrocchia, è stato un gran sospiro di sollievo del parroco per la insperata vacanza! “Tanto, se domenica non avete di meglio da fare, potete sempre ascoltare Radio Maria!”.

Questa la risposta alle nostre perplessità. Oppure ci è stato detto: “può essere una possibilità per fare in Quaresima un po’ di digiuno eucaristico”, inteso come rinuncia alla Santa Comunione (quando in realtà, lo sappiamo bene, il digiuno eucaristico è l’astenersi dai cibi prima di accostarsi alla Santa Comunione!). Siamo arrivati all’assurdo che domenica scorsa i parroci hanno celebrato Messa chiusi in una cappellina privata, per non correre il rischio che qualche fedele capitasse in Chiesa proprio in quel momento. Oppure leggiamo articoli nei quali si accusano i sacerdoti che disobbediscono ai suddetti decreti, celebrando alla presenza di qualche fedele, di commettere quasi un sacrilegio. Oppure sappiamo di fedeli che si sono rifugiati in sacrestia per ascoltare la messa e non essere cacciati dal Vicario foraneo. O di un parroco che prima di iniziare le esequie, ha avvicinato la figlia del defunto rimproverandola per non aver vigilato su quante persone stavano partecipando al funerale, essendo vietati assembramenti di più di 20 persone e che lui “rischiava il penale”!! Che nostalgia di quei numerosi Santi sacerdoti e vescovi, in tutte le epoche storiche, che hanno dato ben altri suggerimenti alle proprie pecorelle per chiedere aiuto a Dio! E’ davvero sconcertante lo zelo con cui molti sacerdoti sono stati attentissimi ad impedire la partecipazione alla messa, evitando accuratamente di farsi vicini alle loro “pecorelle”.

E poi non hanno nulla a che ridire se le stesse vanno tranquillamente al bar, al ristorante, ai centri commerciali, al supermercato. Lì gli assembramenti ci sono stati, eccome, soprattutto per accaparrarsi i viveri di sussistenza in un delirio collettivo. Abbiamo il coraggio di sfidare il contagio per “mangiare e bere” e per fare shopping, ma abbiamo paura di rimanere infettati se andiamo a “nutrirci spiritualmente”, o a confessarci, o a condividere il dolore con chi ha perso un proprio caro? Ci siamo sentiti davvero soli e abbandonati dai nostri pastori. Abbiamo scritto tutto questo anche al nostro vescovo di Vicenza, mons. Pizziol. Preghiamo il Signore Gesù per voi vescovi, perché possiate con coraggio confermarci ancora nella fede e perché possiate presto permetterci nuovamente la piena partecipazione alla vita sacramentale. Un caro abbraccio Simone e Silvia Sanavio con i nostri sette figli