Paestum: alla ex Cirio, mostra “Sancta venera, Arte contemporanea e archeologia”

Sabato 29 ottobre, alle ore 17, l’antico santuario, all’interno della Fabbrica ex Cirio, luoghi ove nella stratificazione millenaria, sorgeva anche il borgo medievale e forse la chiesa di Santa Venera, sarà aperto al pubblico, ospitando una mostra dal titolo “Sancta Venera. Arte contemporanea e archeologia a Paestum”, ospitata presso lo stabilimento ex Cirio fruibile fino al 17 dicembre con visite guidate e performances ogni sabato. Si vede ancora poco delle strutture antiche sulle quali nel 1907 la Cirio ha costruito uno stabilimento, ma oggi l’idea di procedere ad indagini archeologiche che permettessero di riscoprire il settore ancora ignoto del santuario, il primo step di un articolato progetto che prevede il riutilizzo degli spazi dell’ex stabilimento per un Museo, sembra possa realizzarsi. Il primo evento che ospiterà il nuovo sito sarà la mostra “Sancta Venera”, una inaugurazione che avverrà nei giorni della XIX Borsa del Turismo archeologico. A questo prestigioso vernissage interverranno l’ archeologo Gabriel Zuchtriegel, giovane direttore, che incarna il new deal del parco paestano con slancio e con passione e sta attivando un programma di iniziative e di rilancio della città nella ribalta nazionale ed internazionale. Accanto a lui,  il curatore della mostra Massimo Bignardi con gli artisti, Angelo Casciello, Enzo Cursaro, AngeloMichele Risi e Sergio Vecchio, i quali ispirati dai luoghi hanno realizzato affreschi, installazioni, interventi site-specific, documentazione pubblicata anche nel catalogo edito da Arte’m, l’ antropologo Paolo Apolito, Marius Mele, che ha prodotto un intenso video nell’interno della fabbrica, ove purtroppo il pubblico non potrà accedere per ragioni di sicurezza e Olga Chieffi, che ha immaginato una performance musicale dedicata alla Venere di Paestum. Un osso di avvoltoio con cinque fori, risalente ad oltre 35.000 anni fa, ritrovato a pochi passi da una scultura femminile, la cosiddetta Venere di Hohle Fels, rappresenta lo strumento più antico della storia, il padre di tutti i “legni”, flauti, oboi, clarinetti, fagotti. Per far musica nella fabbrica di Venere, pronta in futuro a divenire la casa di ogni simbolo artistico, che pare possegga la forma dell’atanor, è stata scelta un’ancia, il suono evocativo del clarinetto e tre giovanissimi talenti, Gessica Viviani, Marco Frasca e Miriam Zeoli, esponenti della scuola napoletana di clarinetto del magistero di Giovanni De Falco, docente del Conservatorio Statale di Musica “San Pietro a Majella”. “Cosa crea tutte le specie di uccelli, se non il piacere della seduzione?” scrive Ovidio di Venere nei Fasti. Tra le antiche pietre del gineceo caro alla dea dell’Amore, il clarinetto  di Gessica Viviani, eleverà l’ “Abime des oiseaux”, terzo movimento del “Quatuor pour la fin du temps”, composto nel 1940 da Oliver Messiaen, nel campo di concentramento tedesco Stalag VIII A in Sassonia. L’abisso è quello del Tempo, con i suoi dolori e le sue languidezze. Gli uccelli sono l’opposto del Tempo, sono il nostro desiderio per la luce, per le stelle, per gli arcobaleni e per i vocalizzi festosi. “Una musica che culla e che canta, che è nuovo sangue, un gesto eloquente, un profumo sconosciuto, un uccello senza riposo” scrive lo stesso compositore. Fantasmi d’amore nel tempio della dea dell’amore profano, dell’accoppiamento che rigenera la Natura, da parte di Marco Frasca, con il Concerto per clarinetto solo di Valentino Bucchi, datato 1969, ispirato dal pensiero del filosofo Aldo Capitini,  con i suoi suoni multifonici, evocanti la “compresenza dei morti e dei viventi”,  in cui il filosofo scriveva “Andando verso un tu ho pensato agli universi…il giorno sto nelle adunanze, la notte rievoco i singoli…se mi considerano un intruso, la musica mi parla…ringraziando di tutti, mi avvicino infinitamente.” Strutturato in quattro movimenti (Moderato -Presto -Andante -Epilogo), il concerto si presenta, tuttavia, come un insieme rigidamente unitario, poichè tutte le articolazioni musicali nascono da un nucleo di tre intervalli caratterizzanti proposti all’inizio. Al clarinetto é richiesta una tecnica ardua, dotata di particolari requisiti (staccato doppio, glissando discendente, intervalli più piccoli del semitono, emissione simultanea di più note). Ultima tappa tra i luoghi di Venere con Miriam Zeoli e i Tre pezzi per clarinetto solo di Igor  Stravinskij. Nato nel 1919, questo capolavoro è stato uno dei primi brani del novecento dedicati al clarinetto solista. Il radicale contrasto tra i due pannelli estremi è mediato dall’episodio centrale, che manifesta una sorta di mercuriale instabilità d’umore. Stravinskij rinchiude in questa minuscola galleria di aforismi, mondi del tutto diversi, dall’ eco delle impressionistiche Lyriques japonaises, al petulante pezzo finale, con le sue inflessioni popolaresche che guarda al mondo sarcastico dell’Histoire du Soldat.