Accordo Forza Italia-Lega: le regionali e il tempo che passa

Amedeo Tesauro

Con il sì di Forza Italia al leghista Luca Zaia in Veneto e quello della Lega al berlusconiano Giovanni Toti in Liguria, si scrive l’ultimo capitolo di una impetuosa love story lunga vent’anni. Tra vittorie e sconfitte, con in mezzo governi che cadono e parole che hanno valenza solo nell’attimo in cui sono enunciate, l’asse Forza Italia-Lega rimane un patto certo per le grandi occasioni. Ovviamente le polemiche non sono mancate nemmeno stavolta, ma l’occasione è politicamente rilevante, perché questa volta si profila all’orizzonte un sorpasso che altererebbe le gerarchie interne alla storica alleanza. La Lega in passato ha raggiunto notevoli vette elettorali, tuttavia non ha mai minimamente intaccato il seguito della corazzata di Berlusconi, polo in grado di imporsi come principale attore della scena politica italiana, ma ora le cose sono cambiate. La Lega è nuovamente forte, c’è voluto un mutamento totale che mettessi ai margini gli esponenti di spicco della precedente dirigenza ma alla fine la Lega è tornata forte. Merito è di Matteo Salvini, presenzialista del talk dall’impatto facile e l’ambizione di arrivare lì dove la Lega non aveva mai osato spingersi (il Meridione in senso fisico, il primato nel centrodestra in senso lato), in grado di incanalare le rivendicazioni estremiste in una forma di facile appiglio sulle masse. Ma in primis ciò che Salvini ha fatto è stato prendere il posto del padre-padrone Umberto Bossi, un’operazione enormemente facilitata dalle circostanze giudiziarie che hanno coinvolto il partito, ciò nonostante un passaggio netto che ha ridato vigore alla creatura di Bossi che ora veleggia senza l’ingombrante peso della sua stessa storia. Salvini ha praticamente realizzato ciò che a sinistra ha portato avanti l’altro Matteo, l’attuale premier che ha trasformato il partito degli eterni sconfitti in partito della nazione le cui sorti finiscono col coincidere con quelle del paese. Salvini e Renzi si sono fatti largo nei rispettivi partiti eliminando la precedente classe dirigente, una cruenta operazione politica che nel caso dell’ex sindaco di Firenze presenta ancora degli strascichi (vedasi il paradossale conflitto con la minoranza PD). Forza Italia, viceversa, rimane un ex gigante decaduto, legato alle sorti del suo leader carismatico, dal carisma appannato e dal seguito incerto e in perenne calo. L’uscita dal partito di Sandro Bondi, più che un uomo uno spot vivente del berlusconismo (ex comunista convertito sulla via di Arcore divenuto poeta che canta le lodi del suo signore) è il segno tangibile di una barca che non si sa dove va, divisa, frammentata dagli odi interni, eppure troppo fragile per poter sopravvivere a un cambio del capitano di bordo. Forse allora l’alleanza con la Lega, diversa dal solito perché la parte del leone è pronta a giocarla il Carroccio, può essere l’occasione giusta per un mutamento che in tanti vedono come inevitabile ma che nessuno è in grado di portare avanti. Non un parricidio come avvenuto altrove, poiché nemmeno il ribelle Fitto pare avere la forza per poter scalzare Berlusconi e divenire il leader del partito, ma un colpo letale proveniente dall’esterno (risultati regionali non ritenuti adeguati) in grado di portare a un ripensamento da parte dello stesso Cavaliere. Del resto è difficile immaginare il protagonista della Seconda Repubblica ridursi a fare il quarto incomodo della scena politica, e se così fosse non sarebbe nient’altro che prolungare un’esperienza politica ormai smembrata perfino dei significati ideali di un tempo.