La verità in politica, tra ipocrisia e ritualità

Amedeo Tesauro

Sulla manovra di palazzo operata da Matteo Renzi tanto si è detto e tanto si dirà, azzardando ipotesi sulle intenzioni future e tentando di sviscerare i perché di una scelta non immediatamente comprensibile, una decisione che potrebbe segnare in maniera indelebile i prossimi anni, nonché la carriera dell’attuale segretario del Partito Democratico. Per i discorsi seri e ponderati ci sarà tempo, nel mentre a tanti non è sfuggita l’ironia della situazione, espressasi nelle dichiarazioni a mezzo stampa e nella ritualità della politica di partito. Pochi giorni prima di affondare il colpo Renzi affermava di non volere il ruolo di Letta, rinviando una simile eventualità al momento in cui tale risultato sarebbe stato il frutto di regolari elezioni. Quelle parole appaiono oggi teatralmente ridicole, uno sberleffo piuttosto crudele ai danni di uno stanco Enrico Letta, mostratosi nel tempo più a suo agio nei panni del mediatore che non in quelli del politico (praticamente il ruolo dello zio Gianni). Lo scherzo è continuato nel momento in cui l’ormai ex premier presentava il nuovo programma “Impegno Italia”, una messa in scena surreale realizzatasi mentre il destino di Letta era in via di definizione (e mentre tutti ne erano a conoscenza). A quel punto l’epilogo si è consumato nella direzione del PD dove tutti quanti hanno ringraziato l’amico Enrico per l’ottimo lavoro svolto, elogi sobri e di circostanza per concedere l’onore delle armi a chi in quel momento veniva pugnalato dal suo stesso partito. Niente di cui sorprendersi in fondo, le dinamiche politiche vivono di un evidente ipocrisia che fa sì che il vero pensiero sia sempre celato dietro la facciata delle cortesie di palazzo, fino al limite del tragicomico raggiunto in questi giorni. Ecco però che l’assalto di Renzi alla presidenza fa perfino dubitare di una verità da sempre vincente, ovvero che le cose in politica valgano nel momento esatto in cui vengono dette e non oltre. Affermazione già di suo fastidiosa, in quanto sottintende la natura mutevole e poco sincera dell’arte politica, eppure tremendamente vera: ciò che si dice oggi vale oggi, domani è un altro giorno. Lavoro di strategia, pensare al lungo termine mentre si opera nell’immediato, tuttavia Renzi va oltre contraddicendosi in pochi giorni e rovesciando una particolarissima esperienza di governo per costruirne una ancora più anomala. In altre parole, ormai, bisogna prendere atto che lo scenario italiano sia così abituato a certe dinamiche che oltre a non sorprendersi dei dietro-front repentini (la fiducia accordata da Berlusconi in autunno), di alleati che ritornano per convenienza dopo anni (Casini), bisogna ora accettare che quel che si dichiara oggi potrebbe non avere valenza nemmeno da lì a una settimana. Machiavellico sicuramente, e proprio da Machiavelli origina l’idea occidentale di una politica intensa come spietata realizzazione di risultati. Ma la politica nasce tempo prima, nell’Atene democratica che fondava la propria democrazia, tra le altre cose, su un principio di verità che doveva appartenere all’uomo politico: governare il popolo dicendo la verità, non nascondendo le notizie scomode. Se si guarda alla politica italiana pare difficile scorgere sia l’efficacia machiavellica sia la sincerità di espressione che ha originato la politica tutta.