La retorica del potere

Amedeo Tesauro

Si fa sempre più tesa la situazione siriana, paese dove è in atto una violenta guerra civile che ha raggiunto il suo apice nel presunto utilizzo di armi chimiche da parte del regime di Assad. Di fronte a un simile atto, la comunità internazionale pondera sul da farsi, così di trovare una soluzione al conflitto tra militari e ribelli che ha però, da tempo, raggiunto il punto di non ritorno. Lo scontro siriano è però argomento complesso che ha a che fare non solo coi paesi di quell’area, ma anche con superpotenze interessate all’egemonia nella zona: la Siria è l’alleato russo più affidabile in Medio Oriente, e Mosca ha sempre posto il veto su ogni risoluzione internazionale; U.S.A. e Gran Bretagna riconoscono i ribelli li sostengono in una certa misura. L’utilizzo di armi chimiche rappresenta il punto di rottura che potrebbe portare a un intervento armato, replicando un copione visto non troppo tempo fa in Iraq e Afghanistan. Fin dai tempi del Vietnam, dove vi era in gioco il predominio mondiale, gli Stati Uniti si sono riservati il diritto di entrare in questioni estere per fini più ampi. Oggi potrebbe ricapitare, suscitando le perplessità ormai globali, grazie a internet, di chi mette in dubbio la legittimità di certi interventi. Dietro ogni intervento al di fuori dei propri confini si nasconde un interrogativo che da sempre ha animato il dibattito: cosa dà fondamento a certi interventi? Questo o quello stato possono intervenire in questioni altrui? È evidente che il gioco sia più complicato, che ogni stato tesse una ragnatela di rapporti pronti a manifestarsi all’occorrenza, tuttavia piuttosto che ragionare in tali termini, spesso le operazioni militari si sono ammantate della bandiera del giusto e dell’ideologico. Piuttosto che rivelare al pubblico i calcoli di realpolitik, termine che indica un operato votato al pratico, gli stati coprono la propria strategia attraverso abile propaganda. La retorica del potere, citando un bel libro di Wallerstein sull’argomento, giustifica questo o quell’atto attraverso motivazioni alte. Sostenendo l’inciviltà altrui, la loro inadeguatezza a gestirsi, la superiorità della propria visione, ci si sente autorizzati a intervenire. Poco importa se l’intervento concreto porta instabilità che magari risolve certe problematiche solo per crearne di nuove: la propaganda servirà a minimizzare i danni e esaltare i risultati. Valeva ai tempi della colonizzazione nel Nuovo Mondo, dove le barbarie delle popolazioni locali spinsero gli spagnoli a fare terra bruciata, e vale oggi, con motivazioni paradossali. A partire dal Novecento, infatti, i diritti umani sono diventati il pretesto più forte per intervenire liberamente, forti delle ragioni del giusto. La tutela degli innocenti spesso ha giustificato nuove guerre che nascondevano ben altro, in un paradosso logico che solo la retorica riesce a produrre. Adesso la situazione siriana promette di mettere faccia a faccia i vecchi rivali statunitensi e russi, ognuno deciso a imporre la propria influenza nel Medio Oriente, ed ognuno di essi ha già preparato la retorica di routine, da esercitare mentre il conflitto divampa.