Parabola dell’Occidente da Socrate a Lampedusa

Angelo Cennamo

E’ lecito porre dei limiti al concetto di libertà che non siano dettati dallo stato di diritto? In altri termini, possiamo concepire una libertà i cui confini siano delimitati anche dai valori? O quel confine va individuato esclusivamente nella norma giuridica? Nell’Europa del terzo millennio si è già affermata una nuova forma di liberalismo laicista che si contrappone alla declinazione più classica del pensiero liberal, quello anglosassone che coniuga il conservatorismo etico con una spregiudicata visione dell’economia. E’ la corrente del “faccio quel che voglio”, ispirata dalla progressiva secolarizzazione dei nostri territori ed improntata al mero utilitarismo. Un’ideologia coltivata in modo trasversale rispetto ai tradizionali schieramenti politici, ma che ha messo le sue radici in alcuni movimenti della sinistra più libertaria. Questa corrente di pensiero coincide in buona sostanza con il “nichilismo”, fenomeno non del tutto sconosciuto alla nostra tradizione occidentale, trattandosi del principio ispiratore della filosofia sofistica di Protagora. Sembrerà strano, infatti, ma il confronto aperto tra relativismo ed assolutismo, oggi di grande attualità in certi salotti, era argomento di approfondimento e di contesa già nella Magna Grecia del VI secolo a.c. tra la scuola dei sofisti e Socrate, l’inventore di quella filosofia morale “embrione” se non anticipazione del cristianesimo. Per chi ha individuato nella lezione socratica l’inizio della civiltà occidentale il nichilismo o relativismo costituisce un tradimento,un rinnegamento delle nostre più profonde radici storiche e culturali. Le stesse che hanno visto nella tradizione giudaico cristiana il proseguimento di una certa ideologia improntata al riconoscimento di valori non più negoziabili, nè contaminabili dall’evoluzione del costume. In verità l’opera omnia di Platone ( discepolo, se non addirittura “inventore” del più saggio degli ateniesi) simboleggia solo una parte della nostra immensa tradizione culturale, quella per l’appunto più vicina al cristianesimo. Ma escludere da questo Pantheon immaginario la scuola dei sofisti, refrattaria al dogmatismo come oggi lo sono i “progressisti”,  è sbagliato ed antistorico. Socrate e Gesù da una parte, Protagora e Voltaire dall’altra : è questo il quadrilatero virtuale ed asimmetrico sul quale poggia e si è sviluppata la nostra identità di occidentali. Almeno fino ad oggi. Ma in futuro? Il concetto di identità non è certamente immutabile; si trasforma, si evolve secondo quel divenire eracliteo che ci riporta ancora una volta alla Grecia pre-socratica. Un lungo percorso che, alla soglia del terzo millennio, ci ha condotti ad un grado di civiltà che non è presuntuoso definire “superiore”, basti pensare alla giurisprudenza o alle diverse declinazioni della democrazia in Europa e nel nord America. Ma cosa succederebbe se questo viatico antropologico, laico e omnicomprensivo, di colpo cominciasse, dapprima a rallentare, e successivamente andasse incontro ad una malaugurata involuzione? Qualcuno è in grado di dirci se l’Europa civile e progredita  nella quale abbiamo vissuto fino ad oggi– la patria di Dante, Leonardo, Goethe, Pascal, Galileo – riuscirà a conservare se stessa di fronte alla demografia calante dei suoi abitanti e allo smisurato fenomeno migratorio scoppiato nei Paesi del Maghreb, che sta spingendo sulle coste italiane migliaia di disperati con storie e radici molto diverse dalle nostre? In altre parole, è lecito immaginare il futuro del nostro amato Occidente come l’Eurabia della celebre trilogia di Oriana Fallaci, o peggio come una sterminata Lampedusa?