Considerazioni sull’etica

Fulvio Sguerso

All’inizio di un discorso sull’etica sarebbe  bene dichiarare il proprio credo,  cioè i propri valori, dal momento che tutti abbiamo dei valori in cui ci riconosciamo; il problema nasce quando professiamo certi valori a parole, ma poi agiamo magari secondo valori opposti a quelli professati, come purtroppo accade anche in certi casi, per fortuna limitati (?) di rappresentanti delle istituzioni politiche e persino religiose. Tuttavia, nell’atto di dichiarare il mio credo “etico”, mi si presentano alcune difficoltà terminologiche e concettuali. La prima è questa: come si può parlare correttamente di un oggetto  che non si distingue, se non per astrazione, dal soggetto che parla e che agisce? Per farlo bisogna supporre uno sdoppiamento preliminare tra l’io che parla e l’io di cui parla, avvertendo che tra l’uno e l’altro si apre uno spazio malsicuro e incerto, un terreno vago e insidioso in cui possono allignare illusioni ottiche, autoinganni, rimozioni, fantasmi e  idoli di cui magari l’io che parla non è neppure consapevole ma che orientano il discorso in una direzione piuttosto che in un’altra. Una seconda difficoltà consiste nel teorizzare atteggiamenti e comportamenti che, se rimanessero unicamente soggettivi, non potrebbero definirsi etici, dal momento che ogni discorso etico si rivolge, oltre che a noi stessi, alla communitas, anzi alla specie cui apparteniamo (e non solo a quella, soprattutto oggi che è messa in forse la sopravvivenza della biosfera). Quindi un discorso che rimanesse tale e non si traducesse in vita vissuta, patita e sofferta (ahimè) non sarebbe etico ma retorico e ipocrita in aggiunta. Una terza difficoltà consiste nei limiti del linguaggio in generale. Limiti contro i quali, come ha detto Wittgenstein, il discorso etico si avventa invano come un prigioniero contro le pareti della sua cella. Bene, dopo simili premesse, posso ancora enunciare il mio credo? Ci proverò, avvertendo che anche il mio, come tutti i credi, si professa ma non si dimostra; e se anche dichiarassi di non avere nessun credo dichiarerei pur sempre un credo: quello di chi non crede, o di chi crede di non credere. Dunque in che cosa credo? Intanto che il mondo esiste, e che con il mondo siamo in un rapporto per così dire ambivalente: da un lato ci è amico e, come direbbe Santo Francesco, ci sostenta e governa; ma dall’altro ci minaccia con le sue tempeste, il suo gelo, o il suo ardore insopportabile ( come canta Leopardi). Da  che cosa dipende l’atteggiamento di fondo che una persona nutre nei confronti del mondo? In parte dal carattere, in parte dalle esperienze vissute, in parte dalla sua Weltanschauung; ma chi può dire quanto quest’ultima dipende dal carattere e dalle esperienze vissute? Io per esempio, mi sono sentito attratto dalla concezione stoica e ascetica a un tempo di una mistica laica come Simone Weil, forse (anzi, senz’altro) per antitesi, ammirando in lei quella forza di carattere e quella capacità di vivere e patire nella propria carne l’oppressione di una società iniqua che io non avrei sopportato nemmeno per un quarto d’ora. Ora patire non vuol dire accettare, vuol dire non dimenticarsi mai della sofferenza e non stancarsi mai di chiedersi perché il mondo è così inabitabile per tanti poveri, umiliati e offesi. Un mondo simile è dunque inaccettabile; ma se continuiamo a viverci, di fatto lo accettiamo. Possiamo, è vero, consolarci con l’amicizia, con l’arte, con l’”identificazione del minimo” indispensabile a una convivenza che possa definirsi umana, ma resta la lacerazione di fondo tra la vita come è e la vita come vorremmo che fosse. E qui, di nuovo, entrano in gioco le nostre scelte, che, se non vogliono rimanere sulla carta, devono concretizzarsi nell’azione. Un grande pensatore tedesco del secolo scorso (ingiustamente maltrattato da Hans Jonas), Ernst Bloch, ha sostenuto che l’umanità non ha ancora raggiunto la sua vera vita e che non la raggiungerà se non crederà fino in fondo nella possibilità di raggiungerla. Per Bloch siamo ancora nella preistoria, e ci resteremo finchè immagineremo il paradiso fuori da questo mondo. La speranza è di ricongiungere il cielo alla terra attraverso l’ontologia del non-essere-ancora: la vita è lacerata perché non è ancora quello che vuole, che tende a essere; è un soggetto che non è ancora divenuto il suo predicato. Per questo soffre. Il mio credo è che sia la sofferenza del parto. Utopia? Certo, ma che cosa sarebbe un mondo senza utopia? Un inferno senza speranza per tanti infelici o un purgatorio e senza paradiso.

25 pensieri su “Considerazioni sull’etica

  1. Carissimo Dottor Sguerso,
    La sua splendida teoria filosofica merita un’attenzione molto equilibrata e coerente perché si tuffa con rara saggezza, nei meandri del cuore dei soggetti molto sensibili. L’etica, infatti, a parer mio, può avere una grande valenza universale se messa in atto da persone di ogni provenienza sociale, ma, giustamente come sostiene Lei , vi è tanta gente in giro che attua solo con parole il corretto agire sociale. Come dire: predicare bene e razzolare male.
    Con questo chiudo con una mia vecchia, umile poesia. Un forta abbraccio , Alfredo

    S.O.S. ogni due secondi muore un bambino nel mondo per fame!

    CUORE
    Ad un popolo affamato
    diamo vitto? No, blandizie!
    mentre al ricco che ha mangiato
    elargiamo altre dovizie.

    Si concede ogni Natale
    al tapino un libro- strenna
    e per premio “culturale”
    tanto pane…scritto a penna.

    Ci vorrebbe un po di cuore
    per chi soffre e si dispera;
    fosse bianco o di colore
    vuole cibo per la sera.

    La speranza è che domani
    ci sarà quel girotondo
    dove i buoni cristiani
    sazieranno tutto il Mondo.

  2. Cosa sarebbe un mondo senza UTOPIA? Io credo che sarebbe giusto prima chiedersi cosa s’intende per UTOPIA e lo vorrei fare attraverso una citazione di Eduardo Galeano:
    “Lei è all’orizzonte. […] Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare”. L’Utopia, dunque , è Movimento, è Vita, è Progresso.Ora più che di mondo vorrei parlare di Società senza Utopia, questo per meglio concretizzare e contestualizzare il discorso.Alla luce di quanto sopra detto, io mi guardo intorno e cerco di darmi qualche risposta.Per me uno Stato, una società senza utopia è una società imbalsmata e confusa, dove per Utopia s’intende lo Statotuttomio. Nello Statotuttomio si confonde l’ETICA con la… NATICA (o al massimo con l’Estetica,) Dio con la Religione,la Provvidenza con la Provvigione, il Papa con il papi, la Storia con la Scoria, la Memoria con la cicoria, il Tribunale con il manicomio, il Linguaggio con il linciaggio, l’impresario con il faccendiere,la bottiglia con il tappo; dove ” la donna è mobile” viene inteso come””la donna è un’automobile”;la LEGGE come una PORCATA; quando c’è chi per “gravità (del caso)” si esprime dicendo”la gravidanza (del caso)”, dove la parola (significante) non contiene più il significato, come dire che basta la scatola senza il regalo. Bene, in un tale Stato….confusionale, l’Utopia può essere fraintesa con Miopia, o con luogo infestato da topi, ma non certo come un’orizzonte di ideali a cui tendere, quello che ci permette di Camminare. Gli unici movimenti consentiti in questo Stato sono: andare indietro come i gamberi,razzolare come gallinacei in un cortile o al massimo sgranare gli occhi… nel godere del Bunga Bunga del padrone.A questo punto l’unica speranza che si possa nutrire è che ci guardiamo un bel cartone,quello di GALLINE IN FUGA e sperare che ci venga voglia di imitarle.Le chiedo scusa , prof. Sguerso,se, per rimanere in tema, ho usato uno stile EOLICO anzichè AULICO . Con tanta stima e simpatia!

  3. Per tanti “realisti” e “pragmatici” benpensanti gli utopisti sono, nel migliore dei casi degli ingenui sognatori e, nel peggiore, pericolosi fanatici che starebbero bene al manicomio o in galera. Eppure è bene domandarsi, come lei fa, intelligente Civetta: “Cosa sarebbe un mondo senza utopia?”. Come è noto, Marx considerava i socialisti utopisti dei rivoluzionari in teoria e dei falliti in pratica, perché non tenevano conto delle condizioni storiche reali in cui avveniva lo sfruttamento della forza-lavoro da parte delle borghesia capitalistica, e “sognavano” di trasformare la società senza il bisogno della lotta di classe, e magari con il buon esempio di piccole comunità che vivevano in armonia e senza la divisione in classi contrapposte. Ma oggi possiamo dire che anche la società senza classi immaginata da Marx e da Engels si è rivelata utopica.
    Ora, essere utopico significa, appunto, “non essere in nessun luogo”. E tuttavia, non è che il mondo attuale e i luoghi della postmodernità (i non-luoghi di Auger) siano poi così a misura d’uomo da non doverne sognare altri, né che la società esistente e reale sia anche giusta e felice. Gli utopisti, anche oggi, sognano una società giusta, e giusta significa soprattutto che ogni essere umano, in quanto tale, sia titolare degli stessi diritti e sia tenuto a obbedire agli stessi doveri universali. Utopia? se ci guardiamo interno, sì, è un’utopia. Ma se ci guardiamo dentro, non possiamo non avvertire un senso di ribellione nei confronti di tutte le sofferenze inflitte agli umili e agli ultimi, ai “dannati della terra” di cui parlava Fanon. Naturalmente se abbiamo una coscienza e il sentimento di appartenere non a questa o a quella classe sociale (né, tantomeno, a questa o a quella cricca o holding finanziaria) ma all’intera umanità. O aveva ragione Hobbes nel giudicare gli uomini incapaci di vivere in pace rispettandosi reciprocamente e di agire con intelligenza per il bene comune anziché egoisticamente per i propri interessi immediati e privati?

  4. Dottor Sguerso, lei è uno scrittore di chiara fama, leggo sempre i suoi interessanti e profon di articoli. L’etica è argonento tabù in Italia, lei ha il coraggio di parlarne. La simo per ciò e le faccio i più bei complimenti per l’articolo. DentroSalerno sarà on orato di avere i suoi scritti.

  5. Gentile Ester, chi parla di etica pubblica oggi nel nostro Paese ferito, sfregiato nelle sue bellezze paesaggistiche e nelle sue istituzioni repubblicane e democratiche, irriso in Europa e, grazie alla televisione e a Internet, nel mondo, a causa dei “costumi” pubblici e privati di un premier che in qualunque Paese civile e democratico avrebbe dovuto rassegnare le proprie dimissioni per indegnità morale, è subito etichettato con scherno come “virtuoso” (e ipocrita) o “comunista” dagli avvocati e dai cortigiani del Cav.
    Per fortuna esiste anche un’altra Italia, oggi in sofferenza e minoritaria, che crede ancora in valori come l’onestà, la dignità e il decoro, così in pubblico come in privato, e sarà questa, prima o poi, a riscattare il nostro Paese dal degrado in cui è precitato; anche a causa, sia chiaro, dell’insipienza, dei tatticismi miopi e della corruzione di quasi tutta la sua classe politica. Eh sì, ci vorrà almeno una nuova generazione “virtuosa” per risalire la china (sempre che non sia troppo tardi).
    Grazie per il commento e per la stima.

  6. E’ vero, signor Alfredo; finché c’è vita c’è speranza.
    E la speranza è anche una virtù fondamentale del cristiano.
    Non disperiamo!
    Un caro saluto e un sentito ringraziamento.

  7. Va precisato che Berlusconi non viene giudicato per la sua vita privata,ma per i suoi Reati,non Peccati!. I magistrati infatti non sono preti e lei lo sa benissimo, anche se gioca a fare lo gnorri, avv. Cennamo.Dovrebbe sapere che la maggior parte dei reati si compiono proprio nella vita privata….!Come dire che l’omicidio di Sara da parte dello zio o dellla cugina sia un fatto privato…?!?
    L’induzione alla prostituzione di ragazze minorenni cos’è? è un “peccatuccio di poco conto” Se fosse coinvota sua figlia o sua sorella ne sarebbe orgoglioso, immagino…Inoltre, a parer mio, la vita di un uomo pubblico deve essere trasparente, anche nel privato Dunque se ci sono dei magistrati che indagano, lasciamo che facciano il loro lavoro come lei pensi a fare bene il suo, che ce ne avrà già abbastanza.Non aggiungiamo confusione a confusione, perchè oggi l’Italia è vittima sacrificale di troppi azzeccagarbugli.Infine,sulla produzioni di leggi e dei provvedimenti legislativi prodotti dal governo berlusconi, meglio non aprire il discorso perchè sarebbe interminbile: stendiamo un velo PIETOSO!!!
    Con la massima cordialità.

  8. Avvocato,
    perché allora il suo pupillo muove marie e monti per non presentarsi davanti a un Giudice? Finché non c’è processo e condanna-assoluzione anche Mons. De Lapalisse sa che si tratta di “ipotesi di reato”. Non offenda però l’intelligenza di Msr. Civetta e di chi ha le idee abbastanza chiare. Chi ha maggiormente chiarito le idee agli Italiani è stato proprio il suo pupillo.
    Cordialità
    Giangastone

  9. Avvocato,
    dimenticavo una osservazione alla luce dei suoi stessi commenti. Mi sembra che lei confonda un pochino i significati dei termini “opinione” e “giudizio”. I commenti dei lettori a volte se non spesso esprimono opinioni e non giudizi. Eppure nei suoi studi questa distinzione se la sarà pure posta, no? Posso rispettare le sue opinioni e non concordare con esse. Lei è sicuro di fare altrettanto?
    Cordialità
    Giangastone

  10. Caro sig.Giangastone,La ringrazio per aver gentilmente anticipato la mia stessa risposta.
    Si vede che fa l’avvocato il sig. Cennamo: spacca sempre il capello in quattro, anche quando si tratta di questione di lana caprina.
    Gentile Avv. Cennamo,ognuno di noi ha una forma mentis, la differenza sta tra chi nella vita, si costruisce la SUA forma mentis e chi la subisce perchè qualcun altro gliela modella!
    Sempre con molta cordialità!

  11. Avvocato,
    vede? rispetto la sua opinione usando lei un dubitattivo “mi sembra”. A molti sembra proprio il contrario e la difesa di questo individuo grottesca e offensiva per l’intelligenza di molti. Lei non ha pupilli? Perdoni il mio linguaggio approssimativo: leggo i suoi scritti e mi faccio un’opinione (appunto!).
    Cordialità
    Giangastone

  12. Una precisazione d’obbligo:
    Con “questione di lana caprina” non intendo, in questo caso, una “distinzione poco importante”, ma semplicemente “scontata”, “ovvia”.
    Mi piacerebbe anche che la stessa sottigliezza vennisse applicata a questioni o aspetti più macroscopici della situazione.
    Ho appena letto dove Lei, avv. Cenamo, afferma che B. si sta difendendo NEL PROCESSO e non DAL PROCCESSO.Chiedo scusa, ma forse mi sono persa la puntata più interessante di questa FICTION tutta italiana, quella di B. davanti ai giudici di un tribunale!

  13. Il mondo senza utopia cosa sarebbe?
    Come sarebbe stato il mondo se si fosse retto sulle utopie?
    Un mio caro amico mi riprendeva dicendo: “la tua e solo “ideologia”, ma ci vogliono le idee concrete per far girare il mondo”.
    Questa osservazione mi colpì profondamente poichè avevo vissuto la mia vita pensando che…….
    Lui mi risvegliò…un triste risveglio e così mi sono chiuso nel mio mondo “ideale”, per quello che posso, e mi ritrovo “lupo solitario”.
    Come sempre dott. Sguerso il suo è un ottimo punto di partenza per farci ritornare a riflettere.
    Grazie
    in bocca al lupo

  14. Ben ritrovato Lupo Solitario!
    Secondo Karl Mannheim:”l’ideologia e l’utopia, nonostante siano accomunate dall’essere delle Weltanschauungen, delle “visioni del mondo”, differiscono radicalmente nella loro natura: l’ideologia rappresenta il pensiero della classe dominante, essa è quindi tesa alla conservazione della realtà esistente; l’utopia rappresenta il pensiero delle classi dominate, essa è quindi tesa alla trasformazione della realtà esistente.”
    Io più semplicemente ritengo che l’idelogia e l’utopia non vadano confuse, è vero, ma per motivi diversi da quanto sopra esposto. L’ideologia rappresenta un sistema di pensiero realizzabile, vedi l’ideologia nazista, quella comunista,quella liberale ecc.Però dell’ideologia si può essere anche schiavi, essa può costituire una gabbia per il pensiero libero.
    L’utopia, invece,secondo me,(scusi questa espressione che lei non ama)è rappresentata da quella tensione ideale che ci spinge continuamente verso nuove mete, nuovi orizzonti che probabilmente non si raggiungeranno mai, oppure la loro realizzazione potrà avvenire in un futuro che mai ci apparterrà. Ma l’importante è guardare lontano,l’importante è il percorso che nel frattempo si va facendo. Senza questo forza che ci spinge continuamente in avanti , saremmo come tanti zombi ripiegati su noi stessi.L’utopia è l’anelito dell’anima e può essere anche schiacciato da un’ideologia.Come atteggiamento del’animo umano essa appartiene a tutti e non solo ad un determinato gruppo sociale, come può essere l’ideologia.Io credo quindi che possa esistere un mondo senza ideologia,ma un mondo senza utoppia è destinato ad autodistruggersi,perchèè un mondo cristallizzato, assurdo,senza anima.Saluti e cordialità!

  15. Lupo Solitario, non è stata pubblicata neppure la sua risposta, ci scommetto!

  16. Civetta,
    manca anche a me il cennamo alle prese con l’Etica, ed un mio commento alla sua scomparsa. A questo punto penso di non vedere neanche questo che stò scrivendo.

  17. La sua disquisizione, gentile e “superba” civetta, è eccellente, il mondo riserva a chi guarda “lontano” solo sorrisi pietosi, ti guardano, ti biasimano e vanno oltre. Non si appartiene a loro, perchè non si è parte di questo mondo che vuole tutto e subito.
    Il cuore oltre lo steccato, l’amore contro l’odio, il bello contro il brutto, “l’utile contro l’inutile”, il razionale contro l’irrazionale, la ragione contro la pazzia/istinto.
    Sono sogni, idee strane, oppure è solo utopia?
    Sapere cosa si è o cosa si vorrebbe essere e tendere ad esso è bene oppure è meglio lasciarsi prendere dal momento fatale, cogliere il momento, “cape diem”.
    Si sceglie di essere un’altra cosa rispetto al modernismo che sta soffocando duemila anni di civiltà.
    Si va per monti e per valli, in queste notti gelide, ad ululare alla luna che si mostra sempre più bianca.
    Perchè questo “mondo” è quello che non si vuole accettare, che non si può accettare, che non si deve accettare.
    Il dott. Sguerso ci pone un interrogativo:
    ” Dunque in che cosa credo? Intanto che il mondo esiste, e che con il mondo siamo in un rapporto per così dire ambivalente: da un lato ci è amico e, come direbbe Santo Francesco, ci sostenta e governa; ma dall’altro ci minaccia con le sue tempeste, il suo gelo, o il suo ardore insopportabile ( come canta Leopardi). Da che cosa dipende l’atteggiamento di fondo che una persona nutre nei confronti del mondo? ”
    Io gli rispondo con forza: IO CREDO!!!
    in bocca al lupo

  18. Belle le sue parole, sig. anonimo. Condivido i suoi dubbi, ma anche la sua forza nel credere che “un altro mondo è possibile!”.
    CREDERE, nella realizzazione dell’utopia? Anche contro il mondo? perchè no?!è questa la grande forza forza di un’umanità che non vuole morire! I sogni sono i dogmi dell’utopia.I sogni si possono pensare come irrangiungibili ma possiamo viverli come realizzabili, lasciando che tracce dei ns sogni possano indicarne la strada ai ns figli!
    Cordiali saluti.

  19. Gentile sig. Panormo, mi dispiace che sia accaduto questo spiacevole episodio di censura, perchè penso che un libero scambio di idee non sia e non deve mai essere un giudizio sulla persona della quale non si condividono le idee.Non è stato un bel comportamento neppure da parte della redazione del giornale che comunque si sforza di dare voce a tutte le opinioni.In precedenza ho avuto occasione di controbbattermi ancora con il sig. Cennnamo, ma senza arrivare a questo gesto. A volte il tono può essere un pò ironico,magari scadere anche un pò in una mancanza di stile,quando ci si lascia prendere la mano,ma Il rispetto per la persona non viene mai meno,soprattutto in una situazione come questa dove ci si conosce solo attraverso dei commenti scritti.Chiaramente però questo impegno deve essere reciproco.
    Distinti saluti.

  20. Vorrei ricordare all’anonimo Lupo che tutti credono, anzi, crediamo in qualcosa: tutti noi abbiamo dei principi e dei valori in cui crediamo e che ci guidano nella vita. Sovente, però, come ha ben detto l’intelligente Civetta, dobbiamo constatare che molti si lasciano guidare (e dominare) dai “valori” , appunto, dominanti nella società in cui si trovano a vivere; e lei sa bene quali sono i veri “valori” oggi dominanti, nevvero? I soldi e il potere: chi ha i soldi crede di avere anche il potere e chi non ha i soldi si scordi anche di avere od ottenere qualunque potere. Questa è l’etica oggi dominante così nel pubblico come nel nel privato; e il resto, direbbe Marx, è ideologia, oppure, come dice Amleto, è silenzio. Non crede?
    Un cordiale saluto.

  21. Chiedo scusa l’ardire dott. Fulvio, ma lei in cosa crede?
    Pensavo, nel leggerla tante volte che non avesse certezze….bohh???
    forse mi sono sbagliato e chiedo venia.
    in bocca al lupo

  22. Alex Langer, testimone e profeta della nonviolenza, racconta che da bambino aveva chiesto alla madre:
    “perché il papà non va mai in chiesa”?
    La mamma gli rispose: “non conta tanto in che cosa si crede, ma come si vive”.
    Cordiali saluti.

  23. Veramente la domanda era rivolta a lei, signor Lupo (a proposito, ha poi letto “Il lupo della steppa” di H. Hesse?); perché non basta affermare “Io credo”. Forse dà per scontato che il suo credo sia, appunto, il Credo dei fedeli cattolici che si professa solennemante nel rito della Messa. Lei mi chiede invece in che cosa credo io,presupponendo, se ho ben capito, che non creda in niente (“pensavo che non avesse certezze”) mentre le avevo appena risposto che tutti, quindi anch’io, crediamo, o meglio, crediamo di credere in qualcosa, altrimenti non sapremmo nemmeno perchè alzarci al mattino e coricarci alla sera, per dire che non si può vivere senza credere che ne valga la pena. Però lei vuol sapere, suppongo, in che cosa credo di credere, o addirittura se credo o non credo nell’esistenza di Dio, o sbaglio? E allora le rispondo così: più che credere in Dio credo in chi spera che Dio esista e credo nella fede di chi crede “In un solo Dio, padre Onnipotente , creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili…….”, e, se vuole che le dica tutto, prego perché la loro speranza e la loro fede non sia vana. Quanto alle cose di quaggiù, credo che un uomo che soffre per la sofferenza dei suoi simili e si adoperi per alleviarla – creda o non creda in Dio – compie il suo dovere di uomo. Viceversa, se un uomo, anche se si professa credente, che non soffre per la sofferenza dei suoi simili (e magari anche di tutti gli esseri viventi) e non si adopera per lenirla, semplicemente manca al suo dovere di uomo. Non so se questo le basta, per il momento.
    Un cordiale saluto.

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