Il futuro degli atei? Una razza in via di estinzione

don Marcello Stanzione

Oggi si discute molto sul numero degli atei. Secondo uno studio tedesco pubblicato sul Sunday Times, le società dominate dai non credenti sono condannate da se stesse all’estinzione mentre i popoli religiosi si sarebbero evoluti in modo da generare più bambini nati nelle famiglie di credenti e praticanti. La ricerca è stata condotta analizzando 82 paesi: in quelle nazioni dove la gente partecipa a funzioni religiose almeno un a volta alla settimana le famiglie hanno in media due o più figli, mentre nelle società laiche la media è di 1,7, inferiore a quanto è necessario per mantenere stabile la popolazione. In un saggio intitolato “ Il vantaggio riproduttivo della religiosità”, il sociologo Michael Blume docente all’Università di Jena in Germania ha dichiarato che l’evoluzione statistica a lungo andare favorisce i credenti praticanti rispetto agli atei che gradualmente sono destinati quindi ad estinguersi da se stessi.  Comunque secondo alcuni, i veri atei oggi sarebbero così rari da far quasi dubitare della loro esistenza: secondo altri come l’ organizzazione ateistica italiana (UAAR) l’ateismo oggi sarebbe in grande e progressiva  espansione, non solo nelle sfere colte, ma nelle stratificazioni più popolari specie tra le fasce giovanili degli studenti, da giustificare le previsioni più catastrofiche sull’avvenire della religione cattolica specialmente nei paesi di vecchia cristianità come l’Europa e l’America del Nord. Se esaminiamo poi le statistiche fondate sui vari censimenti, esse ci danno certamente statistiche degli uomini senza religione, ma non ci offrono una base solida e chiarificante per dirimere la controversia sul numero dei veri atei; mentre l’ esperienza diretta di tanti sacerdoti  lascia esitanti di fronte a questa controversia, perché se da una parte, la propaganda irreligiosa e l’accanimento con cui certi ambienti si combatte apertamente o insidiosamente l’idea di Dio, sembrano giustificate un nero pessimismo, dall’altra parte, il risveglio religioso e il ritorno alla chiesa  di molte anime anche dopo tanti anni di ostilità e il ritorno a Dio di intellettuali autorevoli, sono sintomi che fermentano un sano ottimismo. Il problema dunque del numero degli atei è molto discusso ed è molto discusso ed è veramente discutibile; e noi non abbiamo nessun interesse, né ad esagerare l’ateismo contemporaneo, questo male così raccapricciante e così desolante, né a menomare questo pericolo che minaccia la vita intellettuale e morale degli individui, delle famiglie e della società civile specialmente nell’occidente secolarizzato del ventunesimo secolo. Nondimeno ci sembra che possiamo avviarci ad una soluzione meno incerta e piuttosto rasserenante, se determiniamo esattamente quali uomini possano e debbano dirsi atei nel senso vero e pieno della parola. Orbene, se restringiamo l’orrendo nome di atei a quelli soltanto che dagli apologisti e dai teologi sono chiamati atei speculativi e positivi, se cioè riteniamo come atei veri e propri soltanto gli uomini, che sinceramente credono di avere ragioni sufficienti per negare l’esistenza di Dio o almeno di non avere ragioni sufficienti per ammetterla; soltanto gli uomini i quali presumono di essere arrivati alla negazione di Dio con certezza, con la fermezza che esclude ogni dubbio ed esitazione: noi allora dobbiamo escludere dalla categoria, degli atei veri e propri e molti uomini, i quali, è vero, o restano indifferenti di fronte al problema di Dio o risolvono malamente questo massimo problema; i quali meritano i più severi rimproveri per la loro leggerezza, per la loro incoerenza, per la loro perversità; ma non possono tuttavia dirsi atei, nel senso vero e pieno della parola, perché non giungono fino alla negazione di Dio. Tali sono innanzitutto le legioni di uomini, che nella loro vita pratica vivono come se Dio non esistesse; quelli cioè che pur credendo in Dio non mettono d’accordo la loro condotta con questa credenza ed abbandonano ogni pratica religiosa, che sarebbe un severo e continuo rimprovero alla vita che menano. Né mancano degli uomini, che per deferenza o per vanità, per calcolo pragmatico politico o per viltà,  in pubblico ostentano la più grande indifferenza rispetto a Dio e il più gran disprezzo per tutto ciò che sa di religione specialmente contro i membri del clero; e in privato poi rinnegano quello che hanno detto in pubblico e diventano nuovamente religiosi, magari fino alla superstizione. Ora, tutti costoro non sono atei nel senso vero e pieno della parola. Sono persone che hanno bisogno di essere scosse nella loro incoerenza pratica, nel loro sdoppiamento di coscienza, nella loro mancanza di riflessione, nelle loro passioni di sensualità e di orgoglio; hanno bisogno di essere scosse, perché la loro certezza di Dio, assopita ma non mai spenta del tutto, si risvegli e si esprima nell’adorazione a Dio e nella pratica dei sacramenti.  Atei non sono pure i molti  che, cresciuti in ambienti familiari da cui Dio è assente ed in cui tutto distrae dai veri fondamentali problemi della vita ( chi sono? Da dove provengo? Dove vado? Qual è il senso profondo della vita?…)  trascinati dalla corruzione dei sensi che annebbia la mente, dominati dall’orgoglio che stimola a ribellarsi ad ogni norma: trascorrono la vita in frivolezze ed in competizioni egoistiche, pensano meschinamente solamente al denaro e cercano di distogliere la loro anima da tutto quanto li richiama a un Dio, supremo Signore e legislatore e giudice degli uomini e della storia. Sono personalità corrotte moralmente ma non propriamente atei. Tali sono ancora tanti sofferenti, che sferzati dal dolore fisico morale o psichico, oppressi dall’ ingiustizia, frustrati nel loro desiderio umano di felicità, si domandano: ma se esiste Dio, perché permette tutta questa sofferenza? E stanno per toccare la soglia dell’ateismo, credendo di avere ragioni sufficienti a causa della loro infelicità esistenziale per negare Dio; ma si arrestano sull’orlo dell’abisso, si sentono come trattenuti da una  misteriosa mano paterna, e spesso si ricredono, e ritrovano nel pensiero di Dio la serenità e la fortezza, che li rafforza e sostiene alle lotte della loro difficile vita. E nemmeno possono dirsi atei veri e propri quegli increduli, che non accettano una determinata religione e non praticano nessun culto di Dio, ma credono ancora in un Essere supremo, autore della natura. Se in essi è crollata la fede in Cristo Dio, nella divinità del Cristianesimo, nella divinità della Chiesa, sopravvive nondimeno in essi la credenza in Dio, sia pure ridotta ad un sentimentalismo vago e indeterminato, che è come una scintilla, la quale fa sperare che un giorno sarà ravvivata, fino a ricondurre questi confusi alla vera fede cristiana da essi abbandonata. Né tanto meno sono atei quei filosofi, che come Kant, si affaticano a smantellare gli argomenti classici teisti in difesa dell’esistenza di Dio – argomenti solidi, splendenti, che appagano tutte le menti non problematiche patologicamente – per sostituirvi i loro argomenti di “ ragione” meno validi e anzi vacillanti, e forse anche insufficienti ed inefficaci sotto il profilo filosofico. Non sono atei, perché, nonostante le loro demolizioni sofistiche, sopravvive in essi l’affermazione dell’esistenza di Dio. Se escludiamo quindi questi ed altri uomini, che pure da molti sono ritenuti atei, resta che gli autentici atei nel senso vero e pieno della parola formano una sparutissima minoranza nella società, come riconobbe anche il classico apologista francese dell’ateismo, il materialista Felix Le Dantec (1869-1917), quando scriveva malinconicamente : “Ai nostri giorni, si dica quello che si vuole, esiste una infima minoranza di atei…la grande maggioranza degli uomini è imbevuta dell’idea di Dio”. D’altra parte se vediamo gli argomenti odierni a favore dell’ ateismo portati  avanti da scrittori come Piergiorgio  Odifreddi c’è veramente da dubitare che l’ateismo abbia un futuro brillante…