Globalizzazione: nel DNA dell’Umanità?

Salvatore Ganci

Il titolo di questo contributo vuole ricalcare quello di un articolo recentemente apparso su questo Giornale a firma di Patricia Luongo. In realtà il mio obiettivo è molto più modesto volendosi solo limitare al fallimento dell’introduzione di una lingua universale e all’affermazione di una lingua nazionale.  Il suo sottotitolo potrebbe essere pertanto: “Quando la Fisica parlava Tedesco”. La lingua universale alla quale mi riferivo è ovviamente l’Esperanto, sorto probabilmente con le più nobili intenzioni di una globalizzazione della comunicazione ma in realtà esempio di un fallimento di fatto. O forse qualcuno sostiene che esistono riviste Scientifiche/Letterarie in Esperanto? A me non risulta ma potrei comunque omettere qualche isolatissimo caso particolare. Il perché del fallimento “globale” di questa lingua esce dal mio campo di competenze, ma la semplice “lettura” del fenomeno mi porta all’osservazione che una lingua “naturale” (la lingua Inglese) ha avuto una supremazia di fatto, in ogni campo del Sapere su una lingua “artificiale”. Esaminiamo il periodo che va dalla nascita delle Riviste Scientifiche (una delle più  antiche “Philosophical Transaction of the Royal Society”) fu pubblicata nel 1665 per la prima volta. Desidero far notare che nel 1665 Londra era devastata dalla peste descritta magistralmente da Daniel Defoe nel suo “A Journal of the Plague Year” e che l’anno successivo Londra subì un incendio devastante. Lingue e Riviste Scientifiche passano indifferenti attraverso rivoluzioni (come quella Francese), nazionalismi e guerre inclusa la prima guerra mondiale. La comunicazione scientifica passa indifferente al travagliato periodo tra le due guerre e ogni Società Scientifica “nazionale” pubblica la sua Rivista riportando in recensione brevi traduzioni dei principali articoli apparsi sulle altre Riviste estere. Chiunque sfogli il nostro “Nuovo Cimento” o gli “Annales de Chimie et de Physique” può facilmente trovare conferma a quanto affermato. Allora la Fisica parlava principalmente il Tedesco e “Annalen der Physik” ha ospitato anche nel periodo della persecuzione ebraica e nel tentativo di “pangermanizzazione” del terzo Reich articoli scritti da Fisici di tutto il mondo senza esclusione alcuna. Pubblicare su “Annalen der Physik” aveva per l’Autore la stessa valenza di “punto di arrivo” che ha oggi pubblicare su “Physical Review Letters”. Il Tedesco era lingua correntemente insegnata nei nostri Licei Classici fino ad almeno la metà degli anni ’60. Al tentativo di globalizzazione del male, e alla catastrofe globale del secondo conflitto mondiale e della guerra fredda, la Scienza passa egualmente indenne, anche se con un processo di globalizzazione spontanea e pacifica, l’asse comunicativo si sposta irreversibilmente dalle lingue nazionali e dal Tedesco, alla Lingua Inglese. Ogni Rivista Internazionale riporta testualmente che ogni lingua è (teoricamente) ammessa, ma tutti gli articoli delle Riviste fino ad oggi lette riportano articoli in una lingua  “Inglese” che può un po’ sconcertare qualche Docente di  “Lingua e Letteratura Inglese” per le “barbarie” di alcune espressioni idiomatiche impiegate o la contrazione in un unico termine di due termini separati e impietosamente segnalati come “errore di spelling” sia dal correttore di Word impostato tanto sull’Inglese “British” quanto quello “American”. E’ la globalizzazione che lega il Sapere oramai in tutti i campi della Scienza dove tutti gli acronimi derivano dalla lingua Inglese. Quali le cause di una pacifica rivoluzione globalizzante che né Alessandro Magno, né Hitler sono riusciti a conseguire? Da Fisico ho solo descritto la fenomenologia che è incontestabile, ma mi sorge spontanea la domanda del perché la seconda guerra mondiale ha rappresentato un punto di non ritorno nella “comunicazione” tra le Comunità Scientifiche. Se applichiamo all’uomo una sorta di “principio della minima azione” o “strategia evolutiva vincente” la seconda guerra mondiale ha determinato in qualche modo un effetto di “non ritorno” e di pacifica globalizzazione che non mi pare in linea con la visione generalizzata in negativo che offre Patricia Luongo nel suo scritto. Oggi, e nel periodo dalla seconda guerra mondiale ad oggi, “Annalen der Physik” e “Optik” (due tra le più antiche riviste Tedesche) esistono ancora anche se non hanno lo stesso impatto editoriale che avevano nella prima metà del XX secolo. Per il resto, l’Inglese parlato (spesso incomprensibile per lo “stress” esagerato che viene posto nel ricalcare inflessioni non “British”) ci perseguita nelle pubblicità televisive (solitamente le più futili) ed è veramente “out” non curare la propria pronuncia comprando le apposite riviste in edicola con il il CD audio annesso, mentre mi ostino solo a scrivere in Inglese “scientifico” incapace però di pronunciare correttamente un periodo di più di quattro parole … Gli altri aspetti “spiccioli” della cosiddetta “globalizzazione”  li banalizzo con il “ormai si mangia a Siracusa come a Bolzano” perché “Mulino Bianco” ci sviolina alla stessa TV … le stesse pessime merendine e i sughi pronti. Che tale fenomeno sia un “male” su tutti i campi è un giudizio che mi sembra un po’ sommario, è un fenomeno di costume e di mercato che vuole manipolare la tua mente e la tua persona in nome del “dio denaro”. Il “saggio” sa superare la moda e sa discernere “l’utile nuovo” dall’utile di mercato, come la vera Scienza è quella che è cristallizzata e passata  attraverso difficoltà storiche peggiori come rivoluzioni, persecuzioni e guerre. La “globalizzazione” è stata qui intesa  come affermazione di sistemi di interdipendenza trans-nazionali in tutti i campi.  Un attento lettore a questo punto si chiederà il perché del mio riferimento al DNA. Il motivo è assai semplice: l’uomo è un animale sociale, che deve la sua sopravvivenza a un modello evolutivo vincente (cioè l’avere organizzato la propria esistenza su di un modello sociale) e, da “uomo di Scienza” leggo questa definizione in termini positivi se la società umana si estende sempre di più, perché al di là di qualche sporadico caso di egocentrismo, le scoperte scientifiche hanno fortunosamente subìto la globalizzazione, o si vuol negare, per esempio, che il vaccino di Salk ha debellato quasi ovunque la poliomielite in pochi decenni, e le zone dove purtroppo la malattia è ancora presente sono quelle in cui predomina l’instabilità geopolitica e la conseguente miseria? Non sempre generalizzare, pardon, globalizzare i concetti è produttivo.

 

3 pensieri su “Globalizzazione: nel DNA dell’Umanità?

  1. Complimenti per l’articolo, molto dettagliato specie sul profilo storico.
    La globalizzazione intesa come mezzo universale di comunicazione scientifica è ovviamente un bene. Purtroppo, tra l’inglese scientifico, semplie e “latinizzato” e quello parlato, basato sulle espressioni idiomatiche che in altre lingue esistono come eccezioni c’è una notevole differenza di difficoltà.
    Tutti studiano inglese ma pochi lo parlano se non vanno all’estero, o guardano centinaia di ore di film in lingua inglese. Quindi da dove si evince che sia facile?
    L’esperanto mi pare una buona soluzione, si impara in poco tempo e lascia il tempo di studiare le altre materie. Studiare per decenni l’inglese è guidare col freno a mano azionato per chi non è portato per le lingue ma è portato per la matematica, la fisica…
    Ovviamente per risolvere il problema ci vorrebbero anni e sforzi collettivi di varie nazioni, e ne gioverebbero le generazioni successive alla nostra, ma a mio parere, tentare è la soluzione più giusta.
    Basterebbe un anno alle scuole medie o due alle elementari, e poi si studia un’altra lingua straniera, o la matematica, o si migliora l’italiano, in continuo degrado rispetto all’inglese.
    Io l’esperanto l’ho imparato da adulto, sul sito http://www.kurso.com.br/

    Saluti

  2. L’articolo e’ interessante e fornisce molti dati sull’andamento delle riviste scientifiche.

    Manca solo qualcosa sul perche’ di questo andamento. L’autore in effetti dice: “Il perché del fallimento “globale” di questa lingua esce dal mio campo di competenze, ma la semplice “lettura” del fenomeno mi porta all’osservazione che una lingua “naturale” (la lingua Inglese) ha avuto una supremazia di fatto, in ogni campo del Sapere su una lingua “artificiale”.

    In effetti e’ facile capire perche’. La potenza politica, militare, economica degli Stati Uniti dopo la seconda guerra mandiale ci ha portato a questo. Gli uomini seguono sempre il vincitore. Forse sarebbe il caso di abbandonare questo tipo di “decisioni”, che ci porteranno fra cent’anni a ciederci perche’ tutte le riviste scientifiche siano in cinese ed abbracciare quella soluzione semplice ed egalitaria, che e’ l’esperanto, che non e’ fallito del tutto perche’ i suoi milioni di parlanti (da 2 a 8 a seconda delle stime) si trovano in tutto il mondo e continuano a crescere. Provare a digitare la parola “esperanto” in rete per credere.

    Cordialmente

    Renato Corsetti

  3. Gentile Signor Corsetti,
    temo che non si possa condividere la sua visione di una comunità scientifica internazionale costretta ad imparare il Cinese. Mi sembrava infatti superfluo segnalare che tutte le Riviste di Fisica Cinesi appaiono scritte in Lingua Inglese come persino la “Revista Brasileira de Ensino de Fisica” pubblica sia in Portoghrse che in Inglese (con Abstract in Portoghese). Che tra i 2 e gli 8 milioni di persone conoscano l’Esperanto è un dato insignificante di fronte a una Comunità Scientifica (di molti milioni di persone) che si è adattata ad una fenomenologia la cui spiegazione in termini sociologici mi sembra tutt’altro che banale. La vittoria americana della seconda guerrra mondiale non mi sembra l’unica causa. Le Riviste americane offrivano infatti l’edizione in Inglese delle Riviste Russe tradotte in Inglese (e dove si aggiungeva l’anomalia di un alfabeto non latino). Occorrerebbe ancora significare un fatto antiglobalizzante: la lingua scientifica del periodo di Galileo era il Latino che imperava nella comunità scientifica e in quella ecclesiale. Il Latino cessa di essere lingua Universale della Scienza a favore delle Lingue nazionali (sarà colpa del processo a Galileo?). Unica eccezione l’isolata pubblicazione di H. C. Oersted che rese l’800 il secolo delle grandi scoperte nell’elettromagnetismo. Oersted pubblicò il suo risultato in Latino e in proprio (tanto era conscio della “pietra miliare” nella Scienza?). La mia formazione mentale non mi consente “interpretazioni”, ma il tema sollevato è sociologicamente rilevante.
    Grazie per l’attenzione e cordiali saluti
    Salvatore Ganci

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