Legge Zecchino-Berlinguer riposa in pace

Michele Ingenito

Allorché all’alba del 2000 entrò in vigore la nuova legge sull’Università voluta dall’asse Zecchino-Berlinguer, e da pochi giorni morta e sepolta finalmente, si scatenò nelle aree culturalmente depresse del Paese la corsa al varo di eserciti di laureati “brevi”. Senza neppure capire, o fingendo strumentalmente di non capire l’obiettivo in sé lungimirante dello spirito di quella legge. E ciò, per i furbi, in nome del Dio-denaro mirato all’accaparramento diretto ed indiretto delle risorse nelle aree culturalmente depresse del Paese. In quelle, cioè, rette da classi accademiche rozze, scientificamente incolte, ma tutto tranne che sprovvedute. Perché abilissime nell’intuire le potenzialità economiche ed affaristiche di quella legge ove utilitaristicamente intepretata ed applicata. Scatenando, così, la corsa alla laurea facile. Questo perché? Perché la “virtù”di quella nuova legge al fine dei finanziamenti si basava sul maggior numero di laureati varati. Nello spirito, era giusta non intendendo sacrificare la qualità in nome della quantità. Ma, invece, accadde esattamente il contrario. Negli atenei dei furbi, infatti, prevalse l’ambiguità del principio. E a nulla valsero le proteste o la coerenza di coloro i quali non si piegarono ai “consigli” (in realtà ai “diktat”) di “facilitare” il percorso culturale e formativo dei propri studenti. Perché, come accadde in numerosi atenei e facoltà pilotate da autentiche lobbies di affari ed affaristi, specie quelle legate alla libera professione sul territorio di competenza, un esame serio, non superabile se non nel rispetto delle norme, costituiva un potenziale sbarramento al deflusso dei laureati “brevi” a tutti i costi. E, quindi, un ostacolo non indifferente al numero dei nuovi iscritti in base allo stolto principio di più laureati, più iscritti; e, conseguentemente, più soldi in cassa, quelli diretti, ossia tasse universitarie, e indiretti, ossia finanziamenti ministeriali in virtù del citato principio. Senonché, dopo dieci anni di questa politica nefanda e fallimentare affidata a chi avrebbero, forse, retto meglio una zappa di campagna invece che porsi al servizio di politicanti del territorio adusi al “piacere” a tutti i costi, è calata in questi giorni la mannaia-Gelmini. Risultato? Le università più virtuose (e, quindi, premiate a suon di milioni di finanziamenti) sono state quelle di Trento, Milano e Torino, dove il principio della laurea breve è stato a suo tempo interpretato nella maniera giusta. Nel senso, cioè, di varare, certo, un maggior numero di laureati e di futuri accademici degni di tal nome; qualificandone, però, il percorso formativo e, soprattutto, valorizzando le proprie risorse interne. Possibile, ad esempio, e giriamo la domanda direttamente al Rettore dell’Università di Salerno Raimondo Pasquino, che stupido non è, che, ancora oggi, in qualche facoltà del suo ateneo che pretende di campare di rendita in virtù di un prestigio indubbiamente antico eppur svanito, risorse interne che hanno concorso a suo tempo a costruire quel prestigio, continuino ad essere inutilizzate sotto gli occhi complici di tutti? Che settori disciplinari e professori di ruolo di fondamentale importanza per la formazione culturale e professionale degli studenti se ne stiano sostanzialmente a spasso? Che insegnamenti frequentatissimi ed importantissimi negli anni della gloria di quelle facoltà siano lasciati improvvisamente ammuffire? Che, paradossalmente, le attività didattiche di specifica competenza di quegli insegnamenti continuino da anni ad essere delegati, invece, per giunta a pagamento, ad altre strutture interne all’ateneo, di supporto ma non sostitutive rispetto alle risorse interne delle facoltà interessate? Che, paradosso nel paradosso, quelle stesse strutture di supporto pagate per un servizio ingiustificato in virtù di quanto deliberato da facoltà scellerate a corto di ratio ed equilibrio, sembra si avvalgano a loro volta, sempre a pagamento sembra, di elementi esterni all’università (laureati molti dei quali a spasso) al costo di 60 euro all’ora, per centinaia di ore per persona, per incarichi rinnovabili fino a tre anni? I maligni sussurrano si tratti di un nuovo mercato delle clientele. Mentre, le risorse interne di quelle facoltà inutilizzate, ‘accumulano’, in circa dieci anni, meno di trenta esami in tutto! Tre esami all’anno di media per altrettanti studenti, sempre di media. Magnifico esempio di incorrotta gestione delle risorse pubbliche!!! Che ne dice lei, ministro Brunetta? Detto in breve, Rettore Pasquino (e Ministro Gelmini), qui o siamo alle comiche di Charlot, o ci troviamo dinanzi a personaggi incapaci di gestire la cosa pubblica. Dando per scontato che lo facciano in buona fede, naturalmente. Perché, dall’esempio da noi citato, se ne deduce che l’istituzione pubblica, in presenza di un proprio corpo docente interno qualificato, e quindi profumatamente pagato dal pubblico erario ( la notizia valga anche per il Signor Procuratore della più vicina Corte dei Conti interessata, che ci dovrebbe essere quella di Napoli), sembra fregarsene, e spudoratamente, delle norme correnti, dicasi legge; perché, a sua insindacabile scelta, dicasi rozza faccia del potere, preferirebbe pagare non meno profumatamente laureati esterni che certamente non vantano, con tutto il rispetto per le singole individualità interessate, percorsi scientifici, formativi e didattici di strettissima competenza accademica. Se, poi, si guarda ai risultati di quei percorsi formativi incomprensibilmente sottratti alle specifiche competenze delle risorse interne di quelle facoltà, si resta interdetti. Carte alla mano. In base a verifiche di ufficio, cioè! Che restano atti pubblici, regolarmente segnalati a chi di competenza. E,come tutti quelli segnalati, sono destinati ad accumulare polvere. Ecco, da questo quadro deprimente che estende certamente altrove sul territorio, le esperienze citate e degne di università da quarto mondo, nasce la nuova legge-Gelmini. In nome di una “virtù” indeformabile che, salvo eccezioni, non apparterrà mai, purtroppo, a certa giovanissima classe accademica italiana di vertice di nepotistica origine, nata velocemente nell’ultimo decennio, e destinata a compromettere per diverse generazioni, ormai, l’iter formativo di migliaia di studenti. Ben venga, allora, una graduatoria nazionale delle migliori università italiane, con l’eliminazione, si auspica a breve, anche del valore legale del titolo di studio. Così ognuno sarò libero di frequentare la sconosciuta università americana, dove insegna il figlio del barbiere appena giunto dall’Italia in cerca di fortuna (il riferimento è autentico), oppure quella di Harvard, la prima nel mondo, dove il nipote di quel medesimo barbiere – adeguatamente formatosi nel frattempo – avrà avuto la fortuna di accedere. Ma dopo una severissima selezione, ovviamente insensibile al nepotistico, paterno intervento.

 

Un pensiero su “Legge Zecchino-Berlinguer riposa in pace

  1. Riguardo alla zappa in campagna, dubito che riuscireberro ad utilizzare anche quella, visto che quel tipo di attività rurale richiede certe competenze pratiche.

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