Spiritualità: il Curato d’Ars, modello di santità sacerdotale

 

 don Marcello Stanzione

Siamo da poco entrati nell’anno sacerdotale indetto da papa Benedetto XVI durante il quale san Giovanni Maria Vianney conosciuto anche come il santo curato d’Ars, sarà proclamato patrono di tutti i sacerdoti del mondo. Già vivente, il Curato d’Ars (1786-1859) fu considerato come un santo. Il popolo di Dio avvertì tutto questo molto presto. Quello che impressionava i suoi contemporanei, non erano prima di tutto le sue penitenze, od anche i fatti straordinari che si trasmettevano oralmente di fattoria in fattoria, spesso narrati dai poveri che egli in segreto beneficiava. Fu forse la sua fedeltà, nel senso di amore dato e non ripreso. Fedeltà a Dio che traspirava da tutto il suo essere, fedeltà anche agli uomini di cui ciascuno si riconosceva esserne il beneficiario. Ossessionato dalla salvezza, egli non aveva smesso di pungolarli a che ognuno potesse incontrare il Signore in verità e viverne nella sua grazia. Lo fece come sacerdote, e più precisamente come curato.. Fin dall’aprile 1905 egli è “patrono di tutti i sacerdoti della Francia”, fin dall’aprile 1929 “patrono di tutti i parroci dell’universo”. L’irradiamento di questo curato di campagna umile e povero è impressionante: un’intera enciclica scritta su di lui (Sacerdotii nostri primitias, del 31 luglio 1959), tutti i papi l’hanno preso come esempio, Giovanni Paolo II l’ha dato come modello ai sacerdoti, Benedetto XVI ha dedicato al suo esempio l’anno sacerdotale appena iniziato (18 giugno 2009), migliaia di sacerdoti e centinaia di migliaia di fedeli vengono ogni anno ad Ars. E’ dunque legittimo porsi la domanda: che cosa caratterizza questa figura di santità sacerdotale? Quali ne sono le grandi intuizioni, il cuore? E’ quello che cercheremo di fare distinguendo prima di tutto tre grandi aspetti (la sua spiritualità personale, la sua opera di pastore, l’influenza del suo vicinato) poi cercando in seguito di scoprire quello che li unifica.Occorre dunque chinarsi su alcuni aspetti della sua spiritualità. Non si sottolineeranno qui che i punti che sembrano più salienti ed alla base della sua vita pastorale e sacerdotale.La grazia del curato d’Ars fu senza dubbio di essere un povero. Non già nel senso di colui che non ha nulla, ma in quello – biblico – di colui che aspetta tutto da Dio. Egli annoterà un giorno: “L’uomo è un povero che ha bisogno di chiedere tutto a Dio”. Giovanni Maria Vianney fu veramente un povero. La povertà, non già la miseria . Una povertà ricevuta, scelta, talvolta subita, ma sempre assunta, offerta e finalmente trasfigurata. Questa povertà ricopriva presso di lui differenti aspetti: era già materiale, e tutta la vita del santo Curato lo testimonia; era anche umana col suo carattere, le sue angosce…; certamente intellettuale e culturale; forse psicologica; anche spirituale per il rigore della sua formazione o l’influenza della sua epoca. Ma egli ha saputo offrire tutto ciò al Signore e farlo fruttare.Per lui la povertà è avere una totale fiducia in Colui che tutto può, come un bambino. E’ una via di abbandono, non una via di fede cieca, ma amante; tutto ciò il Curato d’Ars lo mise in pratica. Vi sono alcune cose  profondamente mariane in questa sua fiducia assoluta, in questo “sì” ridetto tutti i giorni; qualcosa che lo accosta a Maria, il suo “più antico affetto”. La povertà gli permetterà di essere ricettivo al dono di Dio, aperto alla sua volontà, alle sue grazie, aspettando tutto da Dio, riempiendosi di Lui. sarà così quello che Dio vuole, pienamente configurato a Cristo. Accoglieva i doni di Dio, ne viveva, ne testimoniava e li trasmetteva. Se la povertà fu il suo segreto, in quello spoglio totale, la sua ricchezza fu Dio stesso.L’umiltà sembra allora essere una delle sue più belle virtù. L’umiltà di colui che non si crede nulla davanti a Dio, che riconosce le sue debolezze, la sua “miseria” ed il suo peccato, ben cosciente della sua incapacità di crescere da se stesso. Mons. Ancel, vescovo ausiliario di Lione e già superiore del Prado, annota: “Pare che il Signore si sia occupato in modo del tutto speciale di formare il Curato d’Ars all’umiltà, non solamente con le umiliazioni esteriori che piovevano su di lui, ma soprattutto con la luce che lo illuminava sulla sua miseria”. Questa umiltà gli darà una specie di indifferenza in rapporto alle lettere che gli sono indirizzate (lodi o biasimi) ed affermerà la purezza del suo cuore. “Beati i puri di cuore ché vedranno Dio”; Don Vianney illustra a meraviglia questa beatitudine tanto sembra grande il suo distacco dalle creature. “Essere di Dio, essere di Dio, tutto senza condivisione, corpo di Dio, anima di Dio! Un corpo casto, un’anima pura! Non vi è nulla di sì bello”.Il Curato d’Ars ha una percezione fortissima dell’amore di Dio, “la sua spiritualità pastorale è dominata dall’amore”. ed a partire dalla grandezza di quest’amore di Dio per noi di cui resta un testimone meravigliato, egli si orienta ed orienta gli altri verso il Signore. “L’uomo è creato per amore e non può vivere senza amore; o ama Dio, o si ama ed ama il mondo…” egli annota. Da questo slancio che sembra “aspirarlo” sempre di più, nasce un’attrazione per il Cielo, percepita come la vita con Dio, la patria dei santi che si può già gustare quaggiù. La prima frase leggendaria che si conosce del giovane curato d’Ars è al pastorello che egli incrocia a cui chiede la strada per Ars: “Io ti mostrerò la via del Cielo”; ossia, io tuo pastore, farò di te un santo, farò crescere la tua intimità con Dio purché, nella verità, tu ti lasci abitare dalla grazia, dono di misericordia e di santificazione. Il Cielo affascinerà il Curato d’Ars, egli ne sarà straordinario testimone, come se l’avesse visitato, diranno i suoi contemporanei… Questo desiderio lo abita profondamente e sgorga sulle sue azioni, la sua pastorale, la conduzione della sua chiesa. Vedere Dio, essere con lui per l’eternità in compagnia dei santi, gustare la sua carità… che bella vocazione quella dell’uomo, egli ne è meravigliato!Dalla sua povertà e da questo desiderio del Cielo sgorgherà una reale intimità con Dio. Dalla grazia accolta come dono può allora svilupparsi e crescere presso di lui una vera amicizia con Dio: “La preghiera è dolce amicizia con Dio, una familiarità stupefacente…” egli annota. La sua grande gioia, la sua grande consolazione è l’unione a Dio nell’amore. “In quest’intima unione, Dio e l’anima sono come due pezzi di ceri fusi insieme”. Amicizia che sottende una reciprocità, egli vi si immergerà con delizia, attingendo là tutta la sua forza, la sua gioia e la sua speranza. La sua preghiera verrà ad abbeverarlo e guarire la sua “disperazione” come egli diceva, che lo tenterà fino alla fine: “La mia tentazione è la disperazione”.La sua unione a Dio è nutrita dall’Eucaristia celebrata ed adorata, è veramente là che Dio viene a colmarlo.  Come un bambino, egli ha saputo lasciare tutto e fare quel passo spirituale fondamentale per lui e per il suo ministero, quello di abbandonarsi in Dio e di lasciarsi amare. L’Eucaristia può allora colmarlo, poiché non è più ingombrato da niente. Egli vive dell’Eucaristia, essa diventa suo cibo e vertice della sua giornata, è la chiave del suo ministero e sorgente della sua carità pastorale. Se è tutto dato, è prima di tutto ai piedi della Croce in ogni consacrazione, ed egli si offre allora, così come la sua parrocchia e tutto il mondo. Aperto alla grazia, abitato dallo Spirito, egli si è lasciato condurre umilmente; diventa così servitore dell’Eucaristia. Affascinato dall’amore
di Dio per noi di cui era per grazia il testimone ed il servitore, egli poteva così ripetere incessantemente davanti al corpo del suo Dio: “Io vi amo, Dio mio, ed il mio solo desiderio è di amarvi fino all’ultimo sospiro della mia vita…”.Il Curato d’Ars ha ben cosciente le sue debolezze ed il suo peccato, la forza che manifesta è allora tanto più straordinaria. I suoi confratelli, gli avvenimenti ed i parrocchiani stessi non gli risparmieranno né le prove né le calunnie. Lui che un giorno aveva detto: “Se avessi saputo tutto quello che avrei dovuto soffrire giungendo in questa parrocchia, credo che sarei morto di rimpianto…”, eppure annoterà: “Io acconsento a soffrire tutto quello che vorrete, tutto il tempo della mia vita purché si convertano”. Denunce, gelosie, critiche lo metteranno talvolta sull’orlo del dubbio, ma non gli toglieranno né la sua dolcezza né il suo coraggio. Egli raddoppierà di carità e noterà: “Io raddoppiavo di gentilezza e di provenienza verso di loro e feci delle elemosine più abbondanti a quelli che avevo l’abitudine di soccorrere”. Il “grappino”, come egli chiamava il demonio, s’incaricherà anche dolorosamente di ricordarglieli. Se il Signore ha permesso gli attacchi quotidiani e sovente spettacolari del demonio durante più di 30 anni, è perché non cadi nell’orgoglio, forse anche per far crescere la sua forza nell’avversità. Quella forza che i suoi contemporanei noteranno, sgorga dalla sua fede e dal suo abbandono fidente. Egli scherzerà anche delle astuzie del demonio “col grappino si è quasi compagni talmente ci si conosce”.Egli risponderà agli attacchi di ogni tipo con la fede e nella speranza, e con lo sviluppo delle sue virtù, del tutto specialmente la pazienza e la padronanza di sé. Ritornando al suo avversario il merito della sua offerta, egli ne sarà  anche doppiamente vincitore se ne uscirà ammaccato e toccato. Ma le prove spirituali non gli faranno perdere la pace. I suoi desideri di fuga, la tentazione della disperazione l’ancoreranno dolorosamente ma fermamente in uno spoglio fiducioso; “”taluni giorni rientro con disgusto nella mia chiesa” confiderà anche. Fu profondamente un uomo di fede ed un araldo della speranza, e ciò nutrirà la sua umile fedeltà. Risponderà infine a questi attacchi con le sue penitenze, che faranno scorrere tanto inchiostro poiché mal comprese od oggetto di scherno dei suoi confratelli. Con le sue mortificazioni, egli vuol essere anche pastore della misericordia. E’ ai piedi della Croce e come sacerdote, egli ha percepito che deve entrare in quel dono totale, quell’identificazione a Cristo cui si dona completamente. Le sue penitenze, malgrado gli eccessi della sua giovinezza che riconosceva ben volentieri, non ebbero mai un lato morbido od ostentativo. Rari sono quelli che li conoscono. Tutto è dato, offerto e prende senso unito alla passione di Cristo. Si percepisce ciò che si potrebbe chiamare una “sostituzione”: io soffro per voi e con voi, di ciò che voi non volete soffrire: “Ah, mio Dio, egli prega, fatemi la grazia di soffrire amandovi, di amarvi soffrendo!”.La sua spiritualità personale non ha dunque senso che in rapporto a Dio solo. Percepito come infinitamente amante, all’origine della nostra vocazione straordinaria alla vita divina, presente in mezzo a noi. E’ il solo orizzonte della vita cristiana. Il “Buon Dio” come egli diceva, è Tutto, al di fuori di Lui non vi è niente; tutta la sua spiritualità è là. Egli ne percepisce la presenza nel Santissimo Sacramento con un realismo ed una forza poco abitudinarie, ma nella logica dell’incarnazione; sarà questa la sua grande consolazione.