L’aggressività: nasce con noi o la apprendiamo?

 

*Giovanna Rezzoagli

Anche in questa ultima domenica si sono verificati incresciosi episodi a sfondo razzista durante lo svolgimento di una partita di calcio. Poche ore fa il Presidente iraniano ha espresso a Ginevra argomentazioni lesive della dignità del Popolo d’Israele, la nave Pinar con 140 disperati a bordo lasciata per giorni senza soccorsi; sono solo tre fra i tanti esempi di rifiuto e spregio del “Diverso”. Questi episodi salgono alla ribalta delle cronache, ma quante volte capita a ciascuno di noi di cogliere al bar, in autobus, nei discorsi di tutti i giorni al lavoro, o, comunque, nei contesti più variegati, quella vena più o meno sottile di diffidenza o,peggio, di disprezzo,di odio? L’aggressività si manifesta in molti modi: col linguaggio, coi gesti, ma anche col paraverbale che, spesso si esprime a livello inconscio. Il termine deriva dal latino aggredior, che significa cammino in avanti, ed è riferito ,nella sua accezione più generale , a tutti i comportamenti ( posti in essere o mantenuti a livello di fantasia) volti all’etero o all’autodistruzione. Konrad Lorenz, psicologo e zoologo austriaco, considerato il fondatore dell’etologia come disciplina scientifica, ha sviluppato la “Teoria degli istinti” che valuta l’aggressività come il risultato di un impulso naturale, incanalato ed istituzionalizzato in maniera più o meno efficace dalla società in cui l’individuo è inserito. Albert Bandura, psicologo canadese, ha elaborato la “Teoria sociale cognitiva”, basata sulla concezione dell’individuo come agente attivo in grado, attraverso i processi cognitivi, di pianificare e responsabilizzarsi in merito alla propria condotta. Due tesi apparentemente opposte e discordanti. Gli studi più recenti sull’apprendimento hanno dimostrato che l’imitazione gioca un ruolo determinante nello sviluppo cognitivo e nel processo di autorealizzazione. Le manifestazioni di violenza sono prese a modello, soprattutto se i soggetti aggressivi ricevono una “ricompensa”, che ai nostri tempi può essere rappresentata , ad esempio, dall’apparire in televisione. Ma anche le immagini di violenza che ci vengono proposte quotidianamente hanno una grande influenza sullo sviluppo di comportamenti aggressivi, specialmente nei bambini ed in soggetti frustrati nel quotidiano. Philip Zimbardo, psicologo statunitense, ha definito il concetto di deindividuazione, ovvero una riduzione del  senso di individualità e di responsabilità personale provata da colui che, in un contesto di gruppo o di folla, si concede azioni che nel contesto quotidiano non porrebbe in essere. Sono concetti apparentemente distanti dalla vita di tutti i giorni, ma , in realtà permeano profondamente la quotidianità di ciascuno. Anche se pochi di noi avrebbero il coraggio di ammetterlo. Il tifoso che allo stadio intona un coro razzista, preso singolarmente, difficilmente ripeterebbe il suo gesto. E’ molto facile rifiutare lo straniero e proiettare su di lui le nostre frustrazioni, le nostre paure e, non  ultima, la nostra ignoranza, perché risulta assai più complesso il confronto e la riflessione che esso comporta.

 *Counselor tirocinante, Scuola di Counseling “Direzione Socratica”