I Neri siamo noi

Michele Ingenito

 

Un giovane studente salernitano di origine etiope è stato malmenato a Napoli da un paio di coetanei, o giù di lì, che definire balordi è quasi un complimento. L’episodio, purtroppo, è sintomo di un malessere crescente che ci riporta indietro di anni, anzi di decenni, cinque o sei almeno, quando la verde e marcia età di ieri si identificava nella gioventù bruciata di James Dean di fine anni ’50 o in quella intollerante e deviata del decennio successivo. Sul piano storico le analogie tra i due mondi giovanili di ieri e di oggi sono impressionanti sotto il profilo della devianza. In entrambe le epoche, infatti, la facevano e la fanno da padrone l’alcolismo, l’uso e l’abuso delle droghe pesanti e distruttive quali la cocaina e l’eroina, la microcriminalità, il vandalismo, il deragliamento dei treni per i lanci di sassi contro i loro macchinisti sessanta anni fa e contro le vetture sulle autostrade nei giorni nostri, i rally notturni di giovanissimi ubriachi amanti della corsa con sfascio di persone e cose, infine il razzismo. Razzismo di un tempo contro i vecchi coloni di colore non più spremibili da parte dell’Inghilterra bianca e giustamente spinti verso la madrepatria dopo secoli di sfruttamento per un futuro migliore (pakistani, indiani, africani vari, indiani occidentali e così via); razzismo di oggi contro chi dell’Italia ha tutto tranne il colore non prevalente della pelle. Quasi sia un’attenuante per menare botte e scudisciate sul viso dei nostri stessi connazionali come è accaduto nei confronti dello studente italo-etiope di Capaccio. In entrambi i casi, nell’Inghilterra degli anni ’60 come nell’Italia di oggi, fu e resta il pregiudizio, e le conseguenti discriminazioni, a prevalere nei confronti dei ‘diversi’ dalla pelle nera; una forma maniacale ispirata da becero individualismo e immotivato auto-protezionismo di un gruppo crescente di cretini che si rasano il capo non avendo più nulla di cui liberarsi. Senza rendersi conto, o forse proprio a quello mirando, di rievocare tragici spettri di un vicino passato chiamati tristemente nazismo, persecuzione segregazione, forni crematori, Shoah. In UK il problema fu risolto nel tempo con vari ingredienti: adeguati provvedimenti legislativi di integrazione, un po’ di satira mirata che ridicolizzò il gran capo conservatore e razzista Enoch Powell distrutto nell’immagine dai devastante cartoon di Gerald Scarfe, un po’, anzi molta di quella musica reggae, ska e ragamuffin, veri e propri incroci tra melodia, spiritualità e protesta di origine giamaicana, ma di tipo afroamericana, di cui Bob Marley fu il magistrale e seguitissimo interprete. In entrambi i casi, ieri in UK, oggi in Italia, pressoché identiche, quindi, le motivazioni umane e sociali di questi gruppi di facinorosi, di quella ‘solitudine’ delle coscienze trafitte dal decadimento dei costumi che corrode e uccide, di una apatia che induce all’ozio, di una sofferenza che quasi sempre trova nella famiglia non più compatta la ragione della rinuncia al proprio ‘io’, a quella voglia di essere e fare connaturata all’uomo e, peraltro, sacrificata in nome di una visione certamente non ottimistica dell’esistenza. Se a tutto questo e all’intolleranza etnica che ne consegue aggiungiamo la diseducazione popolare annebbiata dal tam tam mediatico che pure ha le sue ragioni, il tutto sconfina nella frenesia del fai-da-te, in quella maniera tutta soggettiva di dare la risposta apparentemente giusta all’inconscio turbato di chi ritiene debba fare e farsi giustizia da sé. Giustizia dello straniero che piomba tra le nostre case, le nostre strade, le nostre città. Dello storico ‘morto di fame’ che, come i nostri progenitori e forse genitori di una o due generazioni fa, mette a rischio la propria pelle per un tozzo di pane, ‘cavalcando’ anche a piedi i deserti infuocati di una patria ingenerosa e sfidando mari e pesci non sempre concilianti, pur di giungere alla meta. Purtroppo, non sempre il contributo di costoro è di partecipazione e condivisione dei valori della nuova civiltà. Spesso, sempre più spesso, prevalgono turbamenti, frustrazioni, disperazione, rabbia, miseria, rinuncia di assuefazione ad un mondo non più tanto ospitale, dando, così, voce all’istinto, alla brutalità, alla bestialità. Vittime designate, purtroppo, le donne soprattutto, senza distinzione di età. Per uno stupro che sancisce la vittoria dell’arrabbiato e nulla più, contro il quale appare d’obbligo la giustizia-fai-da te. Da qui il fenomeno crescente di una autodifesa ispirata dal razzismo, dalla vendetta, dalla vigliaccata fine a se stessa contro la diversità della pelle o della nazionalità. La punizione per chi lacera con tanta brutalità le proprie vittime deve necessariamente essere esemplare. Ma transitando dalla porta giusta, che è quella dei tribunali e della pena certa. Le ronde giustizialiste o i balordi nullafacenti di borgata farebbero meglio a curarsi, per una rieducazione dell’animo e della mente innanzitutto. E quando la reazione del ‘diverso’ dalla pelle nera è simile a quella del ragazzo italo-etiope salernitano, l’urto psicologico contro i bulli maldestri del napoletano che gli hanno malmenato il viso è dirompente e civile insieme. Senza odio e senza vendetta, ma solo desiderosa di una punizione giusta ed esemplare. E’ questa la novità storica che diversifica le generazioni di ieri da quelle di oggi. Per il resto tante affinità, tante analogie. A parte la diversità della condizione storica ed economica. Ieri, tra gli anni ’50 e gli anni ’60, fu il boom della lavatrice, della televisione, dell’auto, del mattone, della musica rock, dell’arte pop per un mondo che rinasceva dalle ceneri della guerra. Oggi, invece, di quei boom si vive malinconicamente il ricordo, affannata e oppressa come è la società del tempo da una economia incapace di soddisfare in pieno i bisogni primari. Vivendo per questo una condizione di sofferenza e di nervosismo sociale di cui vanno ahimé fieri le malattie nervose di origine depressiva, con conseguenti suicidi anche tra i giovani. Per un malessere ad ampio raggio, di cui la società consumistica di oggi porta, come ieri e in abbondanza, il peso e le  responsabilità.