Sistema elettorale e rappresentanza parlamentare

 

Michele Ingenito

 

Il nostro paese vive una stagione politica particolare, che freme, quasi, per un bisogno naturale di evoluzione viste le certezze e, insieme, le incongruenze alle quali bisognerà dare una risposta concreta e positiva. Il tutto finalizzato alla salvaguardia dei diritti della democrazia e, quindi, dei cittadini. All’origine di questa riflessione sono gli esiti di lunghe chiacchierate avute di recente con uomini politici di elevato spessore personale, umano e, perché no, di potere; di un potere vissuto ed interpretato nel rispetto della società e dei suoi bisogni primari, della costituzione e dei suoi valori fondamentali, di una visione forse difficile, ma certamente rispettosa di principî certi per nuove forme di riformismo, laicismo, religione. In uno dei colloqui più fruttuosi con alcuni di loro, quello avuto con l’attuale Capo del Dipartimento del Servizio Civile Nazionale On. Leo Borea già Vice-Presidente della Commissione Sanità e, poi, della Commissione Giustizia del Senato della Repubblica nella precedente legislatura, sono emersi spunti interessantissimi sull’attuale sistema elettorale, su ciò che dello stesso va salvaguardato e su ciò che, invece, non va. Il sistema bipolare favorisce, è vero, il ricambio nella vita politica del paese. Garantendo, così, l’alternanza! Ma, come sostiene l’uomo politico originario di Sapri, pregi indiscutibili a parte, “questo sistema non è privo di incongruenze. Incongruenze come effetti delle leggi elettorali vigenti in base alle quali vengono eletti direttamente il premier e i candidati con più voti, ma selezionati dall’alto.” Effettivamente Borea ha ragione se solo si considera che nella nostra Costituzione non è prevista l’elezione diretta del Primo Ministro. Bensì solo per via indiretta, come espressione, cioè, della maggioranza parlamentare. Ne consegue che allo stato, o si cambia la Costituzione, o la si continua a violare. “Altra eclatante discrasia” – insiste Borea – “è determinata dall’attuale sistema delle preferenze da lista, all’interno delle quali sono i capi dei partiti a scegliere e non gli elettori. Ne consegue una sorta di democrazia rovesciata, priva di preferenze, favorevole alle decisioni dei capi di partito liberi di dare a volte sfogo ai propri desideri personali più che alla voce diretta della base, cioè degli elettori. Sono e saranno sempre i leader di partito, di questo passo, a decidere le alleanze e a scegliere i candidati al Parlamento. Agli elettori non resta che turarsi andreottianamente il naso per una “croce” passiva sulla propria scheda elettorale.” Le posizioni critiche dell’ex-senatore salernitano non possono passare inosservate. Anche se, diciamolo con la dovuta franchezza, l’attuale situazione è stata determinata proprio dagli eccessi del passato. Quando, pur nel rispetto sacrosanto e ‘letterale’ della Costituzione, si sono moltiplicate le frange parlamentari a danno della compattezza dei governi. Con conseguenti ricatti di pochi che hanno paralizzato la vita parlamentare e, quindi, quella della nazione. Correttivi ce ne devono essere sicuramente. Bisogna evitare infatti di offrire al paese la prospettiva di una gestione verticistica del potere e della analoga scelta politica della classe dirigente. In questo senso le indicazioni del principale referente politico campano del leader dei Popolari Liberali Carlo Giovanardi non possono non trovare un giusto spazio nella prospettiva di una riforma non lontana. Anche perché, sempre più spesso, ci richiede se siamo o meno alle soglie della Terza Repubblica. E, soprattutto, cosa sia cambiato nel passaggio dalla prima alla seconda e, poi, a quella attuale o terza che dir si voglia. La Prima Repubblica ha a lungo sofferto per un debito pubblico elevatissimo e per una corruzione istituzionalizzata che investì, chi più chi meno, tutti i partiti dell’arco costituzionale, soprattutto nel periodo precedente il loro finanziamento pubblico. Fenomeno riprodottosi fino ad oggi atteso che, sottolinea Borea, “Oggi come oggi il debito pubblico continua a gravare sul bilancio dello stato e, quanto a corruzione politica, i fatti di Abruzzo e Campania fanno comprendere come la stessa si adegui al nuovo potere delle regioni.” Il senator salernitano dimostra di avere le idee assai chiare quando individua nel federalismo la nascita della Terza Repubblica. Anche se, aggiunge,  “il vero cambiamento dovrebbe attuarsi con il principio di responsabilità legato al territorio. Perché ogni entità territoriale diventerebbe, così, artefice del proprio futuro.” Condividiamo questo parere, anche se ci si potrebbe chiedere, a questo punto, come si concilia il bipartitismo o il bipolarismo con il federalismo. “Il bipartitismo” – ci replica serenamente Borea – “è ormai una realtà che nell’attuale sistema dell’alternanza potrebbe essere rapportato o esaltato con il recupero del sistema maggioritario. In ogni caso è necessario ripristinare i collegi elettorali, che consentono di esprimere parlamentari legati al territorio e che, quindi, conoscono meglio di chiunque altro le esigenze dello stesso, interpretandone al meglio le aspettative. In caso contrario, l’attuale sistema bipolare rischia concretamente di allontanare i parlamentari dalla gente e la gente dalla politica.”