Turismo e identità territoriale

Aurelio Di Matteo*

Gli ultimi dati, che l’Osservatorio Nazionale del Turismo ha portato all’attenzione degli operatori, indicano chiaramente che la domanda turistica si sta decisamente orientando verso la ricerca di “esperienze” piuttosto che verso i tradizionali prodotti. Ora non è più il pacchetto preconfezionato che attira e viene venduto ma è lo stesso “luogo” che diventa merce. Il concetto di località si trasforma in quello di merce e rappresenta il nuovo scenario economico e lo strumento della competitività del ”particolare” nel processo avanzato di globalizzazione. I piccoli centri urbani o rurali, i territori identificabili e identificati diventano essi stessi l’oggetto e il soggetto dello scambio economico, gli attrattori del sistema turistico, con tutto il carico culturale e produttivo collegato, con tutti i valori evidenziati e rivelati. Ma quale identità costruire per evidenziare la particolarità all’interno di un processo continuo e inarrestabile di omologazione che ormai sta caratterizzando tutte le trasformazioni nelle località tradizionalmente vocate al turismo? Da una parte, in conseguenza della globalizzazione, tutte le località diventano “concettualmente” sempre più simili; dall’altra le “resistenze” psicologicamente fondamentaliste e la nostalgica chiusura al cambiamento impediscono il passaggio ad un’economia dinamica e orientata allo sviluppo. Il problema progettuale che deve affrontare e risolvere la governance locale è quello di sciogliere questa contraddizione. Ezio Mancini,  qualche anno fa, ha usato l’efficace espressione di “localismo cosmopolita” per indicare la condizione dell’equilibrio tra la “conservazione” di un luogo e la sua “apertura” ai flussi di idee globalizzate, di persone, di cose e di denaro. Non è certamente un equilibrio facile a realizzarsi, perché esso tende a costruire un luogo nuovo caratterizzato da un significato di comunità e da un tessuto sociale e produttivo diversi in quanto connessi ai significati che il resto del mondo ha dato loro. È chiaro allora che lo sviluppo di un territorio comincia dalla definizione della sua identità, selezionando i tratti che contraddistinguono la sua unicità e lo rendono riconoscibile, valorizzando la sua diversità nei confronti di altri territori per evitare che anneghi nell’indifferenziata molteplicità di contesti similmente ricchi di sedimentazioni storiche, ambientali e culturali. Insomma “il progetto dell’identità passa da un’analisi critica dell’esistente, del proprio patrimonio di valori, materiali e immateriali, e da una reinterpretazione in una prospettiva di sviluppo sostenibile, ovvero di uso rigenerativo delle risorse, amplificandole attraverso la relazione tra livelli diversi, intrecciando il piano dell’economia e della produzione con quello del tessuto sociale e culturale” (M. Parente).Per prima cosa bisogna abbandonare l’errata concezione secondo la quale si considera l’identità di un luogo o di un territorio come qualcosa di stabile, di “dato” una volta per sempre oggettivamente e con un significato univoco e immutabile. Essa è invece una costruzione culturale e antropologica, è il frutto di una trasformazione operata dalle relazioni sociali intessute dai vari soggetti. A differenza di quanto si pensa comunemente, ogni identità territoriale, del piccolo o del grande spazio, è legata alla temporalità e alla mutevolezza delle proiezioni storicamente determinate. Come dire, più che dal passato l’identità di un territorio, sia esso una nazione o una regione o una provincia o un piccolo paese, è costituita dal futuro. Il passato, infatti, non è mai definito una volta per sempre, ma dalla memoria che di esso una comunità si rappresenta nel variare del contesto vissuto nel presente. Il passato è ciò che “ogni  presente” riscrive di sé e vuole che di sé si dica, s’immagini e si tramandi nel futuro. Per dirla con la semiologia Patrizia Violi, ogni forma di restauro, sia esso conservativo o innovativo, mette in gioco una dialettica complessa fra ricostruzione e distruzione dei segni del passato e implica un processo semiotico di rilettura e interpretazione, una pratica traduttiva tra la realtà com’era e come vogliamo che sia o appaia. In entrambi i casi, sia che si costruisca ex novo o che invece si conservi ciò che già esisteva, si definiscono anche le forme della propria identità collettiva, passata, presente e futura. E ciò è quanto mai vero per la definizione dell’identità nel marketing turistico, in cui ha senso non il passato astratto ma quello costruito per il “viaggiatore cliente”, quell’immagine che una comunità progetta, costruisce e descrive per attrarre il turista del presente e del futuro.  

*Società Italiana di Scienze del Turismo