Sacra Sindone, lenzuolo scritto col sangue!

Secondo la tradizione cattolica, il telo avvolse il corpo esanime di Gesù dopo essere stato deposto dalla croce. Numerose sono le indagini condotte sul “Sacro lino”. Molteplici i dibattiti e le ipotesi avanzate da medici, studiosi, storici e teologi. Gli interrogativi si ripropongono. Come si è formata quella immagine? A quale epoca risale la reliquia? Chi è l’uomo della Sindone?. I misteri restano.
Giuseppe Zingarelli
Un telo sigillato in una teca d’argento. Le sue dimensioni. Lunghezza 440 centimetri, larghezza circa 110. La Sindone di Torino. Il lenzuolo che secondo la tradizione cristiana ha fissato nei secoli la passione di Gesù. Essa assume sempre più la fisionomia di un “Quinto Vangelo”. Un Vangelo scritto con il sangue di un corpo flagellato e martoriato che rivela le stesse, uniche, circostanziate caratteristiche del Cristo, il quale al tempo della giurisdizione del Procuratore della Giudea, Ponzio Pilato e dell’Imperatore Tiberio, dopo aver subito un sommario “processo”, fu condannato alla morte di croce, poi completata con una singolare sepoltura, misteriosamente interrotta nonostante il sepolcro fosse stato sigillato e ben custodito. Il mistero della Sindone continua ad affascinare il mondo e gli studiosi di ogni epoca. La scienza in passato ha fatto oggetto il “Sacro lino” di numerose e meticolose indagini. Seguirono molteplici dibattiti e riflessioni, ma i dubbi, le incertezze e gli interrogativi sulla Sindone non sono stati ancora fugati dalla scienza. Il 28 maggio 1898, Secondo Pia, avvocato di professione e fotografo per passione, fotografò per la prima volta la Sindone. Sviluppando il negativo della lastra, Pia si accorse che l’immagina ottenuta mostrava una più chiara resa dell’immagine sindonica. La fotografia fu consegnata alla storia. Nel 1983 la Sindone passò ufficialmente dal patrimonio di Umberto II di Savoia alla Santa Sede. Della reliquia è proprietario il Pontefice. Il 9 aprile 1987 è una data importante per il “Sacro lino”. Papa Giovanni Paolo II, oggi Santo, autorizzò la ricerca scientifica e tecnologica sulla Sindone. Il 21 aprile 1987, alla presenza dell’allora Arcivescovo di Torino, il cardinale Anastasio Ballestrero, gli esperti, dopo circa sedici ore di lavoro, prelevarano dal “Sacro lenzuolo” tre frammenti di tessuto grandi quanto un francobollo, affinchè fossero analizzati, attraverso sofisticate tecnologie computerizzate, da laboratori specializzati siti in Svizzera, in Inghilterra e negli Stati Uniti. I risultati di quelle sofisticate indagini condotte con mezzi altamente tecnologici, costate circa due miliardi di lire, furono consegnati al professor Michael Tite, dirigente del British Museum di Londra, il quale fu anche ciordinatore della ricerca. Nel 1988, il professor Tite ufficializzò la notizia che la reliquia più conosciuta della Cristianità, venerata a Torino nella Cappella del Guarini, datata con il metodo del carbonio 14, un metodo ritenuto quasi infallibile dagli esperti, risaliva al periodo medioevale. Un periodo databile approssivativamente tra il XIII e il XIV secolo, precisamente tra il 1260 e il 1360. Un margine di approssimazione, come si nota, di circa un secolo. Ciò attestava che il Sudario di Gesù era un falso, in quanto saltato fuori in un periodo di gran lunga successivo alla esistenza terrena del “Maestro di Nazareth”. Al contempo la datazione medioevale della Sindone accreditava le tesi sostenute da un gruppo di studiosi agli inizi degli anni ’80. Costoro affermarono che l’immagine dell’uomo della Sindone era il risultato di un’ingegnosa e sofisticata tecnica pittorica scoperta da un geniale artista, si ipotizzò fosse Leonardo Da Vinci, che coniugando talento e straordinaria abilità, era riuscito a riprodurre superbamente sul telo l’immagine sindonica utilizzando pitture e smalti sintetici speciali, miscelandoli con una sorta di vernice ocra, necessaria a conferire un tocco di antichità alla eccezionale “composizione”. Un’altra ipotesi attirò le attenzioni della scienza. Si sostenne che all’interno del lenzuolo era stata avvolta una statua di bronzo, che nel tempo, a contatto con il calore, riuscì ad imprimere sul tessuto sindonico l’immagine che tutti conosciamo. Anche in quella circostanza, come nel caso dell’immagine dipinta sul telo, molti si chiesero chi, perchè ed a quale scopo, qualcuno avesse avuto interesse a buggerare per secoli i credenti. Nel corso degli anni ’70, un medico elvetico, Maximilian Frei, con certosina pazienza riuscì pionieristicamente ad individuare circa venticinque specie diverse di pollini, appartenenti ad altrettante tipologie di fiori e piante, depositatesi sul tessuto sindonico, ma non era riuscito a completare ed ufficializzare la sua ricerca a causa della sua scomparsa, avvenuta nel 1982. Il lavoro del dottor Frei fu ripreso da un medico statunitense, il dottor Alan Whanger, che nel 1985, grazie all’uso di sofisticate attrezzature diagnostiche e fotografiche, dopo aver approfondito gli studi del collega elvetico, riuscì ad individuare sulla reliquia i resti di altre ventotto piante, tra cui rose di roccia e crisantemi. Anche il dottor Whanger non ufficializzò la sua ricerca. Circa dodici anni dopo, nel dicembre 1997, il professor Avinoam Danin, docente di botanica all’Università di Tel Aviv, ufficializzò al quotidiano britannico, “Independent” la sua scoperta: sul lino della Sindone egli aveva riscontrato impercettibili tracce di pollini che potevano venire soltanto da Gerusalemme e dalle zone limitrofe alla “Città Santa”. Ciò, in sostanza, confermava indirettamente che gli studi del dottor Frei e del dottor Whanger erano fondati e “degni” di credibilità. Dunque, il professor Danin aveva riaperto l’annosa, spinosa ed irrisolta controversia sull’autenticità della reliquia conservata da secoli nel Duomo di Torino. Il professor Danin confermò che sul lino della Sindone si erano depositati i resti di vita vegetale, alcuni dei quali presenti solo a Gerusalemme e in Israele, risalenti al tempo della crocifissione di Gesù. La clamorosa notizia suscitò l’attenzione del mondo, spazzando via anche la tesi sostenuta nel frattempo da altri studiosi, secondo i quali il volto sindonico non di Gesù ma apparteneva a Jacques de Molay, l’ultimo Grande Maestro del misterioso “Ordine dei Cavalieri Templari”, condannato al rogo nel 1307 con l’accusa di eresia. Istituito nel 1118, l’Ordine dei Templari, infatti, si estinse definitivamente proprio con la morte di De Molay. Gli studiosi che sostennero la tesi di De Molay, in sostanza riaccreditarono la tesi che la Sindone apparteneva al periodo medioevale. Per la scienza, uno degli aspetti sempre aperti della questione afferente alla Sindone, è che se anche si provasse che la “Sacra reliquia” risultasse vecchia di venti secoli, occorrerebbe poi conseguire la prova che l’immagine dell’uomo della Sindone sia quella di Gesù. Altrettanto numerosi, però, sono anche i sostenitori dell’autenticità della Sindone, i quali non si sono mai dati per vinti. Essi hanno sempre affermato che i polsi dell’uomo della Sindone furono spezzati da grossi chiodi in uso presso i romani, grandi “specialisti” nella crocifissione e che sul telo è altresì evidente la ferita al costato di Gesù, squarciato dalla punta di una lamina tagliente, la lancia del soldato Longino. Inoltre, i sostenitori della autenticita della Sindone, più volte hanno rimarcato che l’incendio di Chambery, verificatosi nel 1532, anno in cui paraltro la Sindone irruppe per la prima volta nella storia, potrebbe aver mutato il dna del telo, alterando le caratteristiche “chimiche” del Sudario di Cristo. Ciò considerando anche che il corpo esanime del Cristo, dopo essere stato deposto dalla croce e prima di essere avvolto, nudo, nel “Sacro telo” da Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, era stato cosparso da una mistura di unguenti, prima della sepoltura. Ecco che una delle chiavi di lettura della Sindone che ci apre il mistero di questo straordinario “documento” è il sangue rimasto impresso sul lenzuolo della sepoltura. L’uomo della Sindone subì molteplici colpi di flagello, tutti visibilmente compatibili con le narrazioni evangeliche e oggettivamente riscontrabili sulla Sindone. Ciò rivela circostanze eccezionali a garanzia della sua autenticità.
I quattro Vangeli scritti da persone che vissero con il “Maestro di Nazareth”, Giovanni e Matteo, o da Discepoli contemporanei agli Apostoli, Luca e Marco, che ne accolsero la predicazione, narrano le vicende della vita e della missione terrena di Gesù. La sequenza cronologica degli eventi e dei fatti evangelici narrata dagli evangelisti Marco, Matteo, Luca e Giovanni, presenta sulla Sindone una evidente antinomia con i dati archeologici, secondo i quali la flagellazione, che di solito si effettuava sui cruciari a dorso nudo lungo la via dolorosa, talvolta anche sul luogo stesso della esecuzione, fu anticipata al Cristo. I Vangeli confermano questo dato storico.
Il Salvatore fu fatto flagellare da Pilato nel Pretorio. In quel luogo venne “battuto” con estrema violenza. La direzione dei colpi di flagello, marcata alle estremità delle strisce, appesantite da corpi contundenti, rivela che il flagellato non era cittadino di Roma, altrimenti i flagellatori avrebbeto usato le verghe, come avvenne per San Paolo di Tarso. Il numero delle frustate inferte all’uomo della Sindone, oltre 120, rivela che i suoi flagellatori erano romani e non potevano essere ebrei, in quanto se tali fossero stati non avrebbero oltrepassato un certo numero di frustate, circa 40 colpi. L’unica parte del corpo dell’uomo sindonico risparmiata dai flagelli, fu la zona antistante il pericardio. Ciò fa pensare, ed al contempo prova, alla precisa intenzione di salvargli la vita, in quanto colpendo quella zona il flagellato sarebbe rimasto di sicuro ucciso. Ripercorriamo il racconto degli evangelisti.
Dopo l’ultima cena con i suoi discepoli, Gesù continua ad ammaestrarli. Poi, venuta la notte, si ritirò con i “dodici” in preghiera lungo il ruscello Cedron, verso una masseria di nome Getsemani, nei pressi del Monte degli Ulivi. Qui, la sua natura divina parve cedere il passo a quella umana. Gesù inizia a percepire una infinita sofferenza interiore, una sorta di indescrivibile angoscia, una dolorosa solitudine, un forte timore, una profonda tristezza. Si apre nella sua anima una ferita profonda che inizia a “sanguinare”. La paura sembra prendere il sopravvento. È l’inizio del calvario che lo attende. Nel Getsemani Gesù cerca un pò di conforto dai suoi amici, cerca di scambiare qualche parola con loro, ma i “dodici”, invece, sembrano distanti dal suo dramma e dal dramma che attende anche loro. Gesù li invita più volte: “Pregate e vegliate con me”. Vedendo che i discepoli si addormentarono comprese che il tempo che gli restava ancora da vivere su questa terra era davvero esiguo. Alzò gli occhi al cielo e pregando disse: “Padre mio, la mia anima è triste fino alla morte. Se è possibile allontana da me questo amaro calice di sofferenza che ora mi attende, tuttavia sia fatto non come io ti chiedo ma come tu vuoi”. Il sudore che gli colava dalla fronte si trasformò in gocce di sangue. Dopo il bacio di Giuda, il “Maestro di Nazareth” fu catturato e condotto dai sommi sacerdoti, Anna e Caifa, per essere interrogato. Si cercava di cavillare sui suoi insegnamenti, cercando il pretesto per incolparlo, ma i sinedriti non ci riuscirono. Caifa era nervoso, spazientito, sentiva che la situazione gli stava sfuggendo di mano. Ad un tratto gli chiese: “Rabbi, si dice che tu hai affermato di esserti proclamato Figlio di Dio. Ora io ti chiedo. È vero questo? Tu, Gesù di Nazareth, sei il Figlio di Dio?”. La risposta di Gesù fu breve: “Si, io lo sono. E un giorno mi vedrete rivestito di gloria, seduto alla destra della Potenza del Dio vivente, venire con le nubi del cielo”. Lo sdegno del Sinedrio fu grande. Caifa stracciandosi le vesti disse che Gesù aveva bestemmiato e doveva essere messo a morte. Lo condussero da Pilato che lo interrogò, ma questi non trovando in lui nessuna colpa lo inviò da Erode che, a sua volta, non sapendo cosa farsene di Cristo se non un oggetto di scherno e derisione per non avergli fatto vedere alcun miracolo, lo rimandò di nuovo da Pilato. Mentre Pietro rinnegò tre volte il Cristo vergognandosi di se e Giuda, gettati i trenta denari nella cassetta del Tempio, si impiccò, Pilato aveva già le prove che il “Nazareno” non tramò mai contro nessuno, tantomeno contro I’Imperatore Tiberio e le leggi di Roma e dell’Impero Romano. Pilato ascoltò attentamente l’elenco delle accuse del Sinedrio nei confronti del Cristo. Poi rivolto a Gesù, il Procuratore sannita della Giudea gli chiese: “Dicono che tu sei re. Sei dunque re? E di quale regno?”. Pilato ascoltò stupefatto la risposta di Gesù: “Tu lo dici. Io sono Re, ma il mio regno non è di questo mondo. Io sono venuto in questo mondo per proclamare agli uomini la verità”. Pilato aveva compreso che Gesù era, secondo il suo giudizio, un innocente “sognatore”, un semplice “visionario” che non poteva in alcun modo rappresentare un pericolo per nessuno, ma temeva i sinedriti, i quali volevano servirsi di lui per indurlo a tutti i costi a condannare a morte il Cristo. Pilato, incuriosito, si rivolse a Gesù: “Dici di essere venuto a portare nel mondo la verità. Ora dimmi. Cos’ è la verità. Di quale verità parli?”. Gesù non gli rispose. Per non inimicarsi i sinedriti, il Governatore di Telese decise di far flagellare Gesù e di rimetterlo poi in libertà. La prova più convincente che la flagellazione dell’uomo della Sindone precedette l’andata al Calvario, risulta dagli esami eseguiti all’interno del tessuto del “Sacro telo”. Infatti, in mezzo alle due larghe contusioni presenti nella zona scapolare sinistra e nella zona soprascapolare del lenzuolo, le indagini tecniche strumentali, hanno scientificamente dimostrato la presenza delle nitide impronte dei flagelli. La autoproclamazione di Gesù come Re è la sola, unica verità storica che indusse Pilato a farlo flagellare, in quanto “vittima” delle pressioni dei sinedriti, ma Pilato in cuor suo non avrebbe mai ordinato di far flagellare il “Nazareno”. A Pilato non interessava nulla che il Cristo si fosse proclamato Re e Figlio di Dio. Ponzio Pilato e i romani avevano già il loro re. Era l’Imperatore Tiberio. Pilato tentò un’altra via di uscita nella speranza di scrollarsi di dosso le pressioni dei sinedriti, in quanto sua moglie, Claudia Valeria Procula, mentre egli sedeva in tribunale al cospetto di Gesù, gli aveva mandato a dire di tenersi distante dal “sangue” di quel giusto, in quanto era rimasta assai turbata in signo, la notte prima, per causa di quell’ innocente. Una vecchia consuetudine romana permetteva di far decidere al popolo se rimettere in libertà Gesù o un nemico di Roma, Barabba, accusato di furti e omicidi. Il clero ebraico convinse facilmente il popolo a desiderare il rilascio di Barabba e chiedere a Pilato di far crocifiggere il Cristo, poichè il Sinedrio, giuridicamente, non aveva “potere” di sentenziare in tal senso. Pilato, allora, fece flagellare Gesù nella segreta speranza di veder in tal modo saziato il furore del popolo e dei sinedriti che volevano farlo crocifiggere. Confidando di poter risparmiare la vita a Gesù, lo fece portare fuori al Pretorio: “L’ ho fatto flagellare, ma quest’uomo non ha nessuna colpa”. La folla, intanto, gridava inferocita e voleva la sua morte. Il.Governatore era confuso, frastornato. L’ ammirazione di Pilato per Cristo cresceva. Gli ebrei se ne accorsero e finsero amore per Roma e per l’Impero Romano ed iniziarono a ricattate il Procuratore campano: “Il nostro re è l’imperatore Tiberio. Se tu dinque lasci libero costui, che si proclama Re, significa che non sei più amico dell’Imperatore”. Pilato era ormai sotto scacco. Aveva compreso il tremendo ricatto ordito nei suoi confronti. La sua colpa fu di non opporsi fino in fondo. Fece portare un bacile d’acqua, si lavò le mani davanti al popolo e disse: “Io sono innocente del sangue di questo giusto! Voi risponderete della sua morte”. Gli ebrei gridarono: “Si, la sua morte ricada su di noi e sui nostri figli!”. Pilato ordinò la liberazione di Barabba e Gesù fu condannato all’infamante supplizio della croce. La sua agonia fu di tre ore. Poi sopraffatto dal dolore, chinò il capo e spirò. Poichè i crocifissi di solito morivano lentamente e spesso vivevano anche diversi giorni al palo, e poichè il giorno seguente si celebrava la Pasqua, che ricordava la liberazione del popolo ebraico dall’Egitto e il suo esodo verso la “Terra promessa”, pregarono Pilato di far spezzare la gambe ai condannati e di farli deporre, affinché al mattino seguente non vi fossero corpi sulle croci. Così avvenne per i due malfattori che erano stati condannati con Gesù, in quanto vivevano ancora. Per il Cristo non fu necessario. Era già morto. Il centurione Cassio Longino, per suncerarsi della morte di Cristo, lo colpì con la sua lancia, trafiggenfldogli il costato, dal quale fuoriuscì acqua mista a sangue. Giuseppe di Arimatea, membro del Sinedrio di Gerusalemme, si recò da Pilato e lo pregò di di affidargli la sua salma. Il Procuratore gliela concesse. Giuseppe, in compagnia di Nicodemo, suo amico, depose quel corpo straziato, lo unse di mirra e aloè, lo avvolse nel lenzuolo di lino e lo inumò nella sua tomba di famiglia, che si era fatta scavare nella roccia del suo giardino, vicino al luogo dell’esecuzione, dove terminarono di allestire la salma, prima dell’inizio della festa, giorno in cui non sarebbe stato permesso a nessuno di avere a che fare con i morti. L’ evangelista Giovanni, nel suo Vengelo annotò che per essersi proclamato Re, i soldati schernirono Gesù non solo a parole, insultandolo e deridendolo, ma anche ponendogli sul capo una fitto casco di spine. La procedura penale romana di quell’epoca non contemplava la coronazione di spine. Se Gesù non si fosse proclamato Re nell’ interrogatorio di Pilato non sarebbe certo venuto in mente ai soldati di improvvisare quella specie di “regale” investitura da burla, con una mitra di spine, secondo l’uso orientale di incoronare i re. Nella Sindone è molto documentata la corona si spine. Sono evidenti le ferite che si notano in tutta la calotta cranica e intorno alla fronte del volto sindonico. Gli evangelisti riportano l’azione compiuta dai soldati, specificando che la corona fu posta sul capo, non intorno al capo. Anche la morfologia del sangue rivela sangue chiaramente coagulato, fuoriuscito da ferite vere. L’ evangelista Giovanni nota che dopo la flagellazione e la successiva coronazione di spine Gesù indossò di nuovo le sue vesti. Questa precisazione è importante perchè rivela una eccezione alla regola. I condannati alla crocifissione dovevano essere flagellati a dorso nudo lungo la via, secondo l’uso dei romani. Invece la condanna a morte di Gesù fu decretata da Pilato dopo che Gesù era già stato flagellato, ecco perchè dopo gli rimisero le vesti. Dallo stesso lenzuolo si ricava un altro particolare morfologico nelle impronte delle spalle a contatto con la trave che postula la presenza di una veste che avrebbe protetto le spalle già lese del Cristo. Una trave a contatto immediato con le spalle già lacerate, avrebbe “slabbrato” ancor di più ed esteso i segni dei flagelli, che invece hanno conservato la loro forma. I soldati romani consentirono a Simone di Cirene di prendere la croce di Gesù e portarla al suo posto. Non fu quello un atto di pietà o di compassione, in quanto ciò fu consentito affinchè il triste corteo proseguisse fino a raggiungere l’ormai vicino Calvario. Il volto dell’uomo della Sindone presenta svariate ecchimosi. Essendo le mani legate alla trave legate, esse furono causate dagli impatti al suolo nelle inevitabili cadute e la commozione cerebrale che poteva sorprendere il condannato non avrebbe consentito di poter assistere allo “spettacolo” del Cristo, ‘Re dei Giudei’, in croce. Se Gesù, a causa dei traumi, dei flagelli e della grandissima sofferenza fisica cui fu brutalmente sottoposto dai carnefici, fosse morto prima di essere crocifisso, per la legge romana la sua “pratica” si sarebbe chiusa senza la crocifissione, che invece avrebbe avuto luogo per i due malfattori, macchiatisi a lori volta di gravi reati. Anche in tal caso, Giuseppe di Arimatea, Nicodemo, la Madonna e i parenti del Signore, per ottenere la restituzione del corpo di Gesù avrebbero dovuto ugualmente rivolgersi a Pilato. Le Sacre Scritture profetarono la venuta, la morte in croce e la resurrezione di Cristo. Ancora oggi, dunque, nonostante l’eccezionalità dei mezzi tecnologici altamente sofisticati a sua disposizione, la scienza non riesce a stabilire se il corpo avvolto nella Sindone sia quello di Cristo. Probabilmente, nessuna scienza sarà mai in grado di stabilirlo, dal momento che la fede non potrà mai trovare la sua ragion d’essere in una verità dimostrata da sofisticate e complesse tecnologie.