Iter Sybaris Poseidonia

Iter Sybaris Poseidonia

Dott. Carmine Paternostro

Da dove parte un viaggio, che, nel tempo diventeranno “i viaggi”? In quali epoche? Quanti erano e saranno ancora?

Un episodio, un movente ispira e rievoca storie, ricordi, momenti di vita. Da una semplice stretta di mano, un inchino (in epoca anti Covid) alla distinta Rita Occidente Lupo, direttore responsabile di un quotidiano campano, da qualche testimonianza espressa su Padre Pio al Duomo di Salerno, condivisa con lei, nascono e si completano quelle reminiscenze di vari colori su trascorsi viaggi calabro campani, sbocciate nel viaggio d’andata e ripensate al ritorno.

Parliamo di un iter comune ai tanti del nostro passato, che destano memorie di storia. Pensiamo alla prima poesia magna greca impressa sulla coppa di Nestore, a Phitecusa (Ischia) e all’Odissea dell’inquieto Ulisse, partorita, si pensa, dai coloni calcidesi a Reggio Calabria.

Ritorniamo a quel florido Regno delle due Sicilie, anticipato da Roberto il Guiscardo, il vichingo.

Calabria-Campania, direi un gemellaggio continuo, sostenuto, confermato da epoca antica. Nella Magna Grecia di Sybaris, un angusto tracciato mulattiero, a mezzo crinale, risaliva la piana dell’omonimo fiume per giungere alla sorgente del fiume. In memoria dell’Acaia natia, al fiume, nascente a Morano ed alla grande città fu dato il nome di “Sybaris”. Dopo una sosta notturna, i viandanti sibariti, votati al commercio, risalivano i monti per proseguire al Tirreno di Lao, alla trezena Poseidonia (poi Paestum), colonia della metropoli jonica, fino all’Etruria.

Infatti, caduta Sybaris (510 a. C.), l’anno successivo crollò la monarchia di Roma.

Ritengo che questo tracciato ispirò, nei tempi imperiali di Roma (132 a. C.) la costruzione della strada regia, consolare, a selciato, Popilia o Annia (ma forse erano due, distinte), che scivolava dalla calabra Regio alla città dei Gladiatori: Capua (“Regio-Capuam” – lapide di Polla). La mia Muranum è incisa sulla pietra miliare come stazione. Resti, muti, restano tuttora nelle nostre contrade. Su questo percorso si alternarono, in gita, i tanti protagonisti di storie: Spartaco, gladiatore ribelle, con passaporto di Tracia, che penetrò qui, da noi, terra dei Bruzi, dopo aver scorrazzato, irrequieto, per la penisola intera (73-71 a. C.). Chiedeva monete e metalli per animare le armi, avverse alla potenza di Roma. Tra i nostri monti si infranse il suo sogno: il riscatto della legittima libertà agognata. Da qui Annibale, risvegliato dall’ozio di Capua, si precipitò, costeggiando il mio paesello, verso il mare che doveva riportarlo a Cartagine. Zama cancellò ogni conquista (202 a.C.). E, parimenti, l’augusto Antonino Pio (138-161 d. C.) nel suo itinerario, costeggiando Summuranum, su strada a basso crinale, visitò queste terre (II sec. d.C.). La Tabula Peutingeriana (III sec. d.C.) cita ancora la mia contrada. Da queste arterie derivavano rami collaterali, che si aprivano alla piana, fino al Fauciglio (fauci di leone) per portarsi alle rovine dell’opulenta città magna greca, poi Thurii, ove fu Erodoto, che qui o poco più a Ovest, a Torre del Mordillo, morì, quindi Copia, cittadina portuale dell’Urbe, aperta alle missioni in terra d’Africa, vedi spedizione di Caio Mario contro Giugurta (111-105 a. C.). In questo centro portuale lavorò il bisnonno di Augusto, come “cordaro”. Così canzonava Marco Antonio le nobili origini del primo imperatore di Roma. Altri sentieri, già ai tempi di Sybaris portavano a Timpone della Motta, centro templare, devoto ad Athena, ove Epeio costruì il cavallo di Troia, a Torre del Mordillo, nucleo militare, che, con il centro commerciale marittimo della metropoli magno greca costituiva, a mio avviso, la trinità sibarita. Se a queste terre fosse concesso il diritto alla parola, quanta storia, in lamenti, declamerebbero! Ma è stata loro resettata la lingua da predoni, simili ai colleghi, usurpatori delle tombe dei faraoni d’Egitto.

Ed anche San Francesco di Paola, da giovane, onorò questo percorso montano, avviato al Giubileo di Roma e, da anziano, verso il sofferente sovrano di Francia. Si concesse una breve sosta nella città del Vesuvio, per un aspro rimprovero al Re, accanito esattore di tasse.  A Morano, sulla roccia lasciò le sue impronte, mentre benediva per l’ultima volta la nostra Calabria. Ovviamente, sulla nuova strada murattiana non mancò Garibaldi, attore del ratto del Sud, che in contrada Terrarossa (“petra aimatos” – terra di sangue) percepì dal mio comune 200 ducati. Nel mio comune nessuna strada o piazza ricorda gli attori dell’Unità …geografica… d’Italia!

In tempi moderni seguì il ciclismo di Bartali e Coppi, tappa Cosenza – Salerno ed, infine, ovviamente, il sottoscritto con famiglia.

Erano i floridi anni 60 e con mio padre alla guida della storica Fiat 600, a passo lentissimo, mia madre, fedelmente accomodata al suo fianco, io e mia sorella a vigilare sul sedile di dietro procedevamo verso Salerno. Avanti si distendeva una strada tortuosa, che ci impegnava per ore. A mezzogiorno si consumava un pranzo fugace, con prodotti nostrani, per giungere stanchi alla meta. Qui, infatti, i miei investirono qualche risparmio, acquistando una casa, zona Pastena. Qualche anno dopo avrei preso io la guida dell’auto sulla novella autostrada Salerno – Reggio Calabria, da sempre ferita, a Lagonegro, da una cronica inguaribile frana.

Storicamente dicono che in tale cittadina lucana, celebre per i suoi cavalli di razza, sia perita la Monna Lisa leonardesca.

Superate le asperità montane calabro lucane del monte Pollino, del Sirino ed Alburnee affondavo nella ridente piana salernitana, ove si ergevano i resti templari della trezena Poseidonia, figlia di Sybaris, che accolse i profughi, dopo l’estinzione della metropoli jonica.

In quei tempi, a Salerno si consumarono, in ansia, i tempi del Tour di Francia, vinto dall’esordiente Gimondi, del Napoli di Achille, il reale, con Bugatti, Comaschi, Vinicio, Del Vecchio, Pesaola fino ad Omar, il cabezon Sivori, non adatto al movimiento dello juventino Heriberto. Mi accompagnavano la radiolina e qualche giornale sportivo se qualche lira mi rimaneva superflua. Scoprivo nomi nuovi come via Irnerio, Arechi (echi normanni), la tomba dell’esattore Matteo, l’evangelico apostolo, il Torrione ed un lungomare ove rilassavo i miei passi.

C’era profumo di storia, che dava quello stimolo in più per battezzare la nostra appartenenza distinta, lontani da grigie nebbie pesanti.

Apparteniamo alla storia pulsante nei cuori, storia silente, scritta da noi, a vantaggio di tutti, pagine, che mai leggeremo sui libri.

Infatti, si parla, ad esempio, di Volta, Fleming e non si sa di un certo Francesco Filomena di Mormanno, che comunicò, tramite lettere (esistenti) le sue ricerche ad “Alessandro”, apparentemente disinteressato…, che, poi, guarda caso, fu proclamato scopritore…Vano è stato l’interessamento in merito di qualche prestigioso personaggio giornalistico, che voleva saperne di più.

Molti ignorano le generalità di un certo Vincenzo Tiberi, di Napoli. Ebbene, questo medico, in attesa dell’amata, osservò casualmente delle muffe sul bordo di un pozzo, meditò, scoprì, pubblicò. Ma fu Fleming ad essere insignito del Nobel!

Campanilisticamente, infine, voglio ricordare un mio compaesano, Gaetano Berardi, abitante in via Lauri, che fu eroe della prima guerra mondiale, tempi di Caporetto. Si distinse per comportamento eroico, quando i suoi commilitoni erano in precipitoso ritiro. Non volle medaglie, ma la promozione a caporal maggiore. Desiderava ardentemente, infatti, essere superiore in grado al suo commilitone vicino di casa e contrada, per ricevere, l’ossequioso saluto, dovuto ad un superiore!

Questo episodio è un frammento di storia plebea, una pagina di miseria e nobiltà, comunque rispettabile, di personaggi, che, nel loro piccolo, hanno costruito il futuro di ognuno di noi, disegnando i confini di una Patria, spesso con sacrificio e con sangue.

Dopo tanto pensare, l’iter del ritorno finisce, rivedo le mura domestiche, un altro pasto frugale, in attesa di nuove memorie con storie da raccontare.