La Voce e la Vita della Chiesa: ”Gesù, il Maestro che insegna con autorità“

La Voce e la Vita della Chiesa:  ”Gesù, il Maestro che insegna con autorità“

Diac. Francesco Giglio

La figura del “maestro” ha un ruolo importante nella tradizione religiosa e culturale come si evince dalla Bibbia.  Gli ebrei usavano il termine “rabbì” (che significa: «mio Grande», cioè «mio Signore») e lo circondavano di profondo rispetto. In  una civiltà della parola, come quella antica, l’insegnamento del maestro, che spaziava su ogni campo del sapere, occupava un posto centrale. Nei Vangeli il termine “rabbì” viene applicato a Gesù e ritroviamo l’appellativo anche nella traduzione greca con le parole:  didàskalos (Gesù è «colui che insegna», annunciando il Regno di Dio), epistàtes (Gesù è «colui che ha un’autorità superiore », nei confronti dei maestri del suo tempo, cioè gli scribi e i farisei, cfr. Lc 5,5), katheghetès (Gesù è «colui che guida» sulla via della Verità di Dio, a differenza delle «guide cieche», quali sono i dottori della Legge, cfr.Mt 23,10.16). In Gesù, perciò, il titolo «maestro» supera quella concezione che rischia di collocarlo nel solo ambito culturale o rischia di fare di lui un «maestro di morale», come ancora oggi molti pensano di lui. La ricchezza della Parola di Cristo abita in mezzo a noi per farci rendere, per mezzo di Lui, grazie a Dio Padre.

A Lui il Padre ha concesso autorità a fare tutte le cose così come scrive Marco nel suo Vangelo (11,27-33): “ In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli andarono di nuovo a Gerusalemme. E, mentre egli camminava nel tempio, vennero da lui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli dissero: «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle?». Ma Gesù disse loro: «Vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi». Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”. Diciamo dunque: “Dagli uomini”?». Ma temevano la folla, perché tutti ritenevano che Giovanni fosse veramente un profeta. Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». E Gesù disse loro: «Neanche io vi dico con quale autorità faccio queste cose». Marco, in questo brano evangelico, ci racconta che gli Scribi e gli anziani non sopportavano che un semplice falegname, così come essi ritenevano Gesù, andasse nel tempio ad insegnare.

Erano essi i maestri ufficiali, titolati a svolgere tale compito. Questi erano gelosi del fatto che le folle, preferivano ascoltare Gesù piuttosto che loro. La gente era ammirata delle parole del Signore perché capiva che queste uscivano da un cuore immerso nella verità e nella carità e, di conseguenza, ne percepivano l’autorevolezza. Ciò che dà autorità all’insegnamento è che esso sia secondo verità. Gli ascoltatori comprendevano bene che quel maestro era il primo a vivere ciò che insegnava. In un famoso passaggio dell’Esortazione apostolica “Evangeli nutiandi” di Papa Paolo VI, al n° 41, vi è riportata questa frase: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni». Meriterebbe davvero rileggere questo documento e meditarlo nella sua interezza. Esso innanzitutto richiama non solo alla testimonianza personale, ma anche a quella dell’unità della Chiesa e ripropone una testimonianza che non è semplice coerenza, bensì un rimando al “mistero di Dio”. Il “testimone”, infatti, non indica sé stesso, bensì attesta l’evento che “ha visto” e di cui è stato “reso partecipe”. Il “testimone” deve attestare ciò che veramente è avvenuto. Certo egli deve essere credibile, ma l’evento di cui parla è ciò che realmente interessa ai suoi ascoltatori. Marco ribadisce che Gesù, seconda persona della Santissima Trinità, parla del Padre perché lo conosce. Parla d’amore perché è l’amore. Il vero maestro si identifica con il proprio insegnamento. Lo mostra con la propria vita e mette in pratica ciò che annuncia. Gesù non diceva cose diverse dagli altri, ma aveva un modo del tutto particolare di insegnare. Le cose che diceva, pur essendo vecchie, avevano un sapore diverso. Gli ascoltatori erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli Scribi. Gesù, con le sue parole e soprattutto con la sua vita, chiedeva loro se davvero credessero in ciò che sapevano.

Chi crede, si riconosce non dal tono della sua voce ma dalle scelte che fa di conseguenza a ciò che crede. Una volta smascherati dalla  domanda su Giovanni Battista, gli Scribi preferiscono tacere, piuttosto che ammettere la decisa volontà a non convertirsi a Cristo. Gesù  si rivolge alle folle, che sono disposte invece a credere in Lui e a convertirsi. L’annuncio di Gesù è rivolto a tutti, perché il Padre lo ha mandato ad annunciare la salvezza a tutto il genere umano, offrendo loro la possibilità di accogliere la sua Parola e riconoscere la Sua divina autorità. Ancora oggi Gesù ci ricorda che, se diciamo che Dio è nostro Padre, non possiamo però vivere come se fossimo soli al mondo. Dovremmo poter mostrare una differenza, che non viene solo dall’aver detto una frase giusta, ma dal vivere in maniera conseguente a ciò che abbiamo affermato. Ciò che ci distingue come discepoli del Maestro è vivere ciò che diciamo, ciò che crediamo, ciò che preghiamo.