Avventure missionarie: Messa domenicale in Africa

Padre Oliviero Ferro
Tutti più o meno siamo andati o andavamo a Messa la Domenica. Oggi, forse, si fanno altre scelte. Come mi ha detto un giorno un bambino, alla domanda se andava a Messa la domenica, la risposta mi ha lasciato interdetto: “Mia mamma mi ha detto che la Domenica è il giorno del riposo. Quindi rimango a casa, dopo aver faticato tutta la settimana”. Questo modo di ragionare non funziona in Africa. La prima cosa che mi ha colpito, quando sono arrivato in missione, è vedere la gente che faceva chilometri, a piedi o in barca, per partecipare alla Messa. Per loro era un momento di gioia, di festa, di incontro e di testimonianza di fede. Era il giorno di mettersi i vestiti belli (lo facevamo anche noi tanti anni fa) per godere insieme della gioia dell’incontro. Si arrivava di solito prima dell’orario. Si scambiavano le notizie, ci si salutava e si entrava nella piccola o grande chiesa e subito partivano i canti, accompagnati dagli strumenti tradizionale (tamburi, balano, tamburelli…). Poi entrava la processione con i ministranti e i sacerdoti. E la musica, accompagnata dalla danza, riscaldava tutti i partecipanti. Nessuno guardava l’orologio. Non c’era tempo. Quando si sta insieme, si fanno altre cose. Poi nelle grandi feste (festa del raccolto o ringraziamento, battesimi di Pasqua, Natale, festa patronale…) c’erano altri momenti in cui ognuno dava il suo contributo alla gioia. La processione offertoriale, dove venivano portati i doni con quello che ognuno poteva dare anche in denaro. Tutto questo naturalmente danzando. E così pure al momento del ringraziamento. Ricordo sempre una festa, quella del raccolto, (occasione per contribuire in modo particolare alla vita della comunità parrocchiale) erano invitate tutte le comunità di base, i gruppi e le associazioni e anche i capi tradizionali. Insomma tutti erano là. Quando è stato il turno dei capi, sono venuti danzando, accompagnati dalla loro banda tradizionale. Tutta la chiesa vibrava, c’era un qualcosa di particolare che ti entrava dentro. Era un riconoscere che in ogni cultura c’era qualcosa di buono e che il Signore apprezzava ed era felice di vedere dappertutto i segni del suo amore e della sua presenza in mezzo alla gente. Il momento della predica (omelia) del sacerdote era speciale. Si cercava di entrare in dialogo con i fedeli, anche attraverso dei racconti (lo faceva Gesù con le parabole) e la gente seguiva con interesse. Ma la Messa non finiva in chiesa. Continuava anche fuori. Non si scappava a casa, ma ci si salutava, ci si dava l’arrivederci per la prossima volta. Se poi era un giorno di festa, si rimaneva per condividere il cibo, preparato dalle mamme volontarie. Insomma la vita continuava, dentro e fuori (non era finita con la celebrazione). Anche nelle piccole comunità si vivevano le stesse esperienze. In particolare quelle che erano sulla rive del lago. Li vedevi arrivare sulle piroghe, dopo aver remato a lungo. Non c’era la fatica sui loro volti, ma la gioia di ritrovarsi insieme e fare festa insieme. E questo faceva tanto bene al cuore.