Salernitano: suicidio in RSA, prof. d’Angiò “Paziente suicida doveva iniziare riabilitazione, non essere ‘parcheggiata’ in RSA”

Salernitano: suicidio in RSA, prof. d’Angiò “Paziente suicida doveva iniziare riabilitazione, non essere ‘parcheggiata’ in RSA”

Sul caso di cronaca della paziente di 67 anni che si è tolta la vita in una RSA interviene il prof. Antonio d’Angiò, Medico Psichiatra Psicoanalista. Già primario ospedaliero di Psichiatria e Direttore di DSM. Professore di Geopsicologia e Comunicazione interculturale presso l’Università della Campania “L. Vanvitelli”. Firmatario della Legge di Iniziativa popolare “Disposizioni per persone con gravi patologie disabilitanti” all’esame della Regione Campania. Questo le sue riflessioni.

Il suicidio di una paziente con problemi psichici, verificatosi solo due settimane fa in una RSA della zona collinare del salernitano pone, ancora una volta, al centro dell’attenzione mediatica e dell’opinione pubblica, le carenti condizioni delle politiche assistenziali nei confronti di pazienti portatori di specifiche disabilità. Quando si pensa alla disabilità, spesso le prime immagini che vengono in mente a chi non conosce questo mondo sono legate a disabilità fisiche, immediatamente evidenti. In realtà esistono diverse tipologie di disabilità, neurologiche, psichiche, sensoriali, che si presentano con gradi di gravità differenti e che richiedono approcci assistenziali, terapeutici e riabilitativi estremamente diversificati.

Premesso che le disabilità non sono tutte uguali, è di tutta evidenza che per ognuna di esse il Sistema Sanitario Nazionale prevede misure, e soprattutto luoghi, ovvero, appropriati setting atti a prevenirle e a curarle. Laddove invece sussistano gravi deficit congeniti, per esempio, su base genetica o al contrario si siano innestati irreversibili processi di cronicità rispetto a delle malattie neurologiche o psichiche acquisite, ci troviamo di fronte all’inderogabile necessità di porre in essere dei veri e propri “progetti riabilitativi”, individuali, personalizzati e di lungo termine (Lifelong Rehabilitation). È proprio in questa fase del percorso assistenziale che si pone dunque il delicato e complesso discorso della riabilitazione, e dunque della valutazione dei reali ed effettivi bisogni del portatore o della portatrice di quella specifica disabilità. Per far questo è necessario però tener sempre ben presente l’assunto di base che la riabilitazione per molti aspetti è, e resta, un “termine ombrello”, sotto al quale rientrano portatori di disabilità motorie, di disabilità intellettive, di disabilità psichica, come nel caso della paziente suicida di sabato scorso, portatori di disabilità sensoriali.

Ritornando al caso specifico riportato dalla cronaca, la paziente suicida doveva con ogni probabilità intraprendere un percorso di riabilitazione psicosociale in una Comunità Alloggio e non certo essere “parcheggiata” in una RSA, una struttura che nasce soprattutto per assistere anziani sul piano socio-sanitario. In altre parole, come giustamente rileva (nell’articolo riportato da “Il Mattino” del 20 febbraio) lo stesso dottor Corrivetti, direttore del DSM dell’ASL di Salerno, nella valutazione dei bisogni della paziente è prevalsa la lettura geriatrica (67 anni) ovvero la lettura (forse anche per una ragione di risparmio economico) del bisogno socio-assistenziale e non quella del bisogno riabilitativo, una lettura che sarebbe stata certamente più in linea con la storia della paziente e con un suo pregresso tentativo di suicidio.

Tutto questo per sottolineare quello che una recente legge di iniziativa popolare, portata all’attenzione della Regione e già in discussione in Commissione Sanità e Commissione Bilancio, ha segnalato con viva preoccupazione ossia che le gravi e gravissime patologie disabilitanti non possono finire nell’imbuto low cost delle RSA luoghi che non hanno alcuna specifica competenza in tema di salvaguardia delle residue potenzialità di salute delle persone portatrici di disabilità, come d’altronde la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità non smette di ricordarci a partire dal 2001 quando ha emanato l’IFC ossia la nuova Classificazione Internazionale del Funzionamento, Disabilità e Salute.