Le comunicazioni angeliche

Le comunicazioni angeliche

don Marcello Stanzione

L’uomo, per comunicare, utilizza la parola, la scrittura, il gesto ed i segni. L’Angelo, non avendo corpo, non ha voce, ed anche quella che egli assume nelle apparizioni non è la sua. Egli non può in più né scrivere né comunicare con una qualsiasi gestualità, almeno secondo la sua natura angelica. E, nonostante ciò, San Paolo dichiara: “Quando anche io parlerei le lingue degli Angeli e degli uomini, se io non ho la carità, io non sarei che un timpano sonoro, un cembalo risuonante” (1^ Lettera ai Corinzi 13,1).

Esisterebbe, dunque, un linguaggio proprio degli Angeli che non può, di conseguenza, che essere superiore al nostro. Gli Angeli dialogano con Dio, con l’umanità, e tra di loro. Di ordine spirituale, la loro conversazione con Dio non smette mai, benché Dio non abbia bisogno di questo dialogo per conoscere tutto delle Sue creature. San Gregorio Magno pensa che gli Angeli Gli parlino coi loro canti di azioni di grazia, la loro tenera e ardente aspirazione nel conoscere ancora di più la Sua Luce ed il Suo splendore, e che essi trovano un motivo supplementare nell’intrattenersi con Lui quando rendono conto delle loro missioni presso gli uomini e Gli trasmettono le loro preghiere.

Le conversazioni che gli Angeli tengono tra di loro sono similmente di ordine puramente intellettuale. “Perché parlare consiste unicamente nel manifestargli (all’interlocutore) l’idea che si ha”.

Per San Tommaso si tratta di un procedimento paragonabile alla trasmissione del pensiero. Basta un atto di volontà, indipendentemente dalla distanza tra di loro, affinché due Angeli dialoghino. Il pensiero dell’uno diventa leggibile e limpido per l’altro e permane nascosto a tutti quelli a cui il messaggio non è destinato. Questo dialogo avviene dall’alto in basso e dal basso in alto della Gerarchia angelica, gli Angeli dei Cori superiori che istruiscono quelli dei Cori inferiori dei misteri divini che non sono loro direttamente intelligibili, ed incaricandoli di eseguire le volontà di Dio, e gli Angeli dell’ultimo Ordine che vengono a rendere conto.

Nel suo linguaggio filosofico medievale, San Tommaso d’Aquino scrive: “Gli Angeli agiscono in noi con scosse impresse agli spiriti vitali”.

Per la sua doppia e straziante natura, spirituale e carnale, l’uomo possiede abbastanza spirito per non essere totalmente sordo e cieco alle realtà del mondo invisibile, e troppo materiale per muoversi a suo agio in una dimensione che non è ancora fatta per lui. Così la voce degli Angeli, che è quella di Dio, gli perviene senza che egli sappia sempre identificarla.

Un commentatore, il cardinale Journet, scriveva: “Più spesso che non lo pensiamo, questa subitanea ispirazione ci è soffiata all’orecchio dal nostro Angelo custode”. Questo primo modo di comunicazione è qualificato come ordinario. Esso opera con una suggestione così discreta a livello della nostra coscienza che noi non lo differenziamo dalle nostre riflessioni e l’adottiamo come proveniente da noi stessi.

L’altro è qualificato come illuminativo. L’ispirazione e l’illuminazione si fanno con grande forza. Esse sono inconfondibili con il processo di pensiero naturale, come se esse portassero nettamente la firma dello Spirito beato che le ha suscitate. Questa nota inconfondibile è il sigillo dell’autenticità del dialogo, più probante ancora quando appare come la risposta netta ad una richiesta espressa nella preghiera e quando si unisce ad una lunga esperienza dell’orazione e della contemplazione.

Una credenza ereditata dall’ebraismo dice che gli Angeli custodi dei popoli sono i creatori delle lingue nazionali.