San Matteo tra Legenda aurea e tradizione         

San Matteo tra Legenda aurea e tradizione         

Maria Amendola

Secondo il martirologio romano San Matteo fece ritorno alla casa del Padre il 21 settembre. Egli al secolo Levi, era figlio di Alfeo e viveva in Cafarnao. Era odiato dai farisei perché era un “pubblicano”, ovvero un esattore delle tasse romano a servizio di Erode Antipa. Dopo aver sentito Gesù dirgli “seguimi”, egli decise di consacrare la sua vita a Dio. Spogliatosi di tutti i suoi beni, intraprese la via della predicazione in Palestina, in Persia, in Irlanda, in Macedonia e in fine in Etiopia. Divenne Apostolo ed Evangelista con  il nome Matteo, che significa “Dono di Dio”. Tradizionalmente a lui è attribuito il primo vangelo canonico che scrisse in lingua aramaica secondo la testimonianza del Vescovo e Santo Papia di Gerapoli, e in un secondo momento fu tradotto in greco. Al Santo sono attribuite varie vicende e per quanto riguarda la sua morte le ipotesi degli storici e studiosi sono due: l’una riguarda una morte naturale mentre l’altra è quella dell’uccisione da parte di pagani mentre celebrava la messa. Difatti nel periodo in cui egli si trovava in Etiopia sembra che sia stato l’artefice della conversione di re Egippo e della consacrazione a Dio della figlia Ifligenia dopo esser stata riportata in vita dal Santo, e di seguito della conversione di tutto il popolo. Il trono di Egippo venne usurpato dal fratello Itarco, che era intenzionato a sposare Ifliginia. Dato il rifiuto della fanciulla a Matteo fu intimato di convincerla a sciogliere la sua consacrazione, ma il Santo dopo aver affermato che il matrimonio mistico con Dio non poteva essere sciolto da un uomo, venne ucciso da soldati del re mentre celebrava la messa. Non esiste però un vero riscontro storico per tali vicende. Secondo la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine nel 70/74 d. C. San Matteo morì in Etiopia decapitato mentre celebrava la messa. Secondo una delle più diffuse teorie storiche e secondo il martirologio romano, alcuni navigatori bretoni trovarono le reliquie di San Matteo in Etiopia, poi furono trasferite nel versante Occidentale della Legio romana dove rimasero per quarant’anni circa, successivamente giunsero il Cilento grazie ad un comandante romano delle navi di Bruzio, di nome Gavinio originario dell’antica Elea l’attuale di Velia. Egli le esumò e se ne impossessò e non le consegnò a Roma, ma le portò nell’antica Elea. Le spoglie vennero venerate e custodite dai fedeli del posto. Dopo eventi di varia natura, tra le più azioni belliche, l’antica Elea venne distrutta e le sacre reliquie caddero nella dimenticanza, in quanto ritenute perse per sempre. Una leggenda narra che al tempo del principe di Salerno Giusulfo I, esattamente nel 954 d.C. presso un luogo lucano (attuale Marina di  Casalvelino) ad una pia donna in là con gli anni di nome Pelagia apparve in sogno San Matteo. Il Santo le chiese espressamente di far cercare le sue reliquie dal monaco Atanasio, figlio di lei. Alla donna il Santo apparve due volte e poi apparve in sogno anche ad Atanasio, che dopo un primo momento di incredulità si portò presso l’antica Elea,  nel luogo indicato, ovvero nelle rovine di ambienti termali, trovò sotto un altare di marmo le spoglie del Santo tumulate in un vano rivestito di mattoni d’argilla rossa, ubicato in una domus e protetto dalla vegetazione ruderali. Atanasio aveva l’intenzione di vendere le reliquie, ma per ben due volte delle mareggiate gli impedirono di arrivare nei luoghi da lui disegnati, ovvero Roma e Costantinopoli. Il monaco dovette allora nascondere le reliquie presso un luogo chiamato “Ad duo fulminia” in una chiesa, proprio nelle vicinanze della sua cella, vicino Casalvelino. Il Vescovo Giovanni appresa la notizia del ritrovamento, si recò in quel luogo insieme ad alcuni ecclesiastici e sigillò le sacre reliquie in un’arca. Atanasio trafugò nuovamente le reliquie, ma in cambio di queste il Vescovo gli concesse un dente del Santo. Dopo le reliquie furono trasferite a Rutino e successivamente dopo tanti km e varie tappe le reliquie il 6 maggio del 954 giunsero a Salerno nella cattedrale di Santa Maria degli Angeli per volere del principe Gisulfo I e del arcivescovo Bernardo. Si susseguirono innumerevoli miracoli sia in territorio cilentano in tempi precedenti alla traslazione, sia durante il viaggio per Salerno che dopo l’arrivo nella Cattedrale: il miracolo della “Manna di San Matteo” presso Rutino; da una fonte d’acqua scaturì vino; il popolo salernitano dopo aver invocato il Santo fu salvato dalla pestilenza del 1656, un forte vento di scirocco e una pioggia battente dissipò il flagello; Salerno fu salvata dall’assalto dell’ammiraglio Ariadeno “Barbarossa” nel 1544, in memoria dell’evento ogni 21 agosto avviene l’alzata del Panno; e un giovane fu liberato da una possessione demoniaca grazie al dente appartenuto ad  Atanasio, al quale dopo il miracolo non venne più restituito. Nel 1085 le spoglie di San Matteo furono definitivamente collocate nel Duomo dedicato al Santo, costruito per volere di Roberto d’Altavilla detto “il Guiscardo” e del vescovo Alfano I e con la consacrazione del Papa Gregorio VII, che riposa nel Duomo. Fonte della traslazione del Santo è l’opera “Traslatio Sancti Mattei Apostoli et Evangeliste”.