Vitulazio: presentato libro “S. Ecc. Monsignor Paolo Pozzuoli”

Vitulazio: presentato libro “S. Ecc. Monsignor Paolo Pozzuoli”

Paolo Pozzuoli

Nell’auditorium parrocchiale presentato libro  “S. Ecc. Monsignor Paolo Pozzuoli”  (dalla vita e le opere del grande prelato vitulatino, da Vitulazio a Capua-Seminario e Diocesi al soglio vescovile di Sant’Agata de’ Goti, alla  Storia di Vitulazio, suo paese natio) sono intervenuti: il Parroco don Peppino Sciorio, Monsignor Francesco Maria Perrotta, il Prof. Raffaele Raimondo, l’Avv. Raffaele Russo, Sindaco.

“È un onore per Vitulazio” ha scritto la signora Maria Scialdone guardando la copertina del libro “S. Ecc. Monsignor Paolo Pozzuoli”.

Personalmente sono onorato e lusingato di stare qui, in questo imponente Auditorium parrocchiale che incute soggezione e ammirazione al tempo stesso, accanto ai reverendissimi parroco don Peppino Sciorio e Monsignor Francesco Maria Perrotta, ed al prof. Raffaele Raimondo, tre eccellenze, tre fuoriclasse della cultura che hanno dato lustro alle terre natie, ricche di storia e d’arte, e all’avvocato Raffaele Russo, contadino per tradizione, squisito professionista togato, sindaco per volontà popolare, per partecipare alla presentazione del libro “S. Ecc. Monsignor Paolo Pozzuoli” che qui, a Vitulazio, allora Vitulaccio, è nato il 16 giugno 1740.

Nel ringraziare don Peppino per l’ospitalità, mi piace ricordare che il nostro primo incontro avvenne verso la fine del mese di settembre dell’anno 2008 nella Questura di Isernia diretta dal Grand’Ufficiale Biagio Ciaramella, compaesano e amico fin dalla prima infanzia, insignito dal Vescovo Monsignor Salvatore Visco, attualmente Arcivescovo di questa nostra Arcidiocesi dell’onorificenza di Commendatore dell’Ordine di San Gregorio Magno.

Ancora, incontrando nei giorni scorsi Monsignor Francesco Maria Perrotta è stata ricordata, rivissuta e quindi rinnovata l’antica amicizia.

Come anticipato, è con noi Monsignor Francesco Maria Perrotta, per tutti don Ciccio, ideatore e realizzatore del libro. Ed è oneroso, credetemi, presentarvelo. Sono davvero grato all’illustre prof. Raffaele Raimondo – che non tutti forse conoscono e che, per sottolinearne la grandezza, mi limiterò a riferire che tutti i palcoscenici della cultura, del giornalismo, del sociale, della politica sono il suo mondo. Dalla sua creativa e fulgida penna è nato un bellissimo ritratto di don Ciccio, un’opera d’arte che andrebbe incorniciata: “amante di Gesù”, garbato “fratello del prossimo”, saggio come può esserlo un uomo della sua età, incline ad un umorismo semplice quanto severo, custode e testimone del Vangelo, forbìto latinista e storico scrupoloso, autore di tanti studi monografici sovente dedicati alle vicende antiche e recenti di Arienzo dove nacque e al territorio circostante”. Parole che rendono questo mio impegno molto più piacevole e comodo.

Per descrivere la vita e le opere di don Ciccio, personaggio unico, speciale, che, accanto all’impegno pastorale, ha dedicato tutta la vita alla ricerca e allo studio, ci vorrebbe almeno una intera collana di libri.

Tenterò, per quanto possibile, una esposizione che non scalfisca minimamente il valore delle sue virtuose doti e delle straordinarie opere.

Ordinato sacerdote il 31 maggio 1953, all’età di 22 anni e sei mesi, un anno e mezzo prima dell’età canonica, si è laureato in Sacra Teologia nella Pontificia Facoltà Teologica “San Luigi” a Posillipo, dai Padri Gesuiti, illustrando la Tesi “L’Episcopato Campano al Concilio di Trento”. Da allora ha cominciato un lunghissimo ministero sacerdotale: dalla sede vescovile ove ha svolto incarichi di rilievo alla guida di Chiese Parrocchiali ed Arcipretali.

Ha insegnato religione nelle scuole statali, in Arienzo, dove  ha presieduto anche l’Ente Morale ‘San Filippo Neri’ ed è stato direttore dell’Archivio Storico del Cristianesimo della Campania.

La sobrietà, l’indole, l’etica, l’educazione, l’onestà morale e intellettuale sono ancora una caratteristica inimitabile del suo stile. Custode dei valori, sentinella dell’ambiente, ispettore onorario per i Monumenti e le Antichità della Valle di Suessola, don Ciccio è inesauribile e preziosa fonte di cultura, di vita, ed ogni sorta di insegnamenti.

Letterato e storico insigne, appassionato e saggio, sempre assetato di sapere, fine e ineguagliabile ricercatore presso biblioteche, archivi vari, ecc., ha portato alla luce e quindi pubblicato, da scrittore illuminato e fecondo, storie antiche e locali, eventi e personaggi incredibili di cui si sarebbe definitivamente perduta la memoria.

Un vulcano di cultura in continua eruzione che ama trasferire in carta stampata, in libri assolutamente unici, straordinari, tutto quanto è oggetto delle sue notevoli e consistenti ricerche, dei pensieri e ricordi della sua vita. Una produzione, questa di don Ciccio, storico dottissimo, di inestimabile valore cognitivo e istruttivo in riferimento anche alle sorprendenti tematiche trattate.

Tra le sue innumerevoli pubblicazioni (oltre cinquanta) ricordiamo – chiedo venia per non riportarle tutte – L’Università di Arienzo e la peste del 1656; Memorie delle monache lateranensi o rocchettine – Manoscritto inedito di Giovanni Andrea Buffolino 1672;

L’episcopato campano al Concilio di Trento; I mestieri ‘500-‘700-‘800: Valle di Suessola in Terra di Lavoro; Percorsi delle memorie storiche di un’antica e nobile terra; Le Epigrafi – Arienzo, San Felice a Cancello, Santa Maria a Vico; Memorie del Passato – La Storia socio-religiosa della Valle di Suessola e della diocesi di Acerra tra il XVI e XIX secolo; Deo Gratias et Mariae; Percorsi delle Memorie Storiche di un’Antica e Nobile Terra – Una panoramica nella Valle di Suessola; La vita religiosa nell’Università di Arienzo nel ‘500 e nella prima metà del ‘600 – L’Università di Arienzo e la peste del 1656 – Le decime nella Terra di Arienzo; TOZZOLE  Agli amici  Ex corde.

Ma il clou della poliedrica ed effervescente attività culturale di don Ciccio è rappresentato dalla realizzazione, nel mese di settembre dell’anno scorso, in San Marco Trotti, della inestimabile quanto preziosissima opera, titolata “Biblioteca di San Marco Trotti – Fondo librario di don Ciccio”, ricca di seimila volumi.

Don Ciccio si è subito ‘innamorato’ di Monsignor Paolo Pozzuoli , Vescovo di Sant’Agata de’ Goti – il titolo completo era: “Paolo Pozzuoli, per la misericordia di Dio, e grazia della Sede apostolica, Vescovo di Sant’Agata de’ Goti e di Suessola, Barone del Casale di Bagnoli, ‘Prelato domestico’ di Sua Santità, e Assistente al Soglio Pontificio” – dal 1 aprile 1792 all’8 marzo 1799, epoca in cui la Diocesi era ricca anche di Arienzo. ‘Subito’, ovvero quando, appena nominato Arciprete della Chiesa Arcipretale dedicata a Sant’Andrea Apostolo dove don Ciccio è stato Arciprete dal 1967 al 2003, notò sul pavimento l’iscrizione sopra una lastra marmorea che recitava: monsignor Paolo Pozzuoli volle essere sepolto proprio lì, “davanti all’altare del Corpo di Cristo, per essere calpestato da quanti si recavano alla sacra Mensa”.

Da allora germogliò l’idea di recuperare la memoria di Monsignor Paolo Pozzuoli. Il libro, dunque, ha almeno una duplice valenza: un fiore per ricordare la memoria del Vescovo Pozzuoli e un dono per i Vitulatini e gli Arienzani. Vitulazio e Arienzo rappresentano per il Monsignore l’Alfa e l’Omega della sua vita terrena. Vitulazio gli ha dato i natali e Arienzo ne ha raccolto e ancora oggi ne conserva le spoglie mortali. Nonostante la sua ‘grandezza’, nessun familiare si è mai preoccupato di recuperarne, ricordarne e trasmetterne la memoria: è rimasto ‘ristretto’ nella foglia dell’albero genealogico custodito nelle dimore dei discendenti. Non è andata meglio ai tre fratelli del Monsignore, valenti sacerdoti (… Domenico, Parroco in Capua; Luigi, Primicerio Provinciale del Cardinale Serrano; Alessio, Missionario di San Vincenzo de’ Paoli in Napoli), e nemmeno agli altri ecclesiastici (… Caterina, Monaca Oblata in Camigliano, e Luigi Filippo, Parroco incardinato nella Diocesi di Capua, rispettivamente cugina e nipote di Monsignor Vescovo) della famiglia.

Le sole ed uniche tracce concrete sono rappresentate dai testamenti pubblici di Maria Giovanna Pozzuoli, del Primicerio don Luigi Pozzuoli, e di don Francesco Maria Pozzuoli, fratello di nonno Paolo, per tutti zio canonico, testamenti raccolti rispettivamente dal Notar Giuseppe Cecaro fu Pasquale (anno 1829), dal Notar Cecaro Giuseppe (anno 1844) e dal Regio Notaro Francesco del Prete, fu Antonio (anno 1935).

Ricordo il giorno – era il 22 dicembre dell’anno 1994 –  quando, guardando un albero incorniciato, la mia attenzione fu catturata da una foglia diversa dalle altre, tutte simili. Era la foglia che con il nome, cognome, date di nascita e morte, si fregiava dello stemma/corona del vescovo Paolo Pozzuoli. All’istante, avvertii dentro di me un qualcosa che mi incitava ad incontrare il Vescovo di cui porto indegnamente nomi e cognomi. Di qui, gli incontri con don Ciccio a partire dal primo, datato mercoledì 21 gennaio dell’anno 1998, presentato dal carissimo amico Antonio Morgillo.

Don Ciccio, per legare Monsignor Pozzuoli al suo Paese natio, ritenne doveroso partire dalle prime notizie, i primi elementi certi, i primi rilievi dai quali erano scaturiti minuziosamente gli abitanti e tutto quanto loro connesso.

Si riferiva cioè al Catasto Onciario, datato 1737, che rappresenta il primo esemplare, il primo modello dell’attuale censimento ed era finalizzato all’applicazione e riscossione delle tasse, calcolate in ‘oncia’, moneta allora corrente.

In uno al Catasto Onciario, don Ciccio suggerì di trattare anche eventuali personaggi conosciuti ed i mestieri del tempo.

E poi i martiri, le chiese, le cappelle, i monumenti e quant’altro possibile per arricchire, far bello il libro. Come dire, bisognava impegnarsi, armarsi di buona volontà e impiegare ulteriore tempo. Infine, ai primi giorni dello scorso mese di settembre, don Ciccio mi telefonò dicendo: “Paolo, adesso basta; chiudiamo tutto perché bisogna stampare subito il libro”. E, con dovizia di particolari minuziosamente raccolti, sono stati riportati tutti gli elementi utili all’economia del libro che meritavano un’attenzione delicata e accurata.

Ad esempio, l’origine del toponimo Vitulazio. Relazionato per tradizione e/o per usanza popolare ad un vitello o animale simile, è stato revisionato e, conseguentemente, corretto e modificato. Giova, infatti, evidenziare che nessuna divinità, nella mitologia classica, è stata mai raffigurata da un animale. Erano gli dei, Zeus in primis, il ‘re’ dell’Olimpo e di tutti gli dei, che amavano trasformarsi in un animale quando intendevano sedurre la donzella di cui si erano invaghiti. E, a proposito di divinità animali, è doveroso ricordare quanto scritto nella Bibbia: “un tempo, il popolo adirato realizzò un vitello d’oro che venne adorato come un dio”. Ma quella, consentitemi, era tutta un’altra storia.

Nel libro, con la Storia di Vitulazio dell’anno 1737, vi sono le Storie, di notevole interesse, del territorio Agnena e della Cappella con la Madonna, Maria Santissima, della Cappella Luciani, della Chiesa parrocchiale con il campanile (realizzati nella stessa epoca), della località Tutuno.

Sono queste le nuove cartoline di Vitulazio che vanno ad arricchire le tre, stampate negli anni ’50, simboleggianti Villa Rotondo, il Monumento ai Caduti in Piazza Riccardo II, uno scorcio di via Roma con l’orologio in piazza, e vendute nella tabaccheria del signor Eugenio Cafaro.

Nella località Agnena – era l’anno 884 – si attestarono i pochi monaci di S. Vincenzo Martire e di Monte Cassino sopravvissuti dalle invasioni degli infedeli che ammazzavano e depredavano i conventi. Il giorno 28 aprile 1280, domenica in Albis, l’Arcivescovo di Capua, S. Ecc. Monsignor Marino Filomarino, ordinò la traslazione dell’Icona della Madonna dalla Cappella dell’Agnena alla Chiesa parrocchiale in Vitulazio. Successivamente fu introdotto un nuovo culto e la domenica in Albis dell’anno 1316 avvenne la consacrazione della Chiesa restaurata. Da allora, è in vigore la tradizione di celebrare annualmente la festa patronale in onore di Maria SS. dell’Agnena la domenica in Albis.

Ancora, poco dopo la metà del 1700, poiché la struttura della vecchia Chiesa stava per crollare, nello stesso posto, con le offerte del popolo e “l’annuenza del re Ferdinando IV” fu edificata una nuova Chiesa, questa che abbiamo ereditata, più maestosa ed ampia rispetto alla precedente.

Il giorno 25 marzo dell’anno 1780, la Chiesa, sebbene non ancora completata, fu benedetta da Monsignor Paolo Pozzuoli, Canonico Penitenziere nella Metropolitana di Capua, per delegazione dell’Arcivescovo Adelelmo Gennaro Pignatelli. Interessanti i dipinti, opera di noti artisti, che abbelliscono l’interno della Chiesa.

Nei pressi della Cappella, per intercessione della Madonna, Maria Santissima dell’Agnena, nell’anno 1098 è stato miracolato Sant’Anselmo e nell’anno 1154 Guglielmo I, re di Sicilia. Per intercessione della Vergine dell’Agnena, un terzo miracolo si è verificato il 15 dicembre 1893, in Napoli, nella propria abitazione – come si evince da uno scritto dell’avv. Michele Pozzuoli e attestato da due famosi clinici, i proff. Raffaele Testa e Giuseppe Ignazio Pace: miracolata a seguito di un incidente domestico fu la signora Raffaela Martucci.

La Cappella Luciani, sita nell’omonima località, ristrutturata e ampliata dal patrizio capuano Francesco Saverio Umbriano nell’anno 1782, da anni è proprietà della famiglia Scialdone.

E questa bellissima occasione mi consente di ricordare l’ing. Luigi Antonio, Sindaco di Vitulazio dal 1952 al 1961, Preside anche della locale scuola media cui, con la mia famiglia, sono stato affettuosamente legato.

Non è improbabile che la Cappella – considerata la particolarità di alcune maioliche – sia stata edificata su antico rudere dedicato molto probabilmente al dio Bacco.

Tutuni o Tuturo, per via della pronuncia, insiste nella località denominata Monticello. Era una delle più belle ville del circondario e presumibilmente doveva contenere anche una cappella gentilizia. Apparteneva ai Duchi di San Cipriano che la cedettero ai Duchi di Bagnuoli i quali provvedevano anche a nominare il cappellano nella realizzata Cappellania. Qui è avvenuta la conversione di schiavi maomettani e qui è nato il culto del leggendario TUTUNUS.

Il posto, straordinariamente incantevole, lascia godere un panorama ameno e lussureggiante. Si presta cioè ad “una seducente veduta della campagna che giunge sino al mare più leghe distante”. Tuturo, per il poeta Niccolò Amenta, è il “luogo più bello di quanti n’ho veduto, Ove si gode aer tranquillo e puro”. Da diversi secoli la villa Tutuno al Monticello e tutto il territorio circostante appartengono all’antica e stimata famiglia Cenname di Camigliano.

L’illustre avvocato Gaetano Cenname e la gentilissima consorte, Angela Migliozzi, poetessa mirabile, hanno curato la ristrutturazione della villa, recuperata l’antica bellezza e riconvertita l’intera superficie di pertinenza in un’azienda agricola modello dove imperano mirto e un uliveto da incanto.

Don Ciccio, citando i martiri, ha inteso riferirsi ai 54 innocenti trucidati dai tedeschi il 7 ottobre 1943, un mese dopo la firma dell’armistizio. In proposito, corre l’obbligo far presente che il libro vanta ulteriori elementi nuovi, frutto di ricerche minuziosissime che mi hanno consentito non di ribaltare la storia come alcuni hanno fatto e continuano imperterriti a fare  pur di conseguire un effimero momento di gloria oppure per un tornaconto personale, bensì di rivisitarla e riscriverla così come accertato dalla mole di documenti esaminati.

Dopo lunga meditazione, mi sono prefisso di non fare cenno alcuno, di non parlare cioè dei 54 martiri per non fare un torto ai lettori e sacrificare la loro curiosità di penetrare nell’essenza degli eventi descritti. Dirò piuttosto che, anche nell’aspra e sofferta tragicità di momenti, duri da comprendere e assimilare, mi sono imbattuto in chi, per interesse personale, visibilità o altro, abbia cercato di imbastire una ‘love story’ sul bellissimo amore scoppiato fra un capitano tedesco e una giovane napoletana che, con la famiglia, aveva raggiunto Bellona per allontanarsi dai venti di guerra, nella specie, fitti bombardamenti concentrati su Napoli.

Il tutto è parte integrante di una fitta corrispondenza fra uno storico casertano ed uno statunitense dalla quale si rileva: “Caro Giuseppe, mi avevi chiesto informazioni su Anita Carità circa una presunta relazione con Hans Joachim, relazione sulla quale avevo espresso dei dubbi, ma certamente una ‘love story’. Cerca di intervistarla! Se tu la osanni canterà! Se trovi qualche difficoltà nei documenti rimandali che li revisionerò. Questo è tutto per il momento” (… il capitano Hans Joachim, pur innamorato della giovane, si arrese alle suppliche dei genitori di Anita e ritornò da solo in Germania; Anita, alla fine della guerra, convolata a nozze con un ufficiale americano, emigrò negli USA ndr).

Dei mestieri riportati, alcuni sono totalmente scomparsi, ed altri meno noti. Nella descrizione sono stati ricordati anche gli artigiani impegnati. Fra i sarti – scusandomi per gli altri non menzionati – mi piace ricordare Raffaele Russo, Gino De Lucia, Gigino Aiezza, Salvatore Cioppa. Tra i calzolai, lo storico mast’Alfredo Scialdone e Luigino Tascione.

Ricordo ancora – e potrebbe ricordarlo solo chi ha superato il settantesimo anno di età – il mestiere ‘anticamente’ esercitato da Pasquale Aiezza (Pascal ‘e canniell) prima di riciclarsi bottegaio con negozio di  vendita – generi alimentari e diversi – all’angolo tra via Russo, già via Cesare Battisti, e piazza Riccardo II. ‘Pascale’ esercitava – com’è ampiamente riportato in una bellissima nota nel libro – l’attività di barbiere nel vano terraneo sito all’angolo tra via Roma e piazza Riccardo II.

Del tutto scomparsi l’agrimensore, il bottaro, il calciaiolo o calcaralo, il carbonaro, il cernitore, il legnaiolo, i magnifici (così venivano chiamati gli appartenenti a nobili casati che, vivendo molto agiatamente, potevano anche tenersi lontano da eventuali attività lavorative; aggiungo che veniva, in un certo senso, paragonato al ‘magnifico’, il cosiddetto ‘benestante’, parola che, nell’immediato dopoguerra, si scriveva nella Carta d’Identità alla voce ‘professione’; ricordo altresì che, per altra categoria di cittadini, sempre alla voce ‘professione’ della Carta d’Identità, veniva riportato il vocabolo ‘analfabeta’).

Con il mannese, impersonato da Carlo Rossi che esercitava a via Torre Tommasi, e mast’Arcangelo, persona simpatica e rispettosa, provetto maniscalco-ferracavalli, vanno ricordati il massaro, lo scafaro, il vaticale, tutti ampiamente  descritti nel libro.

Anche fra i personaggi ricordati, ve ne sono alcuni noti ed altri meno noti. Tutti però di grande carisma avendo – come dire – segnato un’epoca.

È doveroso ricordare Luigi Del Mese, il concittadino forse meno noto, rimasto vittima di un incendio scoppiato nelle visceri della miniera di Charleroi, Belgio, dove riposano le spoglie mortali. La sua è una pagina di storia delicata, luttuosa e triste al tempo stesso. E la politica e i governanti dovrebbero semplicemente vergognarsi. Le scuse e il perdono non servono. Sono solo esteriorità, chiacchiere di mestieranti. Lasciano il tempo che trovano e rinnovano con maggiore intensità un dolore mai lenito. Luigi Del Mese faceva parte delle migliaia di italiani che il governo italiano, prima degli anni ’50, invogliò ad andare in Belgio per lavorare nelle miniere di carbone. Nonostante gli accordi stilati e sottoscritti fra le massime autorità dei due governi, buona parte vennero disattesi. E non erano ammesse critiche e/o lamentele. Chi si azzardava, veniva immediatamente rimpatriato con il foglio di via come un delinquente qualsiasi. Le case promesse erano baracche in lamiera che, naturalmente, non potevano contenere i servizi essenziali. Carenti le assicurazioni sociali, di malattia e di prevenzione degli infortuni sul lavoro.

A tanto, va aggiunto il ‘baratto’ – oso dire – operato dal governo italiano con i corrispondenti e/o colleghi che dir si voglia (… non ho mai digerito il vocabolo omologo) belgi. Infatti, per ciascun lavoratore italiano impegnato quotidianamente nelle miniere, il governo belga corrispondeva a quello italiano 12 kg. di carbone (… per alcuni, gratis, per altri a prezzo agevolato).

Il concittadino Luigi Del Mese, in una triste giornata del mese di giugno dell’anno 1952, fu strappato alla vita assieme ad altri sventurati compagni di lavoro a seguito di un’esplosione scoppiata a decine di metri di profondità, giù nella miniera ove era stato destinato.

Il libro è un’opera che il prof. Raffaele Raimondo ha stimato “poderosa, veramente preziosa in cui si rinvengono la valorizzazione a tutto campo della memoria storica, l’impegno a far luce e a prendere posizione su una serie di situazioni e fatti controversi, l’utile pubblicazione di alcuni manoscritti e documenti inediti”.

Questo libro è – mi sia consentito soltanto con un pizzico di orgoglio ma senza alcuna presunzione – il libro che mancava. Il libro che non c’era e adesso c’è.

Rinnovo a don Ciccio i sensi della straordinaria riconoscenza ed immensa gratitudine per questo mirabile dono che rimarrà negli annali della Storia della Diocesi di Sant’Agata de’ Goti e delle Comunità di Arienzo e Vitulazio.

Un vivo e doveroso ringraziamento a Padre Emilio Lage, Padre Redentorista in Roma, per l’incommensurabile, inestimabile contributo nella ricerca del materiale ritenuto necessario e indispensabile per l’economia redazionale del libro, e per l’affetto filiale che continua a riservarmi.

Sentitamente e sinceramente ringrazio don Gianfranco Boccia, direttore dell’Archivio diocesano di Capua, e la prof.ssa Rosalba De Riso, attenti, scrupolosi, preziosi, di elevata preparazione, competenza e professionalità che non mi hanno mai lesinato consigli, pareri e documenti.

Ringrazio il sig. Gennaro D’Amato, funzionario della Biblioteca presso il Museo Campano, per ogni suo collaborativo intervento.

C’è ancora il prof. Claudio Lubrano, presidente della Pro Logo di Sant’Agata de’ Goti, sempre pronto a fornirmi la sua fattiva collaborazione che ringrazio calorosamente.

Un affettuoso, sentito e fraterno ringraziamento al prof. Raffaele Raimondo.

Rinnovo i ringraziamenti al carissimo don Peppino Sciorio.

E, ‘dulcis in fundo’: un sentito, sincero e cordiale ringraziamento al signor sindaco di Vitulazio, avv. Raffaele Russo, ai signori amministratori e collaboratori tutti che, compiutamente interessati, hanno partecipato e sentito ‘ex corde’ le emozioni sprigionate dalle pagine del libro.