Armonie celesti di Santa Ildegarda per benessere psico-fisico

Armonie celesti di Santa Ildegarda per benessere psico-fisico

Annamaria Maraffa

Il sacerdote Marcello Stanzione, divulgatore di tematiche di spiritualità cattolica collegate a santa Ildegarda di Bingen, e il musicista e terapista del suono Angelo Gramaglia con questo testo, edito dall’editrice milanese Gribaudi ed intitolato “ Ildegarda di Bingen e la musicoterapia. Il potere di guarigione della musica”, dimostrano come la produzione musicale dell’abbadessa medioevale anticipi in qualche modo la moderna musicoterapia.  Il tema dell’armonia è centrale nella riflessione filosofica medioevale non solo sugli effetti della musica ma proprio sui rapporti creaturali dentro l’universo vivente. Secondo Ildegarda la musica è la forma più elevata dell’attività umana, lo “specchio dell’armonia delle sfere celesti e dei cori angelici”. Ne parla diffusamente in una lettera al capitolo di Magonza, e nello Scivias scrive: “L’anima è sinfonica, come la parola designa il corpo, cosi la sinfonia manifesta lo spirito, poiché l’armonia celeste annuncia la Divinità come la parola annuncia l’umanità del Figlio”. La Badessa aveva capito che uno dei modi migliori per vivere la spiritualità era il canto, che eleva l’anima e, allo stesso tempo, unisce la comunità in una medesima armonia. Attraverso il canto di lode si rivela all’uomo la sua dignità, poiché egli partecipa all’armonia dei cori angelici. Le tematiche dei canti da lei composti si distinguono dalle principali correnti teologiche del suo secolo: il canto diviene veicolo della vita interiore e dell’insegnamento specifico che essa riceve. La poesia musicale di Ildegarda è dunque la sintesi di tutte le sue esperienze. La musica sacra stabilisce una sottile corrispondenza fra la Parola e l’anima, fa entrare la persona in sintonia con il mistero che canta, svelando la ricchezza spirituale delle verità proclamate. L’opera più celebre di Ildegarda è un componimento morale, l’Ordo virtutum (La schiera delle virtù), che consta di ottantadue melodie nelle quali Ildegarda mette in scena la lotta interiore dell’anima combattuta fra il demonio e le virtù. Composto probabilmente a partire dal 1151, viene eseguito dalle monache nel 1152, in occasione dell’inaugurazione del monastero di Rupertsberg. In questa sorta di Oratorio ante litteram intervengono l’anima umana e sedici virtù, che cantano delle melodie monofoniche, mentre il diavolo le interrompe con degli interventi parlanti nei quali la voce maschile tenta di infrangere l’armonia delle voci femminili. Senza dubbio era il monaco Volmar a interpretare questo ruolo, mentre le religiose rappresentavano le virtù. Ildegarda ha composto anche numerose opere liturgiche, raccolte nella Symphonia harmoniae coelestium revelationum (Sinfonia dell’armonia delle rivelazioni celesti), che riunisce settantasette canti, scritti dalla badessa sui suoi stessi poemi religiosi e destinati ad essere cantati dalle monache durante le cerimonie liturgiche. Vi si trovano inni, sequenze, antifone, responsori, un kyrie e un alleluia. I brani sono tutti monofonici, composti cioè da una sola linea melodica, senza seconde voci. La maggior parte di essi sono dedicati alla Vergine Maria e ad alcuni santi. Questa musica, pur evocando a volte il canto gregoriano, travalica le norme compositive dell’epoca per la sua libertà. La sua varietà e, soprattutto, per la corrispondenza tra musica e testo. L’uso dei neumi (unità melodiche) originali lascia all’interprete la libertà del ritmo. Le opere musicali di Ildegarda, in effetti, affondano le radici nel canto fratto del Basso Medioevo germanico, genere che condivide lo spirito e le formule del canto gregoriano tradizionale, pur distinguendosene per audacia e rotture frequenti, melismi molto sviluppati, un più stretto rapporto con il testo e un uso simbolico dei modi. Tali elementi vengono acuiti nella scrittura di Ildegarda, che vi apporta delle formule personali e un nuovo senso della vocalità, facendo in tal modo delle sue opere delle vere visioni in musica. I motivi ritornano continuamente, ma cambiando sempre senza uno schema fisso, incantando l’ascoltatore con la loro forza e la loro agilità. Esistono due principali fonti manoscritte della musica di Ildegarda: il famoso Dendermonde Codex e il Riesencodex conservati a Wiesbaden, in Germania. Fra l’uno e l’altro contengono i settantasette canti della Symphonia e l’Ordo virtutum. Altri quattro manoscritti contengono frammenti della musica e della poesia di Ildegarda. La studiosa di santa Ildegarda Marie Noelle Urech scrive che riconducendo la realtà al tutt’uno generato per divina volontà, la presenza e l’azione umana non possono certo considerarsi a sé stanti né dissociate dal costante fluire ed infinito essere che diciamo cosmo; sicché l’udibile e il visibile è posto in stretto rapporto con l’invisibile e l’inudibile all’uomo che avviene nei mondi celesti – variamente nominati come sfere, cieli, pianeti – oltre il tempo e lo spazio. La sintesi più autorevole di tale teoria è, secondo la Urech, da ricondurre a Severino Boezio (VI d.C.), autore di scritti che hanno ufficialmente traghettato concetti fondamentali della filosofia e della speculazione musicale dalla cultura precristiana al medioevo cristiano avanzato: De institutione musica, De consolazione philosophiae. Prima di Boezio, tuttavia, alcune figure di spicco hanno sottolineato relazioni proporzionali importanti per la vita dell’anima, basate su principi numerici e proporzionali: in particolare, Claudio Tolomeo (II sec. d.C.), secondo il quale l’ordine della natura e l’accordatura musicale corrispondono agli stessi rapporti matematici; è Aristide Quintiliano (fra il III e il IV sec. d. C.), che evidenzia il risonare dell’anima, musicale di per sé, ogni qual volta riconosca intimamente la musica delle sfere. Tali osservazioni spiegano da un lato l’accostamento, entro il quadro delle arti liberali, fra musica, geometria, aritmetica e astronomia, le scienze esatte basate sul numero; dall’altro il riconoscere alla musica una specifica valenza psicologica, per la sua qualità stimolante o calmante che riconduce la vita dell’uomo ai ritmi interni degli elementi di natura e dell’universo. Ciò che Boezio sistematizza, e che il Medioevo fa suo dando vita al canto gregoriano prima e, a seguire, al canto di Ildegarda e alle originarie forme di polifonia riconducibili all’incirca al medesimo tempo in cui visse la santa, ha dunque radici assai remote e autorevoli. Il culmine è rappresentato dalla tripartizione in musica humana, mundana e instrumentalis, una declinazione della realtà musicale tutta, udibile, intuibile e immaginabile, che Ildegarda intimamente conobbe, una realtà, infine, reciprocamente connessa e riflessa. L’immaginabile è la musica delle sfere (mundana) nel loro armonico sinfonico ruotare; l’intuibile è la musica humana, quel risuonare dell’anima che contraddistingue la creatura umana; l’udibile è la musica instrumentalis, prodotta con la voce cantata e con gli strumenti appositamente costruiti dall’uomo per creare e gustare musica nelle varie occasioni della vita come il pregare, il festeggiare o il rilassarsi. La Urech sottolinea che non si tratta solo di astratta speculazione, ma di una rete straordinaria di rimandi fra l’una e l’altra di queste musiche, un collegamento da cui originano reazioni positive a catena: grazie al canto e al suono degli strumenti si evoca quell’armonia celeste che ripristina, per simpatia, la consonanza dell’anima.  Il mondo è “buono” – come afferma il testo della Bibbia – perché è ordo, ordine vivente. E l’ordine significa proporzione, rapporto numerico corretto, armonia. Messo in movimento, il grande meccanismo dell’universo diventa un gigantesco strumento musicale, fonte di una melodia perpetua. Eccola, la “musica delle sfere”, di cui parlavano i pitagorici, la musica perennis, il concerto cosmico. Se non lo si ascolta più è perché, presente alle nostre orecchie dalla nascita, è divenuto un ambiente sonoro indiscernibile, sottinteso, simile in questo alla luce che rende possibile la visione ma che non si può vedere in essa stessa. Siamo, di conseguenza, integrati in una un largo campo musicale, in una struttura polifonica e ci possiamo aspettare che ogni falsa nota che si intrufola in questo insieme sia prontamente punita. Ricapitoliamo: il mondo è una frase musicale. Ha il “suono” dell’opera perfetta. Come dice Ildegarda di Bingen, “ogni elemento ha, come ordinato da Dio, un suono proprio. Insieme, risuonano come il verso accompagnato dalla cetra, in un’unica armonia”. Di conseguenza non esiste niente di muto nella Creazione. Boezio parlava di una musica mundana, riflesso di una musica coelestis, sovra-mondana e trans-sonora. Questa musica mondana produce, in maniera analoga, una musica umana, che è la sola e la stessa cosa dell’armonia interiore dell’anima. In un mondo che canta, la persona umana deve inscriversi con la sua melodia. “Perché – citiamo di nuovo Ildegarda di Bingen – l’anima dell’uomo è eufonica e, per sua natura, sonora; perciò si rattrista quando ascolta il suono che aveva agli inizi”. La musica liturgica è anch’essa un’imitazione della musica cosmica e di quella delle anime, e i suoi primi teorici (ad esempio Aureliano Reomensis nel IX secolo), prendono come punto di riferimento la “performance” dei cori angelici. Gli angeli appaiono d’altronde ad ogni passo come il collegamento provvidenziale di tutto il sistema musicale di cui parliamo. Accompagna il “suono” del mondo con un grande commentario di lodi incessante, di una grande ricchezza tipologica: Sanctus, Kyrie, Jubilus, Psaltus, Alleluja. In numero indefinito, gli angeli riescono ogni volta a funzionare come un’orchestra unitaria. Organizzati gerarchicamente, risuonano l’uno nell’altro su più livelli, si rispondono secondo il modello dell’antifonia (alter ad alterum) costruiscono sapienti polifonie (angelica concordia). Sotto il loro impulso e il loro modello tutto canta, perché tutto è in relazione con un’istanza angelica. Nella visione di santa Ildegarda il diavolo è l’unico che non sa cantare con armonia ma stona anzi è atterrito di fronte alla voce melodiosa dei cristiani che pregano cantando, perché la musica e il canto sono opera di Dio, che mette a disposizione dell’umanità tali strumenti, affinché attraverso i canti di lode scelga la via del ritorno verso la compagnia divina.